𝟎.𝟐

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Aurelia

|| Nessuno mi aveva detto che la vita fosse difficile; l'avevo capito da sola, grazie a tutte le persone che mi circondavano e mi raccontavano i loro problemi, ma che non mi ascoltavano mai

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|| Nessuno mi aveva detto che la vita fosse difficile; l'avevo capito da sola, grazie a tutte le persone che mi circondavano e mi raccontavano i loro problemi, ma che non mi ascoltavano mai. Quello che mi domandavo era: qualcuno mi avrebbe mai ascoltato? Anche se forse ero io, che non volevo aprirmi, ma la mia scusa era sempre quella: devo ancora trovare la persona giusta e qualcosa mi diceva che presto sarebbe arrivata.||

Ero pronta, o forse no, ma la mia sveglia aveva deciso che era ora di alzarsi dal letto; anche se mi ero addormentata tre ore prima

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Ero pronta, o forse no, ma la mia sveglia aveva deciso che era ora di alzarsi dal letto; anche se mi ero addormentata tre ore prima.

«Ririe! Alzati!» urlò mia madre dal piano di sotto, ma la sua voce, come il trillo della sveglia, divennero sempre più bassi dopo che mi girai verso il muro. Percepii le vibrazioni delle scale, capendo che stavo per vivere il primo trauma della giornata.

«Aurelia Lee! Alzati immediatamente da questo letto e preparati! Tra poco arriverà Silvia!» mi rimproverò togliendomi le coperte di dosso, uscendo dalla mia camera borbottando qualcosa riguardante lo stato d'ordine della mia stanza che, effettivamente, chiedeva pietà.

Mi stiracchia, mi preparai e scesi in cucina trovando la mia amica già a chiacchierare con mia madre. «Buongiorno Silvietta» dissi regalandole un sorriso, mentre mi godevo la mia colazione. «Ririe, tesoro, sono arrivate queste per te questa mattina, da parte tuo padre» disse mia madre catturando tutta la mia attenzione.

In mano aveva una cartolina molto colorata e una lettera -provenienti dal luogo dove si trovava in quel momento- che posò di fronte a me. «Grazie mamma, le guarderò dopo» dissi mettendole in borsa. «Vogliamo andare? Altrimenti faremo tardi» mi rivolsi alla mia amica, che mi stava guardando con una mal celta espressione preoccupata.

Salutammo mia madre e iniziammo a camminare in silenzio. «Come va con tuo padre?» mi chiese Silvia dopo svariati minuti passati in silenzio. Già, come andava tra me e mio padre?

«Bene, dovrei vederlo tra qualche mese» dissi sorridendo più che potevo, ma non era facile nascondere ciò che provavo a riguardo e lei lo sapeva che, in realtà, le cose non andavano "bene". Stava per farmi un'altra domanda riguardo l'argomento, quando venimmo travolte da Mark Evans, nostro amico e compagno di classe di Silvia. «Buongiorno ragazze!» ci sorrise allegramente, come solo lui sapeva fare, facendo nascere sul mio viso un sorriso appena accennato. Quel ragazzo era come la cioccolata per i bambini: rendeva felice tutti, senza sforzarsi minimamente.

«Buongiorno Mark! Allora? Che hai deciso di fare?» gli chiesi e capii immediatamente, dalla sua espressione genuinamente confusa, che ancora non aveva connesso tutti i suoi neuroni. «L'amichevole, quella proposta dalla signorina Raimon, contro la Royal Academy!» gli ricordò Silvia quasi esasperata, facendomi sorridere. Non si potevano fare discorsi seri con quel ragazzo, soprattutto la mattina.

Mark all'inizio dell'anno aveva deciso di fondare un club di calcio a scuola, ma le cose non stavano andando bene come aveva immaginato e alla fine della settimana scorsa, Nelly Raimon, la figlia dell'amministratore delegato, gli aveva dato un ultimatum -se così si poteva definire-: o avrebbero vinto una partita contro la Royal Academy o lei avrebbe sciolto la squadra.

Mark, in cambio, gli aveva chiesto di iscrivere la squadra al Football Frontier, il torneo calcistico scolastico, se avessero partecipato e vinto; l'unica cosa era che non sapevamo, né io né Silvia, se effettivamente Mark aveva accettato visto che erano solo in sette.

«Ah, sì! Ho accettato! Domani si terrà la partita! Ho trovato altri quattro giocatori» rispose tranquillamente e quasi non mi cascò la mascella. Come faceva a stare così tranquillo? Stava per sfidare la squadra più forte del Giappone, dopo aver messo in piedi una squadra di calcio dal nulla, in una settimana, e non sembrava essere minimamente preoccupato.

«Beh Mark, buona fortuna! Te ne servirà! Ci vediamo più tardi, io vado!» dissi dirigendomi verso la mia classe, ma una volta dentro passai il tempo a pensare a cosa ci fosse scritto all'interno della lettera da parte di mio padre. Nell'ultimo anno, dal che veniva a trovarmi ogni mese era passato a scrivermi e inviarmi lettere; una volta sola era venuto quest'anno, a febbraio, poi era sparito.

Non potevo neanche contare su mia madre, nemmeno lei sapeva dove si trovasse e non le interessava saperlo. Non avevano un buon rapporto; si erano lasciati quando avevo quasi quindici  anni e lei non mi aveva mai spiegato perché, non voleva. «Ti spiegherò tutto quando sarai in grado di capire tesoro mio, te lo prometto Ririe» mi aveva detto una volta, mentre cercava di non piangere.

Tutt'ora, anche sforzandomi, non mi veniva in mente un motivo valido, ma l'avrei scoperto quest'anno; ero stanca di non sapere le cose.

Tutt'ora, anche sforzandomi, non mi veniva in mente un motivo valido, ma l'avrei scoperto quest'anno; ero stanca di non sapere le cose

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@-mrtux

𝐇𝐈𝐒𝐓𝐎𝐑𝐘 𝐎𝐅 𝐓𝐇𝐄 𝐄𝐋𝐄𝐕𝐄𝐍 𝟏 || ɪᴇDove le storie prendono vita. Scoprilo ora