NON C'E' VITA SENZA TE

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Tre anni dopo..

Sono passati tre anni da quel giorno, il giorno in cui ho perso il mio migliore amico, il giorno in cui ho visto per l'ultima volta Maverick Kane, il giorno in cui il mio cuore si è spezzato per sempre.

Non l'ho mai più sentito. Cercai di contattarlo mesi dopo per fargli sapere della gravidanza ma mi resi conto che aveva cambiato numero e nemmeno la sua famiglia sapeva dove si trovasse. Dopo che se n'era andato, Meghan patì per il college e sua madre Grace, decise di trasferirsi con lei in Connecticut. Mi dissero che Maverick non voleva farsi trovare ma che ogni mese gli spediva una lettera, ogni volta proveniente da un luogo diverso, assicurandogli di stare bene.

Nessuno riuscì a mettersi in contatto con lui, così mi convinsi che avrei cresciuto il mio bambino da sola.

Dopo il funerale è inutile dire che le cose precipitarono solamente. D'improvviso mi ritrovai a combattere due perdite da sola, a fare i conti con il mio dolore. Lo stress era tanto, dovevo lavorare, nutrirmi, riprendermi, ma non feci nulla di tutto ciò, così una notte, a causa di dolori lancinanti al basso ventre mi svegliai e mi accorsi di perdere sangue, capii di star per perdere il mio bambino.

Quella notte c'era la più grande tempesta in atto, lampi e fulmini si diffondevano nell'aria di quella camera d'ospedale mentre l'equipe medica si prendeva cura di me, di noi. La dottoressa mi mise del gel sulla pancia e dopo aver controllato il monitor per un tempo prolungato, si voltò verso la sua collega e disse "Non sento il battito".

La paura mi assalì e in quel momento strinsi la collana che Noah mi regalò per la mia laurea, una collana con l'infinito. La strinsi con tutta la mia forza e sottovoce sussurrai "Ti prego Noah, salva il mio bambino" e come se lui mi avesse davvero ascoltato, un tuono potentissimo rimbombò in tutto l'ospedale facendo vibrare le vetrate delle finestre, la luce andò via per un nanosecondo, e quandò tornò, nella stanza riecheggiava un battito, un battito potente. Il mio bambino era vivo, Noah l'aveva salvato.

"C'è battito" disse l'ostetrica con gli occhi sgranati rivolgendosi alla collega, quasi scioccata per ciò che era accaduto. Dopo aver controllato che stessimo bene entrambi, diede un'ulteriore occhiata al monitor e con un sorriso fiero si voltò a guardarmi. "Congratulazioni, è un maschietto". In quel momento mi lasciai andare contro lo schienale del lettino, con le mani sul viso e iniziai a piangere, con la testa sul petto di Damon,una delle poche persone che non mi lasciò mai sola, nemmeno un secondo e lì capì che qualsiasi cosa fosse accaduta, il mio migliore amico avrebbe vegliato sempre su mio figlio.

Il nove luglio nacque Noah Archie Thompson. Esatto, il NOVE luglio.

Un bambino sano dagli occhi verdi smeraldo e dai capelli scuri, quasi corvini. Inutile dire che Noah fosse la copia esatta di suo padre e che dal momento in cui lo tenni per la prima volta in braccio mi resi conto della punizione che avrei dovuto scontare per tutta la vita ogni volta che avrei guardato mio figlio negli occhi.

Il giorno del funerale feci una promessa a Noah, promisi che mi sarei presa cura di Soleil e del loro bambino e così feci. Il tre maggio, due mesi prima che nascesse Noah, nacque Carter Callahan, un bambino dai capelli castani con gli occhi chiari come l'oceano indiano. Era l'incarnazione di Noah e contrariamente al fatto che io non fossi felice che mio figlio somigliasse tanto a Maverick, trovare Noah negli occhi di Carter era per tutti una gioia, lui non sarebbe rimasto solo nei nostri ricordi.

Soleil ci mise del tempo per riprendersi, ci dammo forza a vicenda, mi presi cura di lei nonostante non fossi in grado di prendermi cura nemmeno di me stessa. Persino quando nacque Carter io fui con lei in sala parto. Le stringevo le mani mentre lei con il capo sul mio petto chiamava disperatamente il nome di suo marito, come se lui potesse sentirla o aiutarla. Quello fu il secondo momento più straziante della mia vita dopo la sua morte e per un attimo mi dissi di non potercela fare ma poi mi ricordai della promessa, glielo dovevo. Così mi presi cura di entrambi, Carter diventò il mio figlioccio e io non potei esserne più felice. Fu come riavere Noah di nuovo con me, in versione mini.

In tutto quel tempo ne approfittai per concentrarmi sul lavoro, e con le unghie ed il sudore riuscì a realizzare il mio sogno. Sono diventata un avvocatessa di successo, la più giovane degli stati uniti ad aver portato in tribunale casi archiviati o corrotti, dando giustizia a chi meritava di averla. Chiunque sapesse di avere nella controparte me come avvocato, sapeva di aver perso la causa a prescindere da tutto, ero la più temibile, ero rinomata, ero diventata tutto ciò che volevo essere alla sola età di ventisette anni.

Aprì uno studio legale tutto mio, o quasi. Lo studio legale T&L (Thompson e Lewis). Già.

Lavorando insieme io ed Ethan ci avvicinammo molto e dopo la nascita di Noah non posso negare che il nostro legame si intensificò. Ethan era sempre lì per me, a qualsiasi ora. Quando scleravo perché Noah non dormiva, lui era lì, e armato di pazienza puntualmente si presentava a casa mia in piena notte prendendolo in braccio, cantando canzoncine dolci, dandomi così la possibilità di riposare. Non so esattamente come ci ritrovammo a convivere da me, Ethan non tornava mai a casa sua, era sempre con noi, mi aiutava, si prendeva cura di Noah come se fosse suo figlio e iniziai a chiedermi se fosse un male o un bene. Forse l'idea che mio figlio potesse avere una figura paterna, mi rendeva felice. Io che sono cresciuta senza un padre sapevo esattamente cosa volesse dire, sapevo quanto pesasse la sua mancanza, così lasciai che le cose prendessero la piega giusta, lasciai fare al destino, senza etichette, senza promesse. Per una volta lasciai che qualcuno si prendesse cura di me, di noi, senza il timore di essere lasciata sola. Così, lasciai entrare Ethan Lewis nelle nostre vite.

YOU AGAIN - Ancora tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora