Eveleen Palmer

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Eve's pov

Afferrai le forcine appoggiate la sera prima sul marmo del lavandino del bagno di camera mia. Il mio palmo toccò il marmo freddo, una sensazione di gelo mi percorse la pelle con un brivido. Mi finii di sistemare i capelli cadenti sulle spalle ma li fermai di lato grazie alle forcine. Mi guardai intorno come se fosse la prima volta che mi preparavo in quel bagno, il bagno di camera mia. Dai colori freddi delle pareti grigie chiare e dal marmo con le sfumature rosee, era difficile credere che fuori facessero 32 gradi . Mi specchiai in quello specchio tondo e la luce che emanava mi infastidiva gli occhi. Ma eccomi li, davanti a quello specchio pronta per andare a scuola. Con quei capelli neri come la pece, gli occhi color ghiaccio da poterti penetrare l'anima definiti dal taglio docchi ben deciso e contornato dalle ciglia lunghe e folte, il naso all'insù, gli zigomi ben definiti e un corpo da invidia avvolto dalla mia divisa scolastica: una camicia bianca coperta da una giacca blu che richiamava il colore della gonna stirata per bene. Erano solo le 7:45 del mattino, eppure ero costretta a prepararmi per la scuola quando avrei preferito solo dormire. Aprii l'anta del mobile alle mie spalle e presi il profumo che mi spruzzai addosso. La fragranza di frutti rossi e rose mi circondò in un attimo. Erano anni che sceglievo quella fragranza ma non me ne stancavo mai. Mi specchiai un ultima volta ed eccomi lì, Eveleen Palmer. <<Eve, sbrