Il genovese da Rimini.

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Intorno ai miei sedici anni, affrontai l'ennesimo trasloco della mia vita. Odiavo trasferirmi: Mi sono sempre affezionato ai miei spazi, alle mie camerette, ai quartieri.

Ma in un modo o nell'altro, arrivava sempre il motivo per cui ci dovevamo trasferire.
La padrona di casa stronza, l'affitto troppo alto o un'occasione migliore.
Ogni volta era una merda.
Si metteva tutto negli scatoloni e si sperava di ritrovare tutte le proprie cose. Io così ne ho perse tantissime, molte altre invece si sono rotte.

Ricordo una di quelle lampade al plasma; quelle che al tocco del vetro attirano i fasci elettrici verso le dita, facendo impazzire i capelli. Si ruppe in qualche scatola da trasloco e ne fui affranto. Ebbi poi la tentazione di accenderla senza il vetro. Non fece un cazzo di niente.

Questa invece fu l'unica volta in cui fui contento di trasferirmi. La casa nuova era bellissima. Una villetta su due piani, con una taverna al piano terra. Una grossa terrazza, il giardino pieno di alberi da frutta: limoni, arance, mandarini, kumquat, melograno, pere albicocche e forse basta. Ah sì, l'uva.
Inoltre la promessa fatta da mia madre, di prendere un cane una volta trasferiti. Poesia per me, che ero stato solo in piccoli appartamenti dai miei sei anni in poi, con la voglia matta di avere un cane.

Fui titubante sul trasloco finché non vidi pure l'interno della casa. Lì mi tolsi ogni dubbio.
Il primo impatto fu reso speciale dal pavimento di marmo color verde acqua o forse azzurrino. Non sono bravo con i colori. Poi il contrasto dell'arredo nautico, che dava un bel tocco marinaresco.
Pensare di viverci dentro mi faceva sentire un cazzo di riccone. Uno di quelli che cagano soldi.

Peccato che non lo fossi. Infatti per permetterci l'affitto lì dentro, andammo a vivere con mia zia. Cosa che creò non poche rotture di cazzo negli anni a venire.

Così decidemmo di vivere in quella casa; prendemmo Zelda, il mio husky siberiano promesso, e mia zia, a sua volta, portò il suo cane, Blu. Un labrador misto a un maremmano, stupido e ciccione, che nessuno voleva: Abbaiava troppo. So di qualcuno che provò a dargli una spugna fritta da quanto era fastidioso. Ma Blu riuscì a sopravvivere. Per chi non sa: la spugna quando viene fritta si rimpicciolisce, e se mangiata, si rigonfia nello stomaco ed è letale.

Passammo lì diversi anni e arrivò l'inevitabile momento in cui si ruppe l'equilibrio di convivenza tra mia madre e mia zia. Entrambe terrone (posso dirlo, in quanto, ahimè, metà terrone). I terroni quando litigano sono meravigliosi. Quasi andrebbero visti a teatro, da quanto sono appariscenti e megalomani.

Il meglio accadde durante un litigio dovuto dallo stress dei mille bisticci precedenti, oltre che dalla rabbia di mia madre, riguardo un uso troppo sfrenato del maledetto condizionatore di mia zia.
Mia zia non ne volle sapere di spegnerlo e mannaggia a lei, piuttosto lanciò un coltello a mia madre. Non le fece nulla, per pura fortuna.
"MA TU SEI PAZZA! MA TU SEI PAZZA!" le urlava mia madre. Terroni.
Si ruppe lì la convivenza.

Noi restammo nella casa, mentre mia zia se ne andò altrove.
Questo creò un problema non banale. L'affitto era troppo alto per continuare a vivere lì.
Però quella casa era bella, cazzo. Non la volevamo lasciare nelle sudice mani di qualche estraneo.
Mia madre, santa Rosina, trovò l'escamotage.

Chiese al padrone di casa se avessimo potuto affittare la taverna, in modo da pagare l'affitto. Il caso volle che il padrone di casa fosse uno di quelli che davvero cagano i soldi dal culo. Non gliene fregava UN CAZZO. Così mia madre mise in affitto quella magica taverna.

L'affittava a periodi. Al massimo un mese, poi si sloggia. Ospitammo molta gente, ma è una la coppia da ricordare: Laura e Adolfo. Due vecchi milanesi schizzati, che mi colorarono la vita per poche settimane.

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