09 - Quasi umana

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Alla fine Nick andò via e la pizza, come l'aveva chiamata lui, l'aveva lasciata quasi interamente sul tavolo. Ci pensai un po' su e, per non sprecarla, scelsi di mangiarla io. Tanto una volta buttato giù tutto, non avrebbe potuto far più nulla per cacciarmela dallo stomaco.

O forse,
forse l'aveva lasciata lì apposta per me.
Non lo avrei saputo mai.

Erano appena le otto ed io mi precipitai in cucina per la colazione. Appena attraversai la porta, lo sguardo di Matthew mi percorse dalla testa ai piedi. Nonostante le mie condizioni pessime, i suoi occhi sembravano quasi desiderarmi, completamente. Al suo fianco c'era Henry, in divisa, perfetto e autoritario quanto suo figlio. L'uno la fotocopia dell'altro.

«Buongiorno Harley» mi sorrise, continuando a sbucciare una mela. «Hai deciso di iniziare a mangiare?»

«Dovrò avere le forze necessarie se poi vorrò provare a scappare di nuovo» diversamente da come immaginavo però, mi rispose con una risatina divertita. Ero seria, ma evidentemente non fui colta a dovere. Io qui dentro non voglio restarci. Non avevo cambiato ancora idea ed ero certa che non l'avrei fatto mai, neanche se avessi dovuto mai perdere la testa,
in qualsiasi senso.

Mi sedetti di fronte a loro, a metà tra l'uno e l'altro e aspettai che mi venisse servito del cibo dalla domestica. Una donna molto carina, bassa e sulla sessantina. Aveva dei tratti simili a mia madre, ma i suoi modi di fare no, per niente.

L'avevo guardata, per cercare di capire se volesse una mano, però con uno sguardo e una scuotata di testa mi fece subito intuire di no. Ovviamente non insistetti. Non ero abituata a farlo e non l'avrei fatto di certo adesso. Forse un po' ci speravo mi dicesse di no, non avrei saputo da dove iniziare.

Di tanto in tanto i miei occhi frugavano in giro, non a caso, stavo cercando Nick. La sua presenza fastidiosa si sentiva bene e quando invece non c'era, si sentiva meglio. Ero a tanto così dal fare domande su di lui, ma il mio orgoglio me lo impedì. Fortunatamente.

Tuttavia, odiavo l'idea di star facendo entrare un estraneo nel mio mondo. Io non ero così, io non cercavo gli uomini, io non mi preoccupavo, non mi intimorivo, non abbassavo la guardia... ma quella mattina sentii qualcosa di diverso in me, era come se stessi iniziando a mandare a fanculo tutti i sacrifici e gli sforzi che avevo fatto per arrivare dov'ero...

E sapevo che non doveva accadere.
Come sempre, il mio unico punto a favore era che tutto poteva restare nascosto, dentro di me. Non sapevo per quanto e se fosse effettivamente possibile tenere tutto dentro, ma potevo provarci.

Il pomeriggio trascorse tranquillamente. Tranquillamente, si, fino a quando la mia quiete non fu stravolta dal via vai di persone estranee con scatoloni piuttosto ingombranti. Ero in giardino, seduta sull'erba, con un quaderno,
intenta a disegnare volti,
e l'ultimo assomigliava particolarmente a Nick.
Non era mia intenzione, ma in quello sguardo provocante non facevo altro che vederci lui.

Lo lasciai da parte, ancora aperto ed incompleto, volevo capire cosa stesse succedendo all'interno.

Mi guardai attorno esterrefatta, come se questa fosse la prima volta che vedevo altri esseri umani. Mi sorridevano. Sembravano cordiali, eppure nessuno mi rivolse la parola.

In lontananza scorsi la figura slanciata di Matthew. Appena alzai un braccio per richiamare la sua attenzione, una mano, grande e profumata, mi si spiaccicò proprio in faccia. Il cuore quasi mi scoppiò. La scacciai immediatamente e afferrai il colletto di colui che si rivelò essere Nick. Lo portai a me, al mio viso, e lui me lo lasciò fare. Probabilmente non fu una buona idea. Stavo bollendo sotto il suo sguardo e quel sorriso di sfida mi stava torturando la mente, tanto da mandarmela in fumo.

«Questo non ci si addice ad una principessina» sussurrò, prendendosi gioco di me. Bastò la sua voce, bassa e penetrante, a farmi arrossire. Contro me stessa provai comunque a restare di pietra, però sapevo di star faticando più del previsto. Non avevo più il controllo di me e non avevo idea di come riacquistarlo, quindi scelsi la via più facile:

«Che sta succedendo qui?» corrucciò l'intero volto in risposta e mi strinse la mano, solo per liberarsi dalla mia presa, ora più leggera. Mi guardò per un po' dall'alto e ripreso possesso di sé, sorrise beffardo, dandomi le spalle.

«Se non sbaglio le risposte che cercavi hai detto che te le saresti prese da sola.» disse pavoneggiandosi, alludendo ad uno dei nostri discorsi che ricordavo alla perfezione. Maledetto quel giorno.

«Stavamo parlando di altro.»

«Ah si?» la sua risatina toccò un tasto che avrebbe fatto meglio ad evitare. Sentivo le fiamme negli occhi, se solo mi avesse guardata, le avrebbe viste anche lui. Ogni mia reazione era esagerata e questo avrei dovuto tenerlo bene a mente così che, una volta sola, avrei potuto studiare un piano ben elaborato per tornare con i piedi per terra pur avendolo di fronte. Presa da uno scatto d'ira, cominciai a correre, ad azzerare tutta la distanza che c'era fra noi. Gli saltai alle spalle e mi aggrappai al suo corpo come un koala assassino. Mi agitavo e cercavo in ogni modo di coprire il suo viso con le mani. Ovviamente non restò indifferente per molto e provò a liberarsi da me.

«Che stai cercando di fare?» nel suo tono questa volta c'era un bel po' di fastidio e non mi dispiaceva affatto. Amavo ricevere reazioni, belle o brutte che fossero... erano come una sorta di dimostrazione, come a dirmi: "si, ti ho percepita" ed io volevo essere percepita.

«Sei solo un bambino viziato. Ti odio.» urlai, senza dar peso a tutte le altre persone che erano nella stanza affianco.

«Chi ti ha insegnato a combattere? Un peluche?» chiese retoricamente, provando a liberarsi di me.

«Tua madre sarà scappata per la disperazione. Tenevate anche lei rinchiusa in questa cantina?» ma queste ultime parole mi costarono care. Tutta la sua quasi "accortezza" nei miei confronti, svanì. Con una forza quasi innaturale, mi spinse alla parete. Sentii un dolore atroce alla schiena e mi lasciò cadere poi sul pavimento.

«Non osare nominare mai più mia madre, cazzo» sibilò, minaccioso. Mi guardava dall'alto e per la prima volta provai paura. I suoi occhi erano di nuovo cupi e sulle labbra non c'era alcun segno di cedimento. Le sue mani tremavano e dal collo vidi un po' di sangue disegnare una linea verticale sulla sua pelle chiara - probabilmente lo avrò graffiato per provare a restare sulla sua schiena. Deglutii, indietreggiando ancora un pochino. Mi sentivo vulnerabile e in colpa, e non ero abituata a provare queste emozioni. Schiuse le labbra, come se volesse aggiungere dell'altro, ma alla fine passò una mano sul mento e si diresse altrove.

Ero spaesata e confusa. Non riuscivo a dargli colpe, forse in fondo me lo meritavo. Una volta sola salii in camera da letto e qui mi buttai sul materasso, con non poche complicazioni. Avrei dovuto prevedere le sue mosse, proprio come ero stata addestrata, ma sono stata colta alla sprovvista, di nuovo.
Ero giunta ad una sola consapevolezza:
Nick era l'unico in grado di scombussolare la mia vita, i miei piani e la mia corazza.
Non doveva accadere,

Ma quasi mi piaceva.

"Out of control" - Gabriel Guevara FFDove le storie prendono vita. Scoprilo ora