Uno stormo di culi.

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Di fatto, quel giorno sarei dovuto andare in ospedale. Dopotutto mi ero appena rotto un dito; l'indice della mano destra. Attraversavo un periodo di distacco dal pianoforte e non valutai i rischi dell'appassionarmi alla pallacanestro. Eccoli i rischi: rompersi le dita.

In quella fase della mia vita, pensavo che avrei cambiato rotta alle mie ambizioni per l'ennesima volta e che sarei diventato un prodigio del basket. Ero tanto coinvolto da questa mia decisione, che quel giorno mi disinteressai dal curare il mio dito sfortunato.

Mentre mi immaginavo di catturare il rimbalzo del canestro, i fatti mi mostrarono quanto fossi confuso sulla fisica delle palle da basket, e in effetti quest'ultima non rispettò la parabola che mi aspettavo di aver calcolato alla perfezione. Anzi, non ci fu alcuna parabola. Solo un veloce rimbalzo che si catapultò sul mio povero indice.

Il mondo si scolorì all'istante e io mi accasciai a terra.
"Tutto bene?" chiedeva Davie, il ragazzo più gentile e arrapato che io abbia mai conosciuto, nonché mio grande amico d'infanzia. Dovette attendere la mia risposta in silenzio, ma alla fine ne arrivò una: "Alla grande.".

Quell'incidente segnò la fine dei giochi, e salimmo in casa. Davie mi offrì un panino con prosciutto e scamorza affumicata per merenda, poi del ghiaccio per il dito. Mi aspettavo che il mio indice si fosse insaccato, scocciatura che avevo già affrontato in passato, sempre per colpa della pallacanestro. In quel caso il malcapitato fu l'anulare della stessa mano, che ci mise pochi mesi a tornare a posto. Un dito rotto è un problema ben diverso, che purtroppo sottovalutai nei giorni che seguirono il danno.

Sì, più ci penso e più mi accorgo di quanto sarebbe stato saggio correre al pronto soccorso, ma io quella sera volevo andare a casa di Yuri. Erano serate speciali quelle a casa sua: Yuri era una fonte di giochi strani per il computer e noi amavamo passare la serata a giocare senza pensieri per la testa. Quelle notti stavamo davanti allo schermo fino a che gli occhi non cedevano. Fu la scoperta dell'alcol a rovinare la possibilità di divertirci in quel modo.

Una sera mangiammo una caterva di sushi, poi ci credemmo di essere immortali e bevemmo una bottiglia di whiskey a testa, davanti a un videogioco che non può più passarmi davanti agli occhi senza che io provi una forte nausea. Una volta ubriachi, ci baciammo a stampo, in videochiamata con le nostre fidanzate del periodo. Non ho idea di quale fu la loro reazione, perché ricordo solo pochi frangenti della serata. Ricordo quello, poi ricordo Yuri che mi dice "Merda, credo di dover vomitare." e io che gli rispondo "C'è una finestra che sembra fatta apposta, sbocca lì.".

Non ricordo di aver vomitato, ma l'ho fatto; nel sonno, sul suo letto, su me stesso, i vestiti, i capelli, uno schifo. Sua madre al mattino urlava a Yuri che avrebbe dovuto pulire la strisciata di vomito che aveva colpito i nove balconi sottostanti. Quindi la finestra non era fatta apposta. Urlava cose anche a me, ma io ringraziai per l'ospitalità e me ne andai da quella casa, per sempre.

Passai affianco al marciapiede, dove giacevano i gamberi e il riso rigurgitati da Yuri la sera prima e raggiunsi la fermata della corriera, dove crollai per il sonno. Poco più tardi, venni svegliato da un carabiniere.

"Tutto bene?"
"Chi cazzo- Salve agente, tutto bene, sto aspettando il coso, il bus."

Io ero un minorenne sporco di vomito, con il telefono che riproduceva a vuoto l'ultima videolezione dell'anno. Non presi molto sul serio la scuola nel periodo del covid, adesso che ci penso. A quell'agente andò bene la mia risposta e non chiese altro. Bene così.

Ma per arrivare a quella serata mancava ancora un anno buono. La cosa divertente è che il giorno che vi voglio raccontare, quello in cui mi ruppi il dito, non fu meno pazzo e non rischiai tanto di meno la morte. Arrivai a casa di Yuri, e lui mi propose un piano diverso dal solito:
"Ci sono dei miei amici che mi hanno chiesto di uscire stasera, ti va?"
"Ma sì, perché no?"

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