04 - Non si può sfuggire al proprio destino

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Ovviamente non potevo restare ferma in quel posto ancora a lungo, mi stavano cercando e se mi avessero trovata non avrebbero di certo chiuso un occhio. Conoscendo mia madre, aveva di sicuro già allarmato il mondo interno, senza farsi mancare proposte di qualche insolente somma di denaro per chi mi avesse riportata a casa.

Ormai avevo perso la cognizione del tempo e soprattutto dell'orientamento. Le strade erano tutte uguali, grandi, buie ed in questo punto anche abbastanza vive. Il che un po' mi terrorizzava, non sapevo quanti di loro sarebbero stati dalla mia parte e quanti invece avrebbero potuto tradirmi.

Il mio respiro era ancora pesante, il viso più sporco di qualche minuto fa e i piedi scalzi, più doloranti. Entrai in un locale, il primo che mi saltò all'occhio. Era molto alla moda, con una bella atmosfera vivace e festosa. C'erano luci colorate, musica forte e molte persone che ballavano e si divertivano da matti. Tutti fortunatamente molto impegnati per rendersi conto della mia presenza. Pensai che in altre circostanze non mi sarebbe dispiaciuto affatto trascorrere qualche oretta qui dentro, assieme alle mie amiche... in effetti, se avessi avuto una vita normale, avrei avuto anche delle amiche, magari pazze. Cercai di nascondermi dietro ogni uomo imponente, di infilarmi in posti minuscoli e soffocanti. Per quanto mi entusiasmasse essere qui, mi sentivo comunque inadatta ad un posto del genere, soprattutto in queste condizioni.

Mi avvicinai al bancone e aspettai che la bella ragazza con le ciglia foltissime, la frangia e i capelli rossissimi, legati in un tuppo scomposto, con un grembiulino bianco e sexy, mi si avvicinasse. Fortunatamente non ci mise troppo. Mi guardò dapprima con aria interrogativa, poi sorrise, in modo genuino. «Posso esserti d'aiuto?» chiese, con la solita aria di chi ama il proprio lavoro.

«Si... ho bisogno di un bicchiere d'acqua...» corrugò la fronte e strinse le labbra, mi apparve sempre più confusa. Poi quella confusa divenni io. Si avvicinò un po' troppo, mi squadrò a lungo e finalmente aprì bocca.

«La prima volta che mi viene chiesta una cosa simile» rispose, sghignazzando. «Sei umana?»

«È che, vado di fretta...» le feci presente senza scendere troppo nei particolari. Intanto mi misi a sbirciare in giro. Non posso abbassare la guardia. Al bancone c'era solo un altro ragazzo, non riuscivo a vedere bene il suo volto, aveva la testa china, troppo impegnato a mandare messaggi. Muoveva le dita in maniera davvero frettolosa, come se stesse scrivendo qualcosa di molto urgente. A riportarmi con i piedi per terra, fu la mano curata e pieni di anelli della barista.

«Ecco il tuo bicchiere di acqua» e passò al prossimo cliente, appena arrivato. Tuttavia, non feci in tempo ad afferrarlo, che un'altra mano, più grande, perfetta, altrettanto curata e delicata, lo strinse e lo spostò di poco dalla mia visuale. Sapevo perfettamente di chi fosse, le avevo osservate fin troppo bene per non riconoscerle.

«Sei appena scappata da una festa?» mi domandò, tutt'un tratto. La musica era alta, ma la sua voce maschile riuscii a distinguerla bene.

«Una cosa simile.» provai a riprendermelo, ma lo tirò ancora di più verso sé. Era come se lo stesse facendo apposta. Se avessi saputo prima che la gente fosse così idiota, espansiva ed insensibile me ne sarei stata a casa. Scherzo. Pensandoci meglio, no.

«Il tuo viso non mi è nuovo...»

«Impossibile» mi affrettai a rispondere, riprendendo il bicchiere. Lo guardai dritto negli occhi, scuri, come i capelli. La poca luce non mi permetteva di poterlo studiare meglio, ma dal suo modo elegante di vestire, sicuramente era uno di quelli a cui la vita regalava di tutto. Senza soffermarmi troppo sulla sua figura, perché a dirla tutta non ero qui per far amicizia, cercai di andarmene.

Come ho già detto: Non sono ancora libera,
non posso abbassare la guardia.

Ma ovviamente, ben presto capii che non mi sarebbe stato concesso neanche questo. Mi afferrò per la mano libera e mi tirò sul suo petto. Stordendomi. Aspettò di avere i miei occhi di ghiaccio nei suoi, impenetrabili, poi riprese: «Ti va di fare un gioco?» il suo modo intenso e bramante, mi irrigidì. Nessuno aveva mai osato posare un simile sguardo su di me. Per qualche strana ragione mi sentii più vulnerabile del previsto.

"Out of control" - Gabriel Guevara FFDove le storie prendono vita. Scoprilo ora