4. Scarlett

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Stavo ridendo per la battuta che aveva appena fatto Jesse, quando Gavin apparve nella cucina di casa mia. Mi congelai sul posto. Nessuno, a parte Connor, parve accorgersi del gelo che si era portato dentro il mio ragazzo.

O forse ex-ragazzo?

Eravamo seduti attorno all'isola e stavamo facendo colazione tutti assieme. Come quando eravamo piccoli. Per un attimo avevo dimenticato la brutta situazione in cui Gavin ci aveva infilato. Mi stavo divertendo.

I miei fratelli girarono le teste e lo salutarono. <<Ehi, piccolo G!>>, lo accolse Louis alzando il pugno in aria per farselo ricambiare.

Gavin mi cercò con lo sguardo mentre salutava tutti. Abbassai gli occhi sulla punta dei miei piedi nudi. Volevo solo che sparisse dalla mia vista perché nell'attimo in cui l'avevo rivisto, l'immagine nitida nella mia testa di lui che infilava la lingua nella bocca di June scorreva in loop.

No, non sarei riuscita a passarci sopra. Qualcosa dentro di me si era rotta definitivamente la sera prima.

Le cose fra di noi avevano cominciato ad andare male già dopo Capodanno. Gavin era diventato geloso e storceva il naso ogni volta che io e Lola uscivamo assieme ad alcune amiche del College il venerdì sera. Erano semplici uscite fra ragazze.

Eppure ogni volta trovava un pretesto per discutere.

Mi sentivo controllata e in gabbia. Uscire con le ragazze per me non voleva dire di certo buttarmi sul primo uomo che mi parlava. Significava distrarmi dallo studio e divertirmi per un paio d'ore.

Io non potevo. Lui invece usciva quasi tutte le sere perché veniva invitato a qualsiasi festa in programma nel campus e non. Io non gli avevo mai vietato di andarci purché mi rispettasse.

Dopo la notte scorsa, non ne ero più tanto sicura.

Quando Connor durante le vacanze di primavera aveva cominciato a scrivermi con più frequenza, avevo deciso di non dirgli niente. Parlavamo e basta. Di cavolate il più delle volte.

Io e Connor eravamo stati sempre buoni amici. Non volevo perderlo perché Gavin era geloso di me. Era l'unica, piccola, ribellione che mi ero tenuta per me. Non facevo niente di male.

Gavin si avvicinò. Non riuscii a guardarlo. Si abbassò per stamparmi un bacio sulla guancia, ma mi spostai di lato, vicino a Mason. <<Possiamo parlare?>>, chiese.

Scossi la testa. <<No. Ora non mi va>>.

<<Per favore>>, mi implorò.

I miei fratelli osservarono la scena. Mi sentii bruciare anche dallo sguardo di Connor alle mie spalle. <<Dopo, forse>>.

Sbattè una mano sul ripiano della cucina, facendomi sobbalzare. <<Cazzo, Scar. Mi dispiace da morire>>. So che la sua rabbia non era rivolta verso di me. Lui era arrabbiato con sé stesso. <<Va bene. Parliamo dopo>>, si arrese.

Uscì dalla porta sul retro e lessi nelle espressioni dei miei fratelli che avrebbero voluto chiedermi cosa diavolo era appena successo. <<Restatene fuori>>, li implorai. Ci mancava solo che uno di loro facesse a cazzotti.

Annuirono. Ero la loro sorellina, se avessi chiesto la luna, probabilmente avrebbero fatto in modo di procurarmela. Li amavo incondizionatamente. Averli sotto lo stesso tetto dopo diverso tempo poi era bellissimo.

Louis si era appena laureto a Standford e a breve avrebbe cominciato un tirocinio in ospedale. Jesse aveva uno studio di tatuaggi in centro e Mason era lo sportivo di casa. Giocava a basket per la Brown.

Non sarebbero rimasti a lungo in questa casa. Ognuno aveva il proprio appartamento, perciò vederli qui per qualche settimana era un bellissimo regalo.

I nostri genitori erano in viaggio e ci sarebbero rimasti per tutto giugno. Dopo la pensione, avevano deciso di mettersi lo zaino in spalla ed esplorare il mondo. Si trovavano in India o in Cina non ricordavo bene.

Tornarono a mangiare, mentre io allontanai il piatto di pancake quasi intatto lontano da me. Mi si era chiuso lo stomaco dopo l'improvvisata di Gavin.

<<Stasera tu e Lola vi unite a noi per il falò?>>, mi chiese Jesse. Lo ringraziai mentalmente per aver cambiato argomento.

<<Sì, ci saremo>>, confermai.

Louis mi fece l'occhiolino. <<Così possiamo tenerti d'occhio>>.

Incrociai le braccia al petto. <<Non ho più cinque anni. So badare a me stessa>>.

Mason sollevò un sopracciglio. <<Davvero. Quindi non sei tu che un mese fa mi hai telefonato perché eri rimasta chiusa fuori dal tuo monolocale?>>, mi prese in giro.

<<O quando mi hai chiesto di venirti a prendere perché avevi bucato una gomma mentre facevi manovra contro un marciapiedi?>>, continuò Jesse.

Sorrisi. <<Volete che cominci ad elencare tutte le volte in cui io sono dovuta a ritirare i vostri culi ubriachi da qualche parte?>>, li provocai. Avevo davvero delle belle storiella da raccontare su ognuno di loro.

Connor rise alle mie spalle. <<Voglio proprio sentirle queste storie>>.

Mi girai sulla sedia. <<Ne ho anche su di te, sai. Tipo quella volta>>, ma non mi lasciò terminare la frase perché si fece avanti e mi tappò la bocca con la mano. Sapeva quello che stavo per dire. Avevo giurato di non dirlo mai. Ma, ehi, si stava divertendo alle mie spalle.

E in guerra tutto è lecito.

Si morse il labbro inferiore e i suoi occhi verdi si agganciarono ai miei. Erano sempre stati così brillanti? <<Avevi promesso>>, mi rimproverò.

Provai a parlare ma avevo ancora la sua mano sulla bocca. Perciò lo morsicai. Dopo che cresci con tre fratelli, impari in fretta come uscirne illesa. <<Ahi>>, si lamentò.

Sghignazzai. <<Oh, scusa. Ti ho fatto male?>>.

Connor mi caricò sulla sua spalla talmente rapidamente che non me ne accorsi nemmeno quando si mosse. I miei fratelli scoppiarono a ridere mentre lui mi trasportava come un sacco di patate. <<Dove mi stai portando?>>, gridai terrorizzata. Mi aggrappai alla sua maglia.

Si incamminò fuori, in giardino. <<Ora lo vedi>>.

Mi sentii leggera, come se fluttuassi nell'aria e poi finii sott'acqua. Quello stronzo mi aveva appena lanciata in piscina. Scoppiai a ridere. Avevo bisogno di un po' di spensieratezza.

Connor me l'aveva appena regalata. 

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