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Onomatofobia: la paura ossessiva di sentire un determinato nome o parola.


Emilia: 11 anni


"Emilia!!" urla la donna che dovrei definire mia madre dal salone.

Ogni volta che sento il mio nome scivolare tra le sue labbra una scarica di brividi si riversa inevitabilmente sul mio corpicino. Soprattutto perché osa farlo solamente quando papà non si trova a casa e lui non può prevenire quello che sta per accadere in questo momento.

Perché Vittoria vuole parlarmi solo in due possibili scenari: ho fatto qualcosa che le ha dato fastidio oppure qualcun altro ha fatto qualcosa che le ha dato fastidio.

In entrambi i casi, la situazione avrà una sola soluzione: lei che sfoga tutte le sue frustrazioni su di me.

Mi alzo controvoglia dal letto, se così si può chiamare, poiché consiste in un materassino gonfiabile avvolto in delle coperte logore.

Una volta giunta in salone la trovo per terra, con la schiena poggiata al divano, ma al di sotto di esso, invece che seduta al di sopra, come le persone normali. Non mi stupisco neanche perché l'ho trovata in posizioni ben peggiori. Come quella volta che si era stesa sul tavolo della cucina perché il letto era troppo morbido per i suoi gusti.

Non era vero.

La verità era che si era presa troppe "medicine".

Non sono così convinta che le medicine che prenda la mamma la aiutino a stare meglio, tutto il contrario. Ma non posso parlarne ne con lei ne con papà, quindi mi attengo al solito copione, ovvero rimanere in silenzio.

Le arrivo di fronte, aspettando che mi interpelli nuovamente, perché non voglio assistere ad un'altra delle sue crisi isteriche solo per aver parlato senza il suo permesso.

"Beh, che hai da guardare, bastardella?" mi attacca ed io sussulto a quell'insulto, ma cerco di farmelo scivolare addosso per non crearle ulteriore fastidio.

"Mi hai chiamata." mi limito a rispondere atona, aspettando che lei mi dia ulteriori indicazioni su cosa fare.

"Aiutami a tornare seduta su questo fottuto divano, almeno per quello sei utile o no?"

Sì, mamma. Sono utile, ti aiuto subito.

Questo è quello che vorrei dirle, ma mi freno, mordendomi la lingua, e annuisco, mentre avanzo verso il suo corpo spigoloso.

A volte mi mette paura per quanto è magra. A casa non c'è molto cibo, ma credo che siano quelle medicine a darle il colpo di grazia.

Posiziono le mie manine sotto le sue ascelle, sperando che le mie esili braccia riescano a tirarla su, per evitare altre umiliazioni.

Miracolosamente riesco a metterla in piedi, fino a farla sedere in posizione corretta sul nostro divano lercio e ruvido. Lei, a quel punto, scosta bruscamente le mie mani dal suo corpo, facendomi cadere col sedere sul pavimento. 

"E togliti di dosso!" sibila con astio. Astio che rivolge unicamente nei miei confronti o quelli di mio padre.

Una scossa di dolore parte dal mio fondoschiena fino a raggiungere il collo. La parte bassa del mio corpo continua ad emettere fitte pungenti che non sembrano voler diminuire. Chiudo forte le mascelle, facendo digrignare i denti tra di loro, per cercare di attutire la sofferenza in qualche modo. Gli occhi iniziano a farsi lucidi contro la mia volontà e un calore indesiderato inizia a spargersi nella parte centrale del mio viso.

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