Le tredicenni di una volta.

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Sono un affiatato membro del club delle infanzie difficili, ma questo non è il libro in cui parlerò di quanto sia stata dura. Ve lo accennerò in pillole, così da non farvi preoccupare per la mia salute mentale, che sta benissimo.

Come per tanti dei bambini che nascono in questo millennio, i miei genitori non hanno sopportato il sacro vincolo e lo hanno sciolto, decisamente prima del tocco della morte.

Per me cominciò un periodo di vita stressante e nauseabondo, in cui venivo spostato da una parte e dall'altra per stare con entrambi i litiganti, perdendo completamente il senso della parola "casa" e della parola "famiglia". Basi abbastanza importanti nella prima fase della vita.

Le cose si complicarono ulteriormente, quando davanti a mia madre, diedi la parvenza di essere entrato in atteggiamenti sessuali con MIO PADRE. E garantisco, non è mai successo nulla con MIO PADRE.

Non bastarono le garanzie però, del piccolo me di cinque o sei anni, quando provò a ritirare qualche cazzata detta, se mai l'ho detta.
Non che voglia incolpare mia madre di aver inventato tutto quanto, solo per rovinare la vita a mio padre, che ormai odiava a morte da anni. Anche se pare MOLTO plausibile.

Perché devo ammettere di essere confuso su molte dinamiche di quel periodo, troppo complicato per raccontarlo in questi pochi paragrafi. Nemmeno adesso riesco ad avere un quadro preciso della situazione. Mio padre e mia madre continuano ancora oggi a dare le loro versioni dei fatti, che non corrispondono, ovviamente. Così son finito a pensare che entrambi sparino solo stronzate e che non abbia importanza cosa sia successo. Di fatto, l'importante è che io sia certo di non aver spompinato mio padre. E ne sono proprio tanto certo.

Vabbè. Venni cresciuto da mia madre e allontanato da mio padre per più o meno tutta l'infanzia. Per sicurezza.
In quegli anni mia madre fece il possibile per me, nonostante la depressione la dilaniasse. Non mi fece mai mancare nulla: Videogiochi, cibo, vestiti. In ordine di priorità. Serve altro a un bambino?

Divenni bravo a stare con me stesso. Il silenzio e la solitudine. Ci sguazzavo già allora con maestria. Stavo nella mia cameretta e davo sfogo alla mia fantasia ogni giorno, mentre mia madre affondava sul divano. Se ne stava davanti a qualche programma succhia-cervello, da quando rientrava dopo lavoro, a quando andava a dormire.

Spesso la mia solitudine veniva intralciata dagli impegni lavorativi di mia madre, che non potendomi lasciare a casa da solo, mi portava con sé. Dio sa quanto avrei preferito stare da solo a casa.

Mia madre, a quei tempi, si era fatta infinocchiare da un balordo sfigato, che sventolandole in faccia il giusto numero di banconote, l'aveva messa responsabile di un'azienda, che stava procedendo inesorabile verso il più brutto dei fallimenti.
Più avanti divenne un grosso problema. Ma allora la fece guadagnare bene.

Mia madre rivestiva una carica importante e doveva partecipare a delle riunioni di affari, di uno stracciacoglioni allucinante.
Io spesso assistivo, ma altre volte rimanevo in un ufficio vicino. In quei casi la vittoria era assoluta. Niente lagne, solitudine e potevo pure giocare al computer.

Così era andata quel giorno.
Già stavo aggredendo il motore di ricerca, digitando "giochi belli gratis" o "giochi online bellissimi". Ma qualcuno appoggiò dolcemente tre bussate alla porta.
Non dissi nulla. Dire qualcosa scatenava la probabilità più alta che qualcuno entrasse. Entrò comunque. Allora che cazzo bussi a fare?

Era una ragazza. Una ragazza molto carina, dai capelli corti, risolti in un caschetto disordinato. Vestiva con un abito lungo e a fiori. Pareva leggero e svolazzante se sollazzato dal vento. Avrà avuto tredici anni. Io ne avevo sei o sette.
"Ciao. Sei il figlio di Rosina?"
"Sì."
"Sono Martina, la figlia di Manuela. Mi hanno detto di venire qui."
"Okay."
"Che stai facendo?"
"Gioco."
"A cosa?"
"Non lo so."
"Come non lo sai?"
"Devo ancora scegliere."
"Mh. Posso vedere?"
"Okay."

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