Tornatene da Asia

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Scesi le scale correndo.
Aveva iniziato a piovere e non pensai minimamente a coprirmi.
Andai a casa inciampando per l'asfalto scivoloso e ricoperta di fango per le pozzanghere che non mi impegnavo a schivare.
La pioggia era fredda, l'acqua mi aveva inzuppato i capelli e non potevo far altro che pensare che almeno così, nessuno si sarebbe accorto delle lacrime che solcavano le mie guance.
Entrai in casa, con il fiatone e i capelli appiccicati alla faccia.
Non avevo preso ne lo zaino ne lo skateboard, ma era l'ultima cosa che mi preoccupava.
Mi tolsi le scarpe e sgocciolando andai fino in camera, scossa ancora dai singhiozzi.
Entrai in bagno e accesi il getto della doccia.
Il vapore aveva riempito tutto il bagno, così mi tolsi i vestiti ed entrai.

Sentivo le urla dei miei genitori provenire dall'altra stanza, le bottiglie che si frantumavano sul pavimento e le imprecazioni di mio padre che inveiva contro mia madre.
Le cuffie si erano scaricate e ormai neanche quelle potevano farmi da scudo.
Entrai in doccia.
L'acqua aveva sempre avuto un effetto calmante su di me.
Sentivo solo lo scrosciare dell'acqua che si infrangeva sulla mia pelle liscia e il capire caldo mi avvolgeva in un abbraccio materno capace di farmi sentire al sicuro.

Dopo una mezz'ora buona uscii dalla doccia.
Mi sentivo come purificata.
I problemi se n'erano andati temporaneamente via pulendomi dallo sporco del mondo.
Mi avvolsi un asciugamano morbido attorno al corpo e mi misi un turbante in testa.
Mi misi l'intimo e uscì dal bagno.
In casa non c'era ancora nessuno.
Quella mattina mia madre aveva detto che sarebbe tornata verso sera, dopo cena, quindi avevo la casa libera.
Presi una canottiera bianca a coste e dei pantaloni della tuta grigi e li indossai.
Presi il telefono e misi la musica, tornando in bagno.
Mi tolsi l'asciugamano dalla testa e mi spazzolai i capelli.
Mi frizionali per qualche secondo i capelli con l'asciugamano per non lasciarli troppo bagnati e scesi di sotto.
Presi dalla dispensa una confezione di ramen istantaneo che mia madre aveva preso qualche giorno prima al supermercato.
Feci bollire l'acqua, aprii la confezione e lasciai che si cuocessero.
Dopo qualche minuto sentii suonare il campanello, così andai ad aprire con il ramen in mano e la bocca piena.
Aprii la porta e davanti a me trovai Ambra, infreddolita e bagnata con il mio zaino e il mio skateboard in mano.
"Ho pensato di portarti le tue cose.. Alex mi ha detto cosa è successo"
Appoggiai il ramen sul tavolino del divano e presi le mie cose.
Lei mi abbracciò, stringendomi talmente tanto che non respiravo più.
"La prossima volta avvisami" sussurrò "che gli faccio il culo"
Sorrisi e le chiesi se voleva restare a mangiare.
Lei si scusò dicendo che aveva un impegno con sua madre e che doveva tornare a casa, così la salutai e tornai a mangiare.
Una volta finito, buttai la confezione ormai vuota e andai di sopra.
Presi una camicia molto larga grigia, nera e bianca a scacchi e me la infilai, visto che iniziavo ad avere freddo.
Tornai di sotto e accesi Netflix, facendo partire 'Alice in borderland'.
Restai incollata alla tv per un paio d'ore, poi decisi di andare a fare un giro.
Misi un biglietto sul tavolo per mia madre, dicendo che sarei rimasta fuori fino a tardi e uscì di casa, skateboard in mano e le mie fidate converse grigie ai piedi.
Andai fino allo skate park e mi misi a ripassare qualche trick.
Mi girava un po' la testa e mi sentivo stanca, ma decisi di non farci caso.
Stavo facendo un semplicissimo 360, quando sentii le gambe cedere. Caddi a terra: vedevo tutto sfocato e scuro. Sentii qualcosa, come qualcuno che mi afferrava e mi parlava dicendo i miei nome. Mi sentii avvolgere da qualcosa di caldo, due braccia che mi tiravano su e poi basta. Nero.

