16. NIGREDO

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Edhel salì le scale fino alla porta che dava sul cortile e si fermò sulla soglia a prendere fiato. Aveva trascorso ore nei sotterranei, dove gli incantatori si addestravano alla magia. Aveva provato a saggiare i suoi limiti ma, alla fine, si era sentito del tutto svuotato da quell'esercizio. Era sgattaiolato via, non visto. Non aveva voglia di parlare con nessuno. 

Abbandonò le spalle sull'arco di pietra con un sospiro, chinò il capo e lasciò che i capelli gli ricadessero sul viso. Era notte inoltrata e lui era solo. Serrò le ciglia mentre lo coglieva la vertigine. Affondò in quella sensazione ormai familiare, di sé e del suo corpo che si scioglievano, si dissolvevano, diventavano un'estensione stessa di ciò che lo circondava, ma un rumore improvviso gli fece drizzare la schiena come un gatto.

Sgranò gli occhi azzurri, trattenne il fiato e diede un'occhiata discreta all'esterno. Una sentinella sfilò lenta, tagliando la corte. Non lo vide e proseguì la ronda mentre la sua ombra si allungava sulla pavimentazione lucidata dagli stivali e dagli zoccoli dei cavalli.

La sera era così luminosa che si potevano distinguere i contorni degli oggetti con facilità. Edhel decise di passare lungo le mura esterne per tornare nelle sue stanze, anche se il tragitto era più lungo. Mentre si muoveva con cautela, udì i bassi latrati dei cani da caccia del re, che di notte venivano lasciati liberi nello spiazzo antistante le scuderie. Dovevano aver fiutato il suo odore. Senza un vero motivo, l'elfo deviò in quella direzione.

Quando lo stretto passaggio si aprì nello spazio coperto di paglia e terra, Edhel si fermò a osservare il basso edificio che aveva di fronte. C'era la luna piena anche quella notte, a ben pensarci, e attorno c'era lo stesso bianco lucore. Era inquietante accorgersi che riusciva a ricostruire quel ricordo con assoluta precisione. Erano passati più di tre anni e lui era solo un ragazzino smarrito a quel tempo, ma forse non c'era nulla di cui stupirsi: era stata la prima volta che aveva tolto la vita a una creatura, e ogni prima volta non si dimentica.

Si mosse verso il centro del cortile. Uno dei cani gli si avvicinò, strusciando il muso contro la sua gamba. Il ragazzo gli passò le mani tra le orecchie con un gesto distratto. Aveva ancora paura di quegli animali, ma si era imposto di farseli amici dopo quello che era accaduto.

Si fermò in un punto appena decentrato dello spiazzo, sulla destra. Sì, era proprio lì quando era successo. Incrociò le gambe, si sedette a terra e rimase sotto le stelle a meditare.

 Incrociò le gambe, si sedette a terra e rimase sotto le stelle a meditare

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Edhel correva. Era notte e lui si era attardato troppo. Doveva tornare subito negli alloggi degli allievi prima che qualcuno si accorgesse della sua assenza. Tagliò dalle scuderie perché quella era la strada più breve. Non aveva pensato ai cani.

Udì un ringhio e si girò di colpo, appena in tempo per scorgere una sagoma, scolpita dai raggi della luna, che spiccava un balzo verso di lui. Si immobilizzò come una statua, il corpo bloccato dalla paura, la mente in fiamme. Non aveva il tempo di far nulla, solo di pregare. Il segugio stava per piombargli addosso, ma il suo movimento si interruppe in modo innaturale, come se qualcosa lo avesse colpito in volo. Il ragazzino lo guardò contorcersi  e guaire in maniera straziante, poi accasciarsi al suolo con uno spasimo. Aveva un'espressione persa e affascinata, come se non fosse lui il protagonista della scena.

Il figlio dell'Idra (Arthalion's Chronicles #1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora