Athazagorafobia

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Athazagorafobia: paura di essere dimenticati o ignorati.



Penso che il mio cervello stia andando a puttane.

Per avere un po' di contesto: io e William siamo in camera mia, è un venerdì pomeriggio, quindi nessun corso pomeridiano, e lui è entrato qua dentro, senza dire una parola, con un espressione tra l'incazzato e l'indifferente.

Non mi parla da una settimana e mezza, da quella mezza discussione avuta in infermeria anche con Elijah, e si è presentato qui solo un quarto d'ora fa, muto come un pesce, limitandosi a sdraiarsi per terra.

Non sto scherzando, il suo corpo è aderisce completamente al pavimento sottostante al mio letto, con le gambe e braccia incrociate.
Fa un po' ridere, perché sembra quasi che stia prendendo il sole.

Io non gli ho detto nulla, l'ho guardato dall'altezza del mio letto, mentre lui, con tutta la calma del mondo, andava a stendersi.

E il motivo per cui sento che il mio cervello stia esaurendo i neuroni a disposizione è perché non mi ha degnata nemmeno di uno sguardo da quando è qui e sto cercando di capire il perché si stia comportando in questo modo.

Non sono mai stata brava nel relazionarmi. Sì, sono una brava, se non ottima, osservatrice, perché, essendo abituata a stare dietro le quinte rispetto che sul palco, ho imparato a comprendere il linguaggio corporeo. Sebbene sia in grado di intendere le reazioni, non sono alquanto capace di capire l'evento scatenante di esse. Mio padre e mia madre non mi hanno mai dato modo di farlo, essendo loro i primi a comportarsi in maniera imprevedibile. Motivo per cui mi aspetto di tutto da tutti. L'unica persona con cui realmente mi sono relazionata al di fuori di loro è stata Elijah, ma le sue azioni mi hanno fatto rivalutare tutto quello che credevo di aver imparato.

Perciò adesso sto cercando di far fare due più due al mio cervello, sperando che il risultato che darà sia un quattro e non un patetico cinque.

"Sei arrabbiato." La mia voce rimbomba, facendo un piccolo varco nella tensione che si era andata a creare nei precedenti venti minuti.

Lui risponde con un mugolio.
Nient'altro.
Non mi guarda.
Non dice nulla.

Primadonna.

"Sei arrabbiato con me."

Questa mia frase gli causa un piccolo movimento del viso, cioè alza l'angolo delle labbra impercettibilmente. Non emette suoni e la sua bocca torna a riassumere la solita posizione che ha al riposo.

"E il pavimento ti sta facendo appiattire il culo già piatto che hai."

Si gira di scatto, con un sopracciglio alzato che va a scomparire tra i riccioli neri che gli coprono la fronte, "Io non ho il culo piatto."

Colpito e affondato.

Se vuoi ottenere una reazione dagli uomini, punta al loro ego.

"Ah, allora parli." Gli faccio il verso e mi fingo stupita dal fatto che abbia smesso di comportarsi da bambino permaloso.

A dire il vero, questo suo atteggiamento infantile mi fa staccare un po'. La mia testa non è un bel posto in cui stare da soli, ma quando c'è William, con le sue battutine inappropriate e le sue provocazioni invadenti, metto da parte quello che penso e mi concentro sul presente. È una boccata d'aria fresca. Aria di cui io sono stata privata per tutto questo tempo e di cui ora ho disperatamente bisogno.

Lui non mi risponde, ma almeno inizia a muoversi. Fa un po' di forza sugli avambracci fino a mettersi seduto, procede poi a mettersi in ginocchio e a girarsi nella mia direzione, non più col volto diretto verso la porta.

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