Le lacrime scendevano senza mai fermarsi, i sensi di colpa mi dilaniavano il petto e i piedi non si fermavano più.
Corsi finché non ebbi più fiato.
Volevo tornare indietro, dirgli che mi dispiaceva, abbracciarlo e fare pace, ma sapevo che non sarebbe stata la cosa giusta da fare.
Perché, dopo tutto, era stato lui a farmi soffrire.
E il mio cervello in quel momento avrebbe voluto farlo soffrire come lui aveva fatto soffrire me, impiantargli lame nel cuore e rompere un pezzo della sua anima.
E in quel momento sapevo che anche la mia anima era a pezzi.
Perché lui aveva stravolto tutto, aveva messo in disordine tutto e aveva cambiato tutto in così poco tempo.
Ed era avvenuto tutto troppo, troppo in fretta.Avevo camminato fino alla scuola e mi ero seduta in un angolino, il volto ancora rigato dalle lacrime e la pioggia che mi inzuppava i vestiti.
Mi sedetti sul marciapiede e guardai l'unica cosa che in quel momento avrebbe forse potuto farmi smettere di piangere: il buio.
Il buio che mi nascondeva da tutto.
Il buio che mi proteggeva.
Il buio che non mi fa vedere i mostri che si nascondono attorno a me.
Le nuvole scure coprivano il cielo stellato di Toronto e della luna di vedeva solo un bagliore lontano.
La pioggia era aumentata e il suono dell'acqua che scrosciava sull'asfalto mi distraeva dai miei pensieri.
Ero stanca e volevo tornare a casa, ma al solo pensiero di vedere mia madre e sorbirmi le mille domande sul perché stessi piangendo, scossi la testa e tornai a guardare il cielo.
Stavo tentando di proteggermi la testa con il cappuccio della felpa, quando mi accorsi che non stava più piovendo.
Anzi, stava piovendo, ma le gocce di pioggia avevano smesso di cadere sulla mia pelle.
Alzai la testa: Alex era li, accanto a me, in piedi, a guardarmi negli occhi. Una mano nella tasca dei pantaloni della tuta neri mentre l'altra reggeva l'ombrello sotto cui eravamo riparati entrambi.
I capelli biondi erano coperti da un cappuccio di una felpa bianca e i soliti occhiali dorati gli illuminavano il volto.
Era serio, come al solito, ma aveva uno sguardo diverso, quasi preoccupato.
"Perché stai piangendo?"
Pose quella domanda con tutta la tranquillità del mondo, come se fosse una cosa normale.
Si sedette accanto a me, senza mai distogliere lo sguardo dal mio.
"Scusami per la scenata di stamattina"
Aveva completamente tralasciato il motivo per cui stavo piangendo. Forse aveva capito che non era un bel momento.
"Ne vuoi parlare?"
Incrociai il suo sguardo, e tutto, tutto in quello sguardo lo stava pregando di ascoltarmi, perché avevo bisogno di qualcuno.
"È per Noah, vero?"
Il suo tono era talmente gentile e disponibile che non c'è la feci.
Scoppiai a piangere di nuovo e lui rimase lì, a guardarmi con semplicità.
Poi, con tutta la naturalezza del mondo, mi abbracciò.
Mi abbracciò facendomi sentire al sicuro, facendomi dimenticare per qualche secondo Noah e le brutte parole che mi aveva rivolto.
Mi abbandonai a quell'abbraccio caldo e misi la testa nell'incavo del suo collo, inspirando il suo profumo.
Non assomigliava per niente a quello di Noah.
Sapeva di cocco e tabacco.
Sospirai, inalando il suo profumo.
Alla fine non c'è la feci: restammo li, così, abbracciati e stretti l'uno all'altra, per un tempo che mi parve secoli.
Il calore di quell'abbraccio mi fece coraggio e gli raccontai tutto, con le guance umide e le frasi rotte dai singhiozzi.
Mi aveva ascoltata, senza mai interrompermi.
Ad un certo punto, quando ebbi finito, si alzò in piedi, mi porse una mano e mi face cenno di seguirlo.
Lo seguii, sotto la pioggia e con il freddo che mi faceva tremare.
Mi chiese dove abitavo e mi accompagnò fino a casa."Bene, allora penso che andrò"
Mi guardò con uno sguardo dolce, forse per la prima volta.
Ma io non volevo vederlo andare via, perché quella sera, tra le sue braccia, mi ero sentita protetta.
Si girò per andare via, ma io gli afferrai il polso.
Si voltò lentamente, guardandomi negli occhi.
"Ti prego non andare via"
Con uno scatto della mano, mi attirò a se, e sentii le sue labbra morbide sulle mie.
Chiusi gli occhi e mi abbandonai a quel bacio, fin troppo simile a quello che c'era stato tra me e Noah.
Ma lui non era Noah, lui non era il ragazzo che avevo amato fin dal primo momento.
Ma dopo tutto, era stato anche l'unico ad esserci stato quando ne avevi bisogno.
L'unico ad avermi ascoltata, senza giudicarmi e senza neanche ribattere.
Quindi forse, avrei imparato ad amare anche lui per quello che era.
Perché se lo meritava.
Si staccò dopo qualche secondo, aprendo gli occhi lentamente.
"Ci vediamo domani a scuola" un sussurro flebile, cinque semplici parole che avevano sfiorato le mie labbra, ma che mi lasciarono per tutta la notte a pensare.
Perché anche se lui non era Noah.
Anche se lui non aveva il solito profumo di cannella e menta.
Anche se lui non aveva gli occhi come pianeti e le lentiggini che formavano galassie.
Forse avrebbe potuto curare le ferite che mi erano state inflitte da qualcosa di troppo grande per me, almeno per ora.Spazio autrice
Ciao stars! Allora... come state?
Prima di tutto ho bisogno di sapere, e dico BISOGNO, se questo capitolo vi è piaciuto.
Fatemi sapere, perché ci ho messo molto più del previsto e sinceramente non sono ancora del tutto soddisfatta...
Da qui in poi farò più fatica a scrivere i capitoli perché prenderanno una piega un po' diversa dal solito.Come seconda cosa, invece volevo dirvi che sono troppo contenta per le letture!
Vi voglio un sacco di bene, grazie per il supporto!!!
Non ero mai arrivata alle 100 letture e devo dire che è una sensazione bellissima!
Grazie ancora stars! Vi voglio bene!!
Al prossimo capitolo!!
-SilentScream_10
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Pianeti e galassie
RomanceRemi non è la tipica ragazza di New York che tutti ci immaginiamo. Ha un passato difficile da digerire per una della sua età e l'unica persona che prima riusciva veramente a capirla é ormai distante da lei. Sa andare in skate, il suo colore preferit...