"Santo cielo, Harley.
Quanto ti ci vuole?
Gli invitati sono già tutti qui."
19:45Un po' me lo aspettavo:
il primo messaggio da parte di mia madre, Theresa, dopo le infinite chiamate senza risposta.
Come a farlo apposta lessi e lasciai il cellulare da parte. Ignorai completamente la continua vibrazione dell'aggeggio e mi piazzai di nuovo dinanzi allo specchio gigante, in bagno. Raccolsi la mia folta chioma di capelli scuri in una bella coda alta. Semplice, ma allo stesso tempo elegante e raffinata. Conclusi rapidamente gli ultimi ritocchi al trucco e presi dei tacchi a spillo, neri, da abbinare all'abito attillato che mi fu regalato in onore di questa cena di beneficenza: nient'altro che il mio ventunesimo compleanno.Le altre persone contavano i giorni che mancavano al loro, alcune persino le ore, come ad esempio mia cugina Carlotta... io invece lo avrei cancellato. Se solo avessi potuto, lo avrei eliminato dal calendario - tanto sapevo che sarebbe stato soltanto un altro anno da passare rinchiusa nel mio "reame" - neanche se fossi una delle criminali più ricercate al mondo.
Avevo tutto quello che si poteva desiderare, tutto, tranne ciò che volevo di più: la mia libertà.
Non riuscivo proprio a capire come le altre ragazze potessero desiderare una vita così...
così priva di vita,
come quella che ero costretta a vivere io.
Pensandoci, questa parte di noi, non veniva sventolata. Se avessi potuto, avrei regalato la mia. Dico sul serio, lo avrei fatto davvero; pur di poter avere un po' di libertà sarei stata pronta a qualsiasi cosa.Odiavo le feste e ancora di più odiavo il pensiero di dovermi ritrovare fra un mucchio di gente sconosciuta e bramosa di stringermi la mano, solo per avere del tempo da spendere giudicando con una semplice espressione del volto i miei abiti e tutto quello che riguardava la mia persona. Non dovevo soltanto preoccuparmi di essere la migliore per la mia famiglia, ma per ogni angolo del Pianeta.
Già dai miei primi anni di vita, infatti, ho avuto i riflettori puntati addosso e la cosa che mi infastidiva di più era quella di dover vivere una vita che non sembrava neanche essere la mia.
Raggiunsi la camera da letto e mentre sceglievo accuratamente il profumo perfetto, mia madre richiamò - al telefono di casa questa volta. Non avevo nemmeno bisogno di andare a controllare, sapevo per certo che si trattava di lei (aveva la suoneria personalizzata e se anche non fosse stato così, non c'erano altre scelte: l'unica che poteva chiamare in quel momento, poteva essere solo e soltanto lei).
Pensavo che i motivi per odiarla fossero finiti, e invece no, eccone subito un altro: uno stupido contratto; Un contratto col quale sono stata costretta a cambiare prigione, perché si, pur non essendo realmente in un carcere, a me sembrava proprio di essere dietro le sbarre.
Non mi pesava il fatto di dover continuare a restare in casa, o almeno non tanto da voler scappare, dopotutto avevo tutto quello che mi serviva, ma odiavo essere trattata come un oggetto privo di cervello, privo di vita, privo di volontà. Nessuno si preccupava di cosa voleva "Harley", ma solo di cosa era giusto secondo sua madre.
Alla lista delle persone da odiare, dunque, avevo appena aggiunto la millesima: Henry, un uomo di circa quarant'anni col quale era stato stipulato un accordo senza neanche fare domanda alla diretta interessata.
Nascosi il diario fra gli altri libri e diedi un'ultima occhiata allo specchio; l'unica cosa che riuscii a pensare fu che fra non molto sarei stata costretta a cambiare dimora, ma non prima di aver sfilato nella sala al piano di sotto. Era stata allestita, divinamente, con circa tre settimane di anticipo, anche fin troppo tardi, tenendo in considerazione il carattere puntiglioso di mia madre.
Pianificai quella serata durante tutta la notte.
Da quando venni a conoscenza del contratto, persino il mio compleanno prese più importanza. Avevo pensato al mio ingresso, ai passi, alle parole da dire, alle espressioni, all'ora. A tutto... adesso. avevo soltanto bisogno dei miei tempi, e mia madre non sembrava intenzionata a lasciarmene abbastanza.Poteva abbandonarsi al panico soltanto una delle due, e come sempre, non potevo essere io.
Erano le 19:55 e giunsi in soggiorno trattenendo l'abito lungo con le mani. Mi fermai e presi un bel respiro, guardandomi attorno. Quella stanza non mi era mai sembrata così silenziosa, così buia, vuota.
Quasi perfetta.Non riuscivo a credere di dover abbandonare la mia dimora proprio adesso che stava iniziando a piacermi!
Il rumore delle lancette dell'orologio mi informava che era appena passato un altro minuto. Avevo un vuoto allo stomaco, dovevo riempirlo in meno di tre secondi per poter essere pronta a qualsiasi evenienza.
E tre...
erano troppi.
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"Out of control" - Gabriel Guevara FF
FanfictionHarley, "la ragazza dal destino scritto su un pezzo di carta prima ancora che venisse al mondo", è così che si definisce quando ripensa alla sua vita. Nonostante tutto, dimostrerà di avere un carattere molto forte e un'altrettanta convinzione nei su...