Vino e antibiotici.

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Percorrevamo la strada sterrata che portava alla cima del Beigua; monte che sorge tra Varazze e Sassello, nonché meta per merendini e scampagnate.

Io ero stato caricato come un mulo e mi dovevo fermare ogni cinque minuti di strada: una tenda da campeggio a otto posti sulle spalle, uno zaino pieno di - non so cosa, ma di sicuro cose essenziali - che mi rimbalzava sullo stomaco, un sacco ricolmo di attrezzatura per la tenda nella mano destra e un altro sacco pieno di bottiglie di vino rosso nella sinistra.

Non avvisavo mai quando dovevo fermarmi. Mi lasciavo cadere a terra, stremato, con quella grossa tenda che mi attutiva il colpo e mi faceva da cuscino. Ogni volta, durante la caduta, mi andava un pensiero alle bottiglie di vetro, che scampanellavano per ricordarmi di fare attenzione. Non ne ruppi mezza. Qualche istante e le ragazze si accorgevano del mio corpo morente, ancora una volta a terra. Rimanevo sdraiato sulla tenda per qualche minuto, poi mi rialzavo senza sentirmi affatto riposato. E via, si ripartiva, senza che nessuna di loro alleggerisse il mio fardello.

La nostra meta era indefinita; volevamo soltanto trovare un posto pratico dove piazzare la tenda, e se avesse avuto un bel panorama mozzafiato, tanto meglio.

La strada era una e noi la seguivamo. Nessun bivio. Solo quella strada sterrata, che prima o poi sarebbe spuntata da qualche parte. In un bel prato, speravo.

Sarei stato contento se questo beneamato prato fosse sbucato presto, perché non ce la facevo più e mi stavo pure facendo del sangue marcio. Mic continuava a dirmi: "Comunque non è giusto che Selene e Clara camminino belle leggere, mentre noi ci camalliamo tutta la roba pesante.".

Lo ripeteva ogni dieci passi e io lo ripetevo a mia volta. Eravamo rimasti indietro noi due. Anche i suoi bagagli erano pesanti, ma i suoi lamenti mi sembravano meno giustificati dei miei. Un po' lo erano.

A ogni modo, la strada era una meraviglia per gli occhi e non mi stancavo mai di guardarmi attorno. Gli alberi ci facevano ombra per tutto il tragitto, ma passava quel po' di luce che bastava per far brillare la terra e il prato, tagliato dal sentiero. Di qua e di là, macchie marroncine sporcavano il manto erboso. A guardarle da vicino si capiva fossero i ricci caduti dai castagni. Con un po' di intuizione, dato che eravamo immersi in un castagneto, lo capivi anche guardandole da lontano.

Dopo una buona mezz'ora di attraversata, sotto pini e castagni, una via d'uscita.
Un dolce bivio che ci mostrava il primo spiazzo d'erba adatto a piazzare una tenda. Più che adatto, perfetto direi. L'alternativa era continuare la salita, su per quel sentiero, con la speranza di trovare un posto migliore. Ma non c'erano posti migliori per me in quel momento.

L'erba verde e bassa, e fitta abbastanza da rendere morbido il terreno; un materasso fornito dalla natura stessa. Ci piazzai la tenda in un attimo. Tutt'attorno, alberi dalla corteccia bianca. Betulle forse? Ricordo che facevano una bella ombra, e che erano alti, ma sottili. Vabbè, chi cazzo se ne frega? Erano alberi, punto. Forse betulle.

Inoltre, quello splendore era tutto per noi. Nessun campeggiatore a precederci ed era strano. C'è sempre qualche tedesco attrezzatissimo piazzato sui prati. Ma lì no. Lì c'eravamo solo noi.

In lontananza una vecchia struttura abbandonata; una villetta dell'orrore. Le entrate erano barricate, ma si poteva sbirciare dai vetri. Che bell'alone di mistero che creava. Più tardi, di notte, ogni tanto uno di noi alzava il dito e reclamava il silenzio per cercare conferme: "Lo avete sentito anche voi? Veniva dalla casa?" e tutti zitti ad ascoltare il nulla.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 19 ⏰

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