Mi alzai reggendo mi a qualcosa di morbido.
Sentivo qualcosa di pesante sulla mia pancia e mi misi una mano sulla tempia.
Girava tutto e avevo la vista appannata.
Mi fermai un secondo, reggendosi a quello che mi sembrava lo schienale di un divano.
Lentamente, la vista iniziò a farsi più chiara.
Non ero a casa mia, questo era sicuro.
Ero in un salotto dalle pareti petrolio e una libreria grandissima alla mia destra. Davanti a me, c'era un televisore grandissimo su un mobiletto di legno scuro. Vicino alla parete, c'era una batteria, anche quella color petrolio. Vicino a lei, erano sparsi diversi spartiti sul pavimento.
Tentai di alzarmi, massaggiandomi la testa, ma mi accorsi che accanto a me c'era qualcuno che dormiva. Un braccio mi cingeva la vita e ci misi qualche secondo per capire chi avevo davanti.
Boh era addormentato accanto a me, i capelli arruffati e con addosso solo dei pantaloni della tuta rossi e una canottiera nera che lasciava intravedere il fisico scolpito.
Con un salto dimmi scollai da lui.
Fino a quel momento ero stata su un divano nero in pelle, accanto a lui.
Non potei fare a meno di pensare a quante ragazze aveva portato su quel divano.
Tentai con tutte le mie forze di ricordare come ero arrivata lì e iniziai a camminare avanti e indietro davanti al divano.
Dovevo andarmene.
Non sarei riuscita a stare un minuto di più in quella stanza, con lui.
Vidi il mio skateboard accanto al divano e lo presi.
Vidi la porta poco distante da me.
Avevo la mano ormai sulla maniglia quando una voce mi fece voltare.
"Dove pensi di andare?" Noah era lì, mi osservava, la voce impastata dal sonno e i capelli castani arruffati.
"A casa mia" dissi, con voce ferma.
Mi girava ancora la testa, ma sentivo che se fossi stata un attimo di più in quella stanza con lui, il suo odore, le sue cose, sarei impazzita.
Perché i brividi e la pelle d'oca che avevo ogni volta che lo vedevi non erano passati e li volevo cacciare con tutte le mie forze.
"Hai la febbre, tu non vai da nessuna parte" si alzò e mi venne incontro, lentamente, senza mai staccarmi gli occhi di dosso.
Mi sentii bruciare quando mi squadro, tutta, percorrendo ogni minima parte del mio corpo.
Poi, si fermò sulle mie labbra.
E con tutta me stessa, con anima e corpo stavo cercando la forza di muovermi, di aprire quella dannatissima porta e di andare via.
Perché i suoi occhi, quei dannatissimi occhi, mi avevano fatto cadere di nuovo nella trappola del cacciatore, perché solo un agnello stupido come me sarebbe potuto cascare in quella rete, senza poi riuscire a trovare la forza per scappare.
Mise le mani ai lati della mia testa, senza staccarmi lo sguardo di dosso, impedendomi di muovermi.
"Perché oggi sei scappata?" la sua voce era roca, gli occhi incollati alle mie labbra e il suo profumo che mi entrò nelle narici.
"Perché mi ripugnava" e sapevi di star facendo la scelta sbagliata, ma in quel momento avrei voluto sputargli addosso tutto il veleno che avevo dentro per fargli capire come mi ero sentita per colpa sua.
"Mi ripugnava vederti toccare una ragazza che probabilmente domani non saluterai neanche più"
Un sorrisetto sghembo fece la sua comparsa sul suo volto, provocatorio "Perché ho la sensazione che non sia lei quella a cui ti stai riferendo?"
Non risposi, rimasi li a guardarlo, senza staccare gli occhi dai suoi.
"Lo vuoi capire" tornò a guardarmi negli occhi "che era solo un bacio?"
E lì, capii che per l'astronave era la fine, e che non sarebbe mai stata lanciata di nuovo.
Le lacrime iniziarono a scorrere sulle mie guance ma non volevo, non potevo, piangere davanti a lui.
Perché lui era l'unico a cui non avrei mai mostrato le mie debolezze, perché non se lo meritava.
Non si meritava di vedere com'ero sotto quella maschera che mi obbligavo a portare da anni.
Non si meritava la mia gentilezza.
Non si meritava le mie attenzioni.
Quando si accorse delle la fine che mi rigavano il volto, i suoi occhi cambiarono.
E ci vidi, un lieve cambiamento.
"Sai cosa ti dico?" gli puntai un dito contro e mi avvicinai al suo viso, i nostri nasi quasi si sfioravano.
"Tornatene da Asia"
E lo sguardo, lo sguardo che aveva in quel momento, sapevo che non l'avrei mai dimenticato.
E forse un po' di sensi di colpa li sentivo anche io, perché fargli riaffiorare alla mente ricordi così doloroso era una cosa che un essere umano non avrebbe mai dovuto fare.
Perché io dopo tutto sapevo come ci si sente.
Sapevo come ci si sente a soffrire.
Sapevo come ci si sente a veder sparire davanti ai nostri occhi una persona a cui abbiamo voluto bene.
Sapevo come ci si sente a veder qualcuno scivolare via dalle nostre braccia, lasciandoci con un vuoto dentro che nessuno avrebbe mai voluto riparare.
Sgusciai via dalle sue braccia, lui aveva lo sguardo verso terra, come se per un momento avesse smarrito quella forza che lo teneva ancorato alla realtà.
Aprii la porta e uscii, continuando a piangere e a correre sotto la pioggia che nel mentre era tornata per arricchire la notte che ormai aveva inghiottito tutta Toronto.

Spazio autrice
Eh beh stars, mi dispiace un casino ma oggi capitolo triste. Però a noi un po' di dramma piace, vero?
Spero vi sia piaciuto! Fatemi sapere!
Al prossimo capitolo!
-SilentScream_10

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