23. ECLIPSIS

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Il pensiero di quella disfatta bruciava più dei segni sulla pelle. Si obbligava a non pensarci, ma la  testa si ostinava a snocciolare l'elenco dei morti, delle cavalcature abbattute e degli armamenti perduti.

Un intero esercito in rotta.

Galanár non credeva che avrebbe mai più visto un'immagine tanto violenta e dolorosa.

Il suo esercito in rotta.

Non gli serviva a nulla ripetersi che, tecnicamente, non era il suo esercito. Così come a nulla valevano le giustificazioni - l'attacco anticipato dei Nani che non aveva dato loro il tempo di sistemarsi nel modo più conveniente, il piano che lui non aveva approvato, la sua inesperienza nei confronti di un nemico che affrontava per la prima volta - che avrebbero dovuto attenuargli nell'animo la sofferenza per quella ferita.

Scappati come prede inseguite dai segugi, cercando rifugio nel castello. Una parte dello schieramento, prima travolto dalla loro ritirata e poi raggiunto dal nemico, era stata massacrata. Potevano solo ringraziare la stanchezza dell'esercito dei Nani, anche loro giunti ormai allo stremo delle forze dopo un'intera stagione di scontri, se la rocca non era stata presa d'assalto. Si erano limitati a esaurire le loro munizioni aeree tempestando le difese della fortezza, ma lo scudo magico che avvolgeva Formenos aveva retto e la battaglia si era conclusa così.

Sul campo Galanár aveva lasciato ventidue nobili della Lega, sessantotto dei suoi cavalieri e quasi milleseicento fanti di Amalion.

Si coprì gli occhi con una mano, tormentandosi la fronte. L'aria del mattino era glaciale. Presto i ghiacci avrebbero chiuso ogni valico fino alla primavera. Non ci sarebbero stati altri scontri per qualche mese. Era finita, per il momento, ma era finita come lui non avrebbe mai potuto immaginare.

Scivolò lungo il muro di pietra e si lasciò cadere sulla gelida pavimentazione del camminamento a Nord. Finché era solo, poteva permettersi il lusso di disperarsi per quella sconfitta, di flagellarsi ripensando alla sua follia o di tirare un sospiro di sollievo per essere sfuggito alla morte. Quando, però, la vide apparire sullo spiazzo del baluardo, capì che quel lusso era troppo prezioso per poter essere duraturo.

Prese fiato per prepararsi a quella conversazione. Non si erano lasciati molto bene, la sera prima dello scontro. Dopo, il principe aveva evitato tutti. Evidentemente doveva essere una donna che non si dava per vinta, dal momento che il suo principale obiettivo sembrava essere quello di stanarlo, non importa in quale castello si trovassero o in quale parte lui avesse deciso di ritirarsi.

Silanna si guardò un attimo attorno. Rabbrividì e si strinse addosso il mantello, quindi imboccò il camminamento e proseguì fino a fermarsi davanti a lui, che non aveva fatto alcun cenno di alzarsi in piedi al suo arrivo e che continuava a guardarla da sotto in su. Sopra le chausses, il farsetto era slacciato e mostrava la camicia sgualcita e la pelle impallidita dalla brina notturna. L'elfa si domandò quanto avesse bevuto per resistere a quella temperatura.

"Non state al freddo", disse severa. "Siete ancora ferito".

Galanár non si mosse nemmeno di un millimetro.

"E voi? Ancora adirata con me per avervi lasciata al castello?"

Lei arricciò le labbra, girò lo sguardo altrove con aria contrariata e non rispose. Il sole fosco del mattino le illuminava il viso, mentre il vento le scompigliava i capelli. Il principe si godette per un po' quell'immagine silenziosa, poi si spinse oltre ciò che sarebbe stato ragionevole confessare.

"Ero già abbastanza preoccupato di dover guidare un attacco che assomigliava a un suicidio. Avevo bisogno di sapervi al sicuro".

Silanna accusò il colpo, ma non lo diede a vedere. Rimase imbronciata e distante.

Il figlio dell'Idra (Arthalion's Chronicles #1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora