Capitolo 2

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Seduto sulla sedia al centro della stanza, posizionata dietro la scrivania, Touya si rigirava tra le dita tatuate quella foto. La poca luce del sole che entrava dalla finestra impolverata andava a riflettersi sulla superficie lucida di quel fogliettino minuscolo; il suo sguardo si concentrava sui lineamenti dal ragazzo: era giovane, fin troppo, avrebbe potuto avere la sua stessa età più o meno. I suoi capelli erano biondi e  gli occhi dorati.
Non gli erano sconosciuti, anzi. In qualche modo, sapeva di averli visti ma non ricordava dove.
I raggi solari riflettevano sulle dita sottili coperte dagli anelli massicci con sopra disegnati svariati motivi.
Ripose poi la foto nella tasca e si alzò dalla sedia sulla quale si trovava, prese un'altra bottiglia di whisky e se la versò nel bicchiere.

Doveva dimenticare, voleva dimenticare tutto ciò che aveva passato, ma una sbronza non gli bastava perché i ricordi tornavano più forti di prima. Tutte quelle morti immotivate, tutte quelle persone a terra piene di sangue dalla testa fino ai piedi. Dei ricordi orribili che non sarebbe potuto cancellare con l'alcol.

Touya aveva cambiato la sua vita in un battito di ciglia, passando dall'essere un soldato a diventare un investigatore. Aveva meno rotture, meno regole.
Da quando era lì non aveva toccato più nessuna arma, nonostante avesse avuto a che fare con delle persone pericolose.
Ma teneva sempre conservate con sé le pistole di piccolo calibro. Nascoste.

Bevve il liquido tutto in un sorso, il sapore amaro gli andò a toccare prima la lingua poi bruciò lungo la gola.
Aveva bisogno di quel nettare ogni ora al giorno, era diventato una droga per lui l'alcool.

Touya appoggiò il bicchiere vuoto sul tavolo, sicuro che lo avrebbe riempito nuovamente nel giro di mezz'ora in vista a ciò che era in procinto di fare.

Fece il giro della scrivania, aprì uno degli armadietti in legno che erano appoggiati a un muro della stanza, e lo aprì. Da esso estrasse un martello lungo quanto una gamba e con la testa grande quanto due pugni.
Spostò con un piede il grosso tappeto impolverato al centro della stanza e puntò l'estremità del martello al centro del pavimento in legno. Lo alzò sulla testa e colpì forte quel punto.
Il pavimento si incrinò leggermente e gli bastò un altro colpo ben assestato con la stessa forza per aprire un varco al centro.
Si inginocchiò e spostò i trucioli di legno, fino a scoprire una grossa cassaforte nera.

Non aveva dimenticato la combinazione di essa, nonostante avrebbe tanto voluto.
Non voleva più utilizzare ciò che era al suo interno, ma se ciò valeva a dire che si sarebbe redento dai tutti suoi peccati allora tanto valeva utilizzarla.

Premette i bottoni con le dita; la combinazione era di quattro cifre.
Lo sportello si aprì e le dita del corvino scivolarono abili verso di esso, andandolo a spalancare.

Nella cassaforte c'era qualsiasi tipo di arma, sempre di piccolo calibro. Prese una beretta e un fucile a pompa, che si trovava sul fondo del baule, e che aveva anche dimenticato di possederlo, aveva anche altre armi ma non avrebbe potuto portarle tutte dietro.
Serviva un borsone per il fucile e per eventuali occorrenze. Come quella, d'altronde.
Si alzò velocemente dal pavimento, si passò le mani sui pantaloni e fece un sospiro. Dove aveva lasciato il borsone, non lo ricordava nemmeno. L'alcool stava iniziando a fare il suo effetto, eppure aveva bevuto solo un bicchiere di whisky.
Sentiva già la testa girare e con essa anche la stanza. Si appoggiò con la schiena alla scrivania per non cadere a terra, poi come un'illuminazione ricordò dove aveva messo il borsone.
Scosse la testa. Doveva rimanere lucido, non doveva fare nessuna cazzata.
Storse le labbra e aprì l'anta di un altro armadietto, che si trovava di fronte al primo. Trovò il borsone piegato su se stesso, appoggiato sul fondo dell'armadio in legno. Lo prese e lo spiegazzò, poi si inginocchiò nuovamente a terra, spingendo all'interno di esso entrambe le armi che aveva scelto. Avrebbe dovuto portarsi anche qualche ricambio di vestiti, non sapeva che tempo facesse a Tokyo ma li si moriva di caldo, nonostante fosse solo autunno.
Ritornò davanti al secondo armadio, tirò fuori un cappotto in pelle, nero e lungo fino al ginocchio. Quello gli sarebbe bastato.
Mise anche quello nel borsone e lo appoggiò sulla superficie della scrivania.

Gli occhi azzurri saettarono in direzione della bottiglia di whisky, messa lì tutta sola. Doveva portarsela dietro, anche se in genere svolgeva le sue missione lucido come un pavimento appena lavato. Ma non era quello il caso, già che avesse portato con sé delle armi valeva a dire che ci sarebbero stati dei morti e l'alcool era essenziale per lui.

Afferrò la bottiglia per il collo, infilandola nel borsone e poi lo chiuse.
Lo rimase lì e andò nel bagno.

Infatti, in quella stanza, c'era anche una seconda porta che era adibita al bagno. Non avrebbe mai potuto farla in mezzo alla strada se gli fosse scappata.

Aprì la porta ed entrò all'interno.
Sì guardò allo specchio: i capelli scuri erano sparati all'insù, gli occhi azzurri contornati da pesanti occhiaie dovute alle notti passate insonni e una cicatrice gli tagliava a metà la guancia destra.

Con il pollice, tracciò la linea che risaltava sulla sua pelle: era divisa perfettamente a metà, nonostante se la fosse creata nel suo periodo peggiore.

Scosse nuovamente la testa e si sciacquò il viso, passandosi poi l'asciugamano per tamponare l'acqua. Fuggì via dal bagno, prese il borsone dal tavolo e uscì dalla porta principale dell'agenzia.

Road for freedom (Dabihawks)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora