18. Vorrei ma non posso

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Eravamo ancora mano nella mano mentre ci dirigevamo verso la riva. Camminavamo lentamente e in un silenzio tombale. Non ci credevo, non riuscivo a credere di star calpestando la sabbia. Era bollente, quasi fastidiosa, ma non per questo desideravo fuggire. Cercavo di godermi ogni momento, ogni passo, ogni secondo.

Quando capitava buttavo anche qualche occhiata a Nick, come se volessi avere delle prove, come se volessi essere certa di star vivendo quel sogno.
Come se ancora avessi un po' paura di svegliarmi.

Mancava pochissimo all'acqua,
ed inaspettatamente si fermò;
cercai il suo sguardo, curiosa,
e senza farmi aspettare poi molto,
mi accontentò ancora una volta.

«Puoi lasciarmi?»

Ci mise del tempo prima di aprire bocca, però lo fece:
«Non scapperai, vero?» restò a guardare i miei occhioni, non aveva alcuna certezza, non volevo dargliene, eppure scelse di lasciarmi la mano. A questo suo gesto di fiducia, gli sorrisi. Un sorriso semplice. Un sorriso che a malincuore venne ricambiato. Senza prestare più attenzione a lui, misi i piedi in acqua. Era fredda. Mi accarezzava le caviglie con una tale dolcezza da farmi venire voglia di restare lì, ferma, per sempre. Non volevo andare avanti e non volevo andare indietro. Sarei potuta restare fissa in quel punto per tipo tutta la vita.

Chiusi gli occhi. Mi venne naturale.
Il leggero venticello mi sfiorava il viso.
Sorrisi ancora. Perché il sapore della vita era così bello? Perché non potevo goderne per sempre?

«2 a 0», disse Nick, dal nulla, ottenendo la mia attenzione e, diversamente dal solito, sembravo quasi divertita «per me, ovvio» sentenziò con aria fiera.

«Non vale»

«Oh si che vale, Harleen» esordì con tono provocatorio, accentuandolo grazie al suo sguardo profondo e a quel sorriso particolare, quello che solo chi vuole avere potere riesce veramente a ricreare.

«Tu conosci i miei punti deboli e li stai usando contro di me»

«Ti dispiace?»

«Non lo so» e in quel "non lo so" che più che "si" si celava un "no, lo adoro da impazzire", ci perdemmo un po' entrambi. A chi piaceva perdere? A nessuno. Neanche a me, abituata alle mie vittorie, ma quella, più che una sconfitta mi sembrava una conquista, in fin dei conti avevo ottenuto la mia "libertà" «E sentiamo, qual è il tuo punto debole?»

«Quale pensi che sia?»

«Non ti conosco, Nick Laister, ma-» e con un movimento veloce, così veloce da non poter essere fermata, mi abbassai, presi un po' d'acqua e gliela schizzai in faccia, prima di iniziare a correre nella parte opposta.

Corsi. Corsi veloce.
Ridevo.
Ridevo e correvo.
Correvo e ridevo.
Nick mi seguì a ruota,
e iniziò a ridere a sua volta.
Mi prendeva in giro e correva.
Correvamo e intanto stavamo bene.
Non pensavamo a nulla,
solo a colorare quella spiaggetta abbandonata da chissà quanto tempo.
Assomigliava ad una di quelle scene già viste,
ma la verità è che di uguale a tutti gli altri,
non avevamo nulla.

Da non credere. Da non credere come due mummie imbalsamate come noi riuscivano a divertirsi per davvero. A ridere per davvero.
Senza preoccupazioni,
senza alcun tipo di pensiero.
Ci eravamo noi
e basta.

Mi sembra quasi inutile descrivere il momento in cui con le sue grandi falcate,
Nick Laister,
riuscì a raggiungermi per tirarmi a sé.
Mi prese, restandomi dietro.
Mi strinse fra le sue braccia forti e mi fece provare emozioni a cui dare un nome non è così facile come si possa pensare. Sentivo il cuore che batteva. Sentivo dei brividi. Sentivo del calore che non era poi così caldo. Sentivo emozioni. Sentivo qualcosa di nuovo e mi piaceva. Mi piaceva da matti.

E mentre continuava a tenermi stretta fra le braccia ridevamo, respiravamo forte, ci dondolavamo, ci aggrappavamo l'uno all'altra e poi cademmo giù, sulla sabbia. Vicini. Troppo vicini.

I nostri occhi luminosi si schiantarono e forse non erano così male a questa distanza, forse erano stati fatti a posta. Probabilmente non avrei saputo mai il vero punto debole di Nick,
ma adesso conoscevo la sua risata,
ed era il suono più bello che avessi mai ascoltato.

«Tu sei pazza» sussurrò, cercando di contenere il fiatone, per quanto gli fosse possibile.

«Sei già stanco?»

«No»

«Posso farti una domanda?» non volevo neanche aspettare, temevo di essere bloccata e questo non poteva accadere «Perché mi hai portata qui? Fa parte del tuo lavoro?»

«Farti stare bene?»

«Anche»

«Mi pagano per proteggerti. Per tenerti al sicuro.»

«E ora siamo al sicuro?» ci guardammo a lungo, restando in silenzio. Non sapevo ancora bene da cosa dovevo essere protetta, eppure era così, lì, stesa sulla sabbia, con quello strambo tipo al fianco,
non ero al sicuro...
ormai mi era chiaro.

Non ero al sicuro,
okay,
ma, stranamente, io si,
mi sentivo più che al sicuro.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 20 ⏰

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"Out of control" - Gabriel Guevara FFDove le storie prendono vita. Scoprilo ora