lisifobia

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Lisifobia: la paura di lasciare delle questioni in sospeso.

Datemi un buon motivo per alzarmi dal letto questa mattina, perché io non ne vedo nessuno all'orizzonte.

Facciamo una breve lista di cosa mi attende oggi: lezioni noiose come la morte, almeno per me, visto che per il resto dei miei compagni il linguaggio dei professori equivale a quello degli dei; una stupida festa a cui non volevo neanche partecipare, ma mi sono sentito moralmente obbligato a doverlo fare; un migliore amico non così migliore amico visto che non ha esitato un secondo a lanciarmi verso le braccia della persona che mi odia maggiormente sulla faccia della terra; e lei. Lei che non può neanche sopportare la mia vista.

Se ne dovrà fare una ragione, perché se esiste una legge non scritta nella scuola, è che nessuno e intendo nessuno può cambiare posto al corso della professoressa Smith.

E indovinate chi abbiamo tra i corsi di oggi? Ovviamente, quello di letteratura inglese.

Sapevo che lei una volta uscita dal riformatorio mi avrebbe odiato.

Ne avevo la certezza.

Ma nella mia mente non era giunta la realizzazione che prima o poi l'avrei incontrata e l'avrei affrontata.

In realtà, mi sono stupito di me stesso. Non sono mai stato particolarmente noto per il mio coraggio, tutt'altro. 

Ma appena ho iniziato a parlarle, è stato come se le parole non smettessero di uscire, un attacco di nostalgia così forte che non ero riuscito a contenere.

E poi lei aveva messo a tacere tutto, facendomi capire che per lei avevo lo stesso valore di una sua unghia del piede.

Forse neanche quello.

Con un sospiro frustrato mi costringo ad alzare il busto e scendere dal letto per dirigermi al bagno.

Con il mio diario.

Sì, insomma, potrò sembrare un tredicenne, ma ho un diario segreto, che poi così segreto non è dato che Richard ne è a conoscenza.

Mi ricordo ancora il giorno in cui, per sbaglio a detta sua, lo trovò nel cassetto della mia scrivania.

Il cassetto che io chiudevo sempre a chiave.

Chiave che poi mi riguardavo di portare sempre nella tasca interna della giacca della divisa scolastica, perché se qualcuno avesse mai letto quello che scrivevo al suo interno mi sarei scavato la fossa per l'imbarazzo.

E in pratica fu quello che successe.

Un profondo imbarazzo si impossessò di me quando, entrando in stanza, vidi Richard con il mio diario aperto, seduto sul letto, preso dalla lettura come non l'avevo mai visto in vita mia.

Spostai immediatamente lo sguardo sulla scrivania e il cassetto era stato sradicato da essa.

Per terra giaceva un piede di porco.

Dopo aver tolto di mano il mio diario da Richard, gli sbraitai contro a non finire e lui, probabilmente non reggendo alla pressione psicologica che gli stavo mettendo addosso, oltre che ai sensi di colpa per aver invaso la mia privacy, ammise che aveva forzato il cassetto solo perché pensava che fossi entrato in un giro di droga e diventato uno spacciatore.

Non era vero, solo che non voleva ammettere di essere un impiccione cronico. 

Subito dopo però Rick aveva iniziato a riempirmi di domande sulla ragazza di cui parlavo nel diario.

In. Ogni. Singola. Pagina.

Tutto parlava di lei in quei fogli.

Lei viveva in quell'inchiostro.

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