03 - Fuori

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Nessuno mi chiedeva spiegazioni, nessuno mi fermava, nessuno mi rivolgeva la parola o il più piccolo degli sguardi. Nonostante fossi io la vera protagonista della festa, si avevano occhi solo per il contorno. Quando non c'erano telecamere era come se fossi invisibile agli occhi degli altri, cosa che assolutamente giocava a mio favore in un momento del genere.

In questa sala gremita di gente di qualsiasi età, sembrava che ci fossi soltanto io e la mia voglia di fuggire. In 21 anni, non avevo mai pensato al piano perfetto per scappare, diciamo pure che non ne avevo neanche tanta voglia, e invece adesso... nell'esatto istante in cui muovevo i piedi, pensavo a quando sarei stata fuori. A quando avrei stracciato il vestito troppo stretto per scavalcare il cancello. A quando sarei stata costretta a correre per non essere fermata e riportata a casa. A quando non avrei saputo più dove andare o come chiedere informazioni senza farmi riconoscere. La sola idea di poter finalmente osservare il cielo da un'altra angolazione, magari in mezzo alla natura o magari in riva al mare, mi eccitava.

Di fronte, avrei potuto avere anche l'essere più insensibile della Terra, che tanto alla vista dei miei occhioni azzurri, quasi sereni, quasi con una luce in più, non avrebbe mai cercato di sottrarmi dalla libertà che già sentivo sotto pelle. Mai. Mai perché io non sorridevo spesso, non parlavo spesso, non ballavo spesso, non piangevo, non provavo emozioni e allora si, quando mi avrebbe vista correre con un'espressione che sapeva di pace, lo ripeto: non avrebbe avuto il coraggio di fermarmi, perché quando sorridevo, quando parlavo, quando ballavo, quando piangevo, quando riuscivo a provare emozioni, sembravo umana: vera e luminosa.
Ed io, umana, non lo ero mai.

Dunque, con una calma estrema, quasi spaventosa, andai avanti, seguendo alla perfezione la mia scaletta mentale. Ripetevo che non poteva andare storto neanche un solo passaggio. Non potevo rischiare di perdere la mia unica possibilità di riuscita per uno stupido errore di distrazione.

Raggiunsi l'ingresso, passando inosservata. Scesi i cinque gradini dell'entrata principale e mi fermai di colpo. Se per arrivare fin lì, nessuno mi fece domande, non potevo sperare di scavalcare il cancello con altrettanta facilità. Mi guardai furtivamente attorno, cercando di capire in quanto tempo mi avrebbero potuta raggiungere. Nessuno mi avrebbe fermata, o almeno non con piacere, ma di certo non potevano starsene con le mani in mano.
Quindi, guardandomi bene attorno, sfidando con gli occhi le guardie, contai fino a tre e levai i tacchi alti con la stessa velocità che usai per stracciare la coda del vestito che avrebbe potuto impedirmi qualche movimento. Mi bastò un guizzo e immediatamente la guerra cominciò.

Avevo previsto che non sarei stata l'unica a correre, avevo previsto che non sarebbe stato facile e persino che sarebbe stato divertente... l'evento più elettrizzante della mia vita. Se avessi avuto il diario dalla copertina scura, non avrei esitato nemmeno un secondo per inciderci la data del mio ventunesimo compleanno!

Il modo in cui riuscii a salire sul bordo sottile del cancello nero, si poteva definire "da Oscar".
Mi guardai indietro per un'ultima volta, quasi a voler imprimere nella mia anima questa facciata bianca, che finalmente sarebbe poi stata solo un lontano ricordo.

O almeno,
era questo il mio intento.

