17 - Genio della lampada

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Non appena vidi l'enorme macchina nera del figlio dell'agente, i miei occhi cambiarono intensità.

Capii subito che non si trattava dei soliti giochini da tavola o delle lunghe chiacchierate stando seduti in giardino - cosa che a dirla tutta, si, mi destabilizzò un po'

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Capii subito che non si trattava dei soliti giochini da tavola o delle lunghe chiacchierate stando seduti in giardino - cosa che a dirla tutta, si, mi destabilizzò un po'.

Non ci eravamo ancora mossi dal giardino, non avevamo ancora attraversato l'enorme distesa di prato verde che ci circondava, ma ormai lo avevo capito: avevo già perso.

La sola idea di poter davvero andare via da quel carcere, pur non sapendo dove sarei andata a finire, mi mise il buon umore e quello no, quello non potevo nasconderlo. Me lo si poteva leggere in faccia e Nick lo sapeva, lo sapeva, non avrebbe mai rischiato con questa mossa.

«Sei pronta?»

«Sono pronta» era raro vedermi con un sorriso così sereno in volto. Un sorriso all'essenza della felicità. Mi bastò così poco e non riuscivo a contenermi. Era tutto strano. Diverso. Particolare. Bello. Persino Nick mi sembrò più bello.

Mi affidai a lui come mai avrei pensato di fare. E mi sentivo bene. Mi sentivo maledettamente bene quando d'un tratto, mentre sfrecciavamo a tutta velocità, l'uomo di ghiaccio (che ora tanto di ghiaccio non sembrava), schiacciò un pulsante per abbassare il tettuccio dell'auto e un altro per alzare il volume della musica.

Cercavo di controllarmi, ma quel ritmo che mi risuonava nelle orecchie era a dir poco elettrizzante. Dentro stavo per esplodere e Nick lo percepì. Speravo di poter fare questo da tutta la vita. Per un attimo era come se tutti quei film che avessi visto, stessero diventando la mia realtà.

Così, senza avvertire, cominciò a cantare a squarciagola, facendomi restare per un attimo di pietra. Non avrei potuto immaginare quanto fosse bravo ad intonare ogni nota. Non fece nulla di speciale, ma qualcosa di quell'essere che odiavo tanto, mi piaceva, non sapevo cosa in particolare, ma qualcosa mi piaceva tanto.

Lui mi guardava, quasi come se volesse chiedermi di cantare, di aprirmi, di lasciarmi andare per un po'. E se in un primo momento ne restai indifferente, alle sue continue smorfie, poi cedetti ed iniziai a ridere, ridere fortissimo, prima di iniziare a muovermi a ritmo, mentre sentivo i miei lunghi capelli svolazzare con una libertà che bramavo da anni.

Era così adorabile quella sensazione. Così sconosciuta e inebriante. Non lo ammettevo ad alta voce eppure quel momento, se avessi avuto il mio diario, lo avrei inserito fra i preferiti così com'era, senza cambiare nulla, neanche una virgola: io, una macchina dai vetri scuri, la musica, il vento e Lui... Nick Leister.

Quando arrivammo in un parcheggio piuttosto deserto, dover abbassare il volume della musica un po' dispiacque ad entrambi; tuttavia, sapevamo bene che la giornata era appena iniziata.

«Mi sembra chiaro di aver appena guadagnato un punto, signorina Harley»

«Sta giocando sporco, signor Leister» feci presente sporgendomi verso di lui, ricevendo in cambio un sorriso soddisfatto. Un sorriso che bastò a colorarmi di rosso.
Forse non era il sorriso in sé a tingermi in questo modo, ma la situazione, le sensazioni, il modo in cui era riuscito a migliorarmi la giornata. La realtà era che non mi fregava nulla di perdere, contro chi sapeva ogni mio fottuto sogno nel cassetto, non mi importava di cadere in basso, non mi importava perché per la prima volta ottenni ciò che da sempre ho potuto solo immaginare: un attimo di libertà. Okay, okay non ero sola, anzi, ero con la persona che mi teneva al guinzaglio, ma andava bene, non avevo nulla in contrario.

Scendemmo. Lui mi raggiunse. Mi prese la mano. La strinse. Mi trascinò con sé.
«Non è necessario» feci presente, con un po' di fastidio.

«È necessario» ci guardammo «Non pensare che io non sappia cosa si arriva a pensare in momenti come questi»

«Puoi smetterla di parlarmi come se fossi una principessa? È chiaro che mettendomi in carcere come se fossi il peggiore dei criminali mi avete tolto ogni potere.»

«Non sei in carcere. Ti dirò di più: ci sono donne che morirebbero pur di passare del tempo con me» a questa affermazione, piuttosto bizzarra, lo guardai ridendo. Non avevo mai udito qualcosa di così stupido come la strana presunzione del mio vicino.

«Di sicuro scapperebbero dopo la prima mezz'ora» io l'avrei fatto, se solo avessi potuto.

«Stai sottovalutando il mio fascino»

«Ti sorprenderà, ma in giro ci sono uomini più belli e garbati di te. Più romantici addirittura»

«Vorresti dire che non sono così?»

«Già» risposi con sufficienza.

«Ma se ti ho portata al mare. Chi altri ti porterebbe?»

«Non basta mica così poco per essere romantici, sai»

«Sto cercando di esaudire i tuoi desideri, ti sembra poco? Sto andando contro le regole per te» si fermò, trattenendo anche me esattamente di fronte al suo corpo tonico «Questo non è dolce?»

«Non è dolce. È normale» ripresi a camminare e lui subito dopo, contro la sua stessa volontà.

«Che significa "normale"?»

«Niente.»

«Avanti.»

«Ho detto "niente".» sbuffò «Mh e va bene. È normale, è normale nel senso che tutti vanno al mare, è normale andarci. È normale portare una ragazza al mare. È normale e credimi, è il minimo che tu possa fare. Ora sei contento? Soddisfatto?»

«Levati le scarpe, va.» si chinò per procedere e sottovoce, dopo un verso di disapprovazione, brontolò: «normale... TZ»

"Out of control" - Gabriel Guevara FFDove le storie prendono vita. Scoprilo ora