La matta. - Parte 2.

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"Ti va di parlare in inglese?"
"Perché no?"

Ubriaco com'ero, le parole uscivano da sole, senza nemmeno doverci riflettere. Sembrava facilissimo parlare inglese. Lei mi fece notare qualcosa che già sapevo: che la mia pronuncia era devastata dal mio forte accento italiano, e che se non fosse stato per quello, non sarebbe stato poi così male.

Tagliavamo la città, infischiandocene delle norme sociali e ancor di più di quelle stradali; e le strade non sembravano mai troppo pericolose da attraversare. A volte gridavo:

"Ma dove cazzo siamo!?"
"Non lo so! Cammina!"

E continuavamo per le aiuole e le isole di traffico, per poi spuntare su qualche nuova strada che non portava a nulla, come la precedente. Svoltato un angolo, ci meravigliammo di un paio di scarpe che giaceva abbandonato su un marciapiede qualsiasi. Proprio in quel momento, passava un uomo africano, che fermai in preda allo sbalordimento per le calzature disperse e da noi ritrovate. Ancora parlavamo inglese.

"Hi! We found some shoes, do you need that? Or any friends of yours?"

E lui rispose in un inglese ancora più scarso del mio. La difficoltà nel comunicare era palese e lui sembrava volersene andare. Poi disse:

"Ma non parlate italiano?"
"Sì, siamo italiani", e ridevamo come due idioti. Pure l'africano rise.

"Allora perché parlate inglese?"
"Per ridere. Ti servono delle scarpe?"
"No. A voi serve da fumare?"

Io e la matta ci guardammo.

"Cos'hai?"
"Quello che volete: fumo, erba, crack."

Scoppiammo a ridere e gli confessammo che il crack era un po' troppo per noi.

"Dell'erba però la prendiamo."
"Sono dieci."

La matta si sedette col culo sul marciapiede e si mise la borsa sulle gambe, da cui estrasse il portafoglio. Dieci euro in mano all'africano, e lasciandoglieli, lei chiese ancora:

"Non abbiamo né cartine né filtri però. Tu li hai?"
"No, ma c'è un tabacchino proprio qua."
"Se vai a comprarceli un momento, noi ti aspettiamo qua."
"Certo, va bene.", mentre lasciava sul palmo della matta una pallottola di carta stagnola.

Non so cosa ci aspettavamo, ma l'uomo africano non tornò. A ogni modo, cartine e filtri sono inutili, se spiegando la stagnola non si trova uno straccio d'erba.

"Credo ci abbia truffati."
"La truffa più facile della sua vita. Siamo due idioti."

Ma questo ci fece ridere ancora di più di quanto non stessimo già ridendo; perché sentirsi stupidi assieme era bello da morire.

A proposito di morire: lei era davvero molto ubriaca, e mentre io mi ero mangiato quasi tutte le patatine da solo, lei ancora si rifiutava di mangiare. Cena non l'avevamo fatta e il suo stomaco era stato riempito soltanto di vodka e Sprite.

Si tolse la gonna e le mutande in un istante e pisciò in un parchetto ambiguo, che si affacciava sulla strada. Io da gentiluomo quale sono, distolsi lo sguardo e poi l'accompagnai alla panchina su cui sarebbe morta. Non in senso letterale. Intendo che a quel punto doveva proprio riposare.

Si sdraiò e le appoggiai la sua testa sulle mie gambe. Era proprio bella, silente e abbandonata a me; fino ai primi spasmi di vomito. Allora mi scostai su un lato, e come promesso la sera stessa, le tenni i capelli. Lisci, mi passavano tra il pollice e l'indice, e il resto della mano le teneva la fronte. A mezzanotte vomitò per la prima volta, e in qualche attimo di coscienza farfugliava:

"È assurdo se ci pensi."
"Sì, assurdo."

Poi un uomo, casualmente di colore, si avvicinò a noi.

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