Quando mi trovai fra le strade poco illuminate e deserte, riuscii finalmente a vedere colori diversi e a respirare l'aria, quella vera. Stavo scappando via dal mio destino, correvo e, i piedi quasi stavano iniziando a prendere vita propria. Sentii il mio nome urlato forte, ma non mi fermai. Sentii il cuore esplodere, ma non mi fermai. Sentii un dolore lancinante al fianco sinistro, ma non mi fermai neanche questa volta. Anzi, sciolsi la coda alta e lasciai che i capelli mi svolazzassero da una parte all'altra, seguendo il mio andamento veloce. Feci attenzione ad ogni passo pur di poter scanzare le pietre o qualsiasi altro ostacolo avesse potuto rallentarmi. Mi infilai in vicoli che non conoscevo, attraversai corsie senza guardare a destra o a sinistra, mi nascosi dietro le macchine - ed ero pronta a tutto. Avevo messo in conto l'idea di dover vivere scappando per il resto della vita pur di recuperare i miei 21 anni trascorsi al buio e, non mi dispiaceva. Avevo messo in conto anche l'idea di poter restare da sola per sempre; ormai non riuscivo a riconoscermi se non con l'etichetta della snob da evitare come la peste bubbonica, anche dai miei familiari. Non che intorno avessi mai avuto molte persone, ma lo vedevo dagli sguardi di chi si trovava nella mia stessa stanza che, se avessero potuto, mi avrebbero buttato merda addosso.

Dei miei circa venti cugini, ero l'invisibile. Ovviamente gli ospiti non facevano eccezione, non mi restavano accanto per più di un saluto neanche per sbaglio. Nessuno si prendeva mai la briga di capire cosa passasse per la mia testa, o perché quando parlavo lo faceva solo per sputare acidità. Tuttavia, devo ammetterlo, un po' li compativo, ero proprio una che ti veniva da tenere a distanza. Una che sembrava avercela col mondo intero. Una che si chiudeva nel suo silenzio e provava ad immaginare come sarebbe stato avere una vita diversa. Una che non ti guardava mai in faccia e che quando invece lo faceva, ti fulminava. Ero una di quelle che quando sul comodino c'era una fila di libri, li doveva sistemare per altezza. Una di quelle che cominciava a scrivere una storia e poi ne cominciava subito un'altra perché la situazione le stava sfuggendo di mano. Ero una di quelle che si rifugiava nell'universo, ma non aveva mai visto la luna fuori dal suo cancello di casa. Non avevo mai messo i piedi in riva al mare. Non avevo mai fatto tardi il sabato sera. E non avevo mai avuto la possibilità di sbagliare o cadere o semplicemente vacillare. Non avevo neanche mai desiderato nulla, perché tutto quello che volevo era in quella villa e se non c'era, il giorno dopo c'era.

Come ho già detto,
non ho mai preteso nulla, se non la libertà...
e questa,
nessuno poteva regalarmela.
Nessuno, tranne me.

Era la prima volta che mi sentivo così bene. La prima volta che mi buttavo in queste strade, da sola. La prima volta che non sapevo dove andare e cosa sarebbe potuto succedere dopo. Eppure, non mi importava, l'unica cosa che contava davvero era andare lontanissimo, lasciare quanti più chilometri era possibile tra me e la mia casa; per cui correvo, correvo veloce, sfidavo il vento e le leggi della fisica, e l'ho fatto fino a non poterne più, fino ad aver disperso le mie tracce, raggiunto un punto indefinito della città e pensato finalmente: ''sono libera''.

Ormai le gambe mi facevano male e restare ancora in piedi era impossibile. Mi piegai leggermente sulle ginocchia. Ripresi fiato e appena alzai di poco lo sguardo, capii di aver bisogno di un nuovo piano. Avevo fame. Ero stanca e faceva freddo. Pensandoci, avrei potuto fare un salto in camera e prendere altri vestiti, piuttosto che uscire con un abito da festa tutto stracciato e per di più scalza.

Tutto sommato però,
era una situazione che mi faceva ridere,
dentro.

Anche se a fatica, feci qualche altro passo.

Raggiunsi la vetrina di un ristorante e restai a fissare i sorrisi, le mani, gli occhi... il cibo. Vidi qualcosa che prima di questo momento non avevo mai potuto neanche immaginare di sbirciare dal vivo: l'amore.
L'amore che un ragazzo ci metteva per far ridere la sua donna. L'amore di una madre mentre puliva le labbra sporche del figlio. Posai le mani sul vetro e restai per un po' a fissarli, come se non avessi mai vissuto su questa Terra.

Che poi, se uno ci pensa bene, l'amore non è invisibile, l'amore è nei piccoli gesti, negli sguardi, talvolta anche nelle parole. L'amore è complicità e non si trova dovunque, ma dove c'è, si rischia di affogarci dentro.

"Out of control" - Gabriel Guevara FFDove le storie prendono vita. Scoprilo ora