Primo giorno

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Remi

"Drinnnnn!"
Il suono della sveglia mi face sobbalzare. Guardai l'ora: le 6:30.
Mi trascinai fuori dal letto, presi la divisa dall'appendi abiti dove l'avevo messa e mi diressi in bagno.
La divisa non era delle migliori: una gonna lunga fino alle ginocchia, nera, una camicia bianca con le maniche corte, una cravatta nera e un maglione senza maniche blu, con lo stemma della scuola che avevo scelto sulla sinistra.
Quel giorno sarebbe stato il primo di una lunga serie alla nuova scuola.
Non mi era mai piaciuta la suola, in realtà.

"Ma chi ti ha partorita?? Sembri un aliena! Con quegli occhi diversi... ma cosa sei un incrocio tra un cane e un alieno per caso?"
Non ero mai andata fiera del mio aspetto: i capelli, sin da quando ero piccola erano sempre stati rossi.
Ma non erano loro il problema: gli occhi, i miei dannatissimo occhi erano la causa di tante prese in giro.
Inutile tentare di convincermi che dopo tutto non mi interessava, perché d'altronde non era così.
Mi facevano soffrire le parole di sdegno che mi rivolvevano quei bambini. Mi guardavano come i tedeschi guardavano gli ebrei.
"I tuoi occhi sono ciò che ti rendono unica, uno verde come smeraldo e uno azzurro come il mare" erano le uniche parole di conforto che mi aveva mai detto qualcuno sui miei occhi. Ovviamente era stata nonna a dirmele. Chi sennò?

Mi feci la doccia, mi infilai la divisa e andai in cucina: mia madre non si era ancora svegliata, così mi preparai la colazione da sola.
Presi due fette biscottate e un barattolino di nutella dalla dispensa e, dopo aver spalmato quel ben di dio sulle fette biscottate, mi scaldai del latte.
Una volta finito, mi sedetti a tavola.
La sera prima ero andata a letto sul tardi.
Quel ragazzo era rimasto lì a parlarmi. Mi aveva chiesto dove sarei andata a scuola, da quanto sapevo andare in skate e dove stavo prima di andare lì a Toronto. Avevo risposto in modo distaccato, come al solito d'altronde. Lui però aveva continuato a parlarmi. Per un momento mi era sembrato quasi uno stalker, ma probabilmente si stava solo annoiando e voleva chiacchierare con qualcuno.
Stavo ragionando su queste ultime cose, quando mi accorsi che di lui non mi aveva parlato.

Verso le 7:40 uscii di casa.
Misi lo zaino in spalla e partii con le cuffie nelle orecchie e lo skate sotto i piedi.
Sentivo l'asfalto appena rifatto sotto i piedi, liscio come burro, gli uccellini che cantavano e attorno a me c'erano già studenti intenti a guardare il cellulare mentre si dirigevano verso scuola.
La scuola che avevo scelto era la "Blue High School", una scuola superiore vicino al centro di Toronto. Avevo scelto quella scuola per 3 semplici motivi: era vicina allo skate park, era vicina a casa e la divisa era blu. Tre motivi per cui molti mi riderebbero in faccia ma per me erano molto, mooolto importanti.
Dopo una decina di minuti arrivai davanti al cortile della scuola. Mi misi apposto le cuffie che si erano un po' spostate per la velocità a cui ero andata mentre facevo la strada per arrivare alla Blu High.
Presi lo skateboard in mano e lo misi nello zaino, poi mi guardai attorno: il cortile era pieno di ragazzi e professori, questi ultimi intenti a parlare in privato con qualche studente probabilmente sul suo andamento scolastico.
Mi feci coraggio ed entrai.
Attraversai il cortile e andai alla reception.
Non potevo nascondere il fatto che ero parecchio agitata: era aprile del quarto anno, tutti probabilmente si conoscevano già da molto tempo e inoltre grazie al mio comportamento da associale patentata non sarei riuscita a socializzare neanche con l'acqua del water.
La receptionist mi diede un paio di fogli tra cui una piantina della scuola e un modulo da compilare con il numero dei genitori o dei miei tutori legali. Poi mi indicò la direzione della mia classe e mi salutò augurandomi buona giornata.
Andai verso la mia classe che, da quello che avevo capito si trovava al piano superiore.
La mia sezione era la G, 4^G.
Arrivai davanti alla mia classe e aprii la porta: era completamente vuota.
Andai a sedermi nell'ultima fila di banchi, vicino alle finestre.
Misi lo zaino addosso al muro e sistemai il mio astuccio nero della Eastpack sopra il banco.
Passarono un paio di minuti, quando vidi la porta aprirsi nuovamente e vidi entrare...
No. Non era possibile.
Il gruppetto di ballerini della sera prima.
Stavano chiacchierando animatamente, ridevano e si tiravano spallate o piccoli pugnetti per scherzare.
Il ragazzo biondo che avevo visto ballare con la ragazza cioccolato aveva addosso un paio di occhiali tondi e dalla montatura dorata. La ragazza che aveva ballato con lui, invece, era a braccetto con la ragazza dai capelli neri e stavano chiacchierando a bassa voce. Il ragazzo asiatico e Noah, invece, si stavano tirando lo zaino addosso a vicenda, continuando a ridere.
Mi resi conto che ero rimasta lì a fissarli solo quando vidi Noah alzare la testa e incrociare il mio sguardo. Poi mi sorrise e mi venne incontro.

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