Cocci rotti.

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Credo di aver rotto qualcosa dentro di me. Sento questa profonda tristezza che mi attanaglia. Mi chiedo quale sia il motivo. Voglio dire, non mi manca nulla. Non so nemmeno cosa rispondere alla domanda: "cosa vorresti per il tuo compleanno?". Non lo so. Forse nulla. Peccato che sono anche un ipocrita e mi offendo se non mi viene regalato niente.

Mio padre di recente (al momento in cui scrivo questo capitolo) ha azzeccato il regalo giusto per me. Una bella scacchiera di legno, con pezzi napoleonici colorati a mano. Il tutto si appoggia su una scultura in legno, fatta da mio padre, che ritrae la torre degli scacchi della suddetta scacchiera (scolpisce con la motosega, è pazzo). Un'opera meravigliosa.

Per un momento ho provato un'allegria che avevo lasciato ai tempi del mio dodicesimo compleanno. Poi ho iniziato a sentirmi male. Perché ottengo sempre ciò che voglio, senza il minimo sforzo? È da anni che ho questa sensazione, che mi fa sentire come se tutto attorno a me fosse palesemente irreale.

Era la stessa scacchiera, ma mi sentivo infelice ad averla tra le mie mani. L'adoro. La odio. No, la adoro, lei odia me. No, le scacchiere sono oggetti, non possono odiare. Perché non essere felice e basta? Non lo so. Sono tornato a casa e ho rotto un pezzo dando un colpo alla scacchiera, per errore. Era in casa mia solo da qualche ora. Quello è stato reale. Il re nero senza testa ai miei piedi. Napoleone decapitato con un colpo secco. Sono corso a comprare della colla. Come nuovo. Mio padre non verrà mai a saperlo.

Profonda tristezza.

Diversa da quella che provavo in passato. Quella che ricordo era dovuta a eventi reali, che mi colpivano nella vita e che andavano affrontati. Ora mi sento così dissociato da me stesso. Le persone mi parlano e devo fingere che siano reali, perché sarebbe strano se mi comportassi come se non lo fossero. Libero arbitrio? Potrei abusarne. Accoltellarmi una gamba mentre parlo con la cassiera al supermercato. No, il dolore è molto reale. La fatica, il caldo, il freddo.

Con chiunque io parli mi trasformo in un'altra versione di me. Chi cazzo sono io? Spero di non essere quello che sono quando sono solo. Oh cazzo, mi sa che è così. Altrimenti chi sarei? Il bravo ragazzo, mai e per nulla al mondo sboccato, che è gentile con tutti? Il ragazzo volgarotto che fa un sacco di battute e si crede tanto spiritoso? L'altezzoso signorotto acculturato che si fa beffa degli ingenui? Quello con la faccia da culo? Quello pigro che sbologna il lavoro ai più ambiziosi? Quello che sogna troppo?

Tutto meglio di quello che sono quando sono solo.
Non posso più rimanere per molto a casa senza compagnia. Però vivo da solo. Ho avuto un coinquilino per un paio di mesi, poi ha preso un cane e ha reso la convivenza impossibile. Quando arriva la sera devo essere forte. Quando scrivo sono più forte. Altrimenti devo sperare di avere un po' d'erba e anestetizzarmi, o finisco per attaccarmi a una bottiglia e ubriacarmi. Non vorrei bere, mi fa star male. Preferisco fumare un po' e poi scrivere, giocare a scacchi o suonare finché non mi viene sonno.

In effetti non bevo quasi mai, è solo una certezza che accadrebbe. Di solito dorme da me la mia ragazza, o un mio amico. Quelle sere è tutto okay. O almeno ho meno tempo per pensare, che è un lusso. Gli idioti non sanno di avere tanta tanta fortuna. Quanto sarebbe bello se fossi io quello idiota.

Anzi, lo sono stato, ma non lo sapevo.
Quando avevo quattordici anni. Ero così stupido e ignorante. Il mondo attorno a me era vero e ci vivevo dentro. Non mi preoccupavo del fatto che siamo tutti merdosi atomi mischiati a caso in un brodo gigante, casualmente coscienti del fatto che esistiamo. Non mi rendevo conto che il mio cervello è in continuo mutamento e la persona che fui in passato è morta, perché non mi associo ai suoi comportamenti. Quindi il me presente morirà presto, sostituito da un altro flusso di pensieri. Perché questo siamo, i nostri pensieri del presente. Non siamo la stessa persona del passato, tantomeno del futuro. O sì? Forse ho fatto uno svarione.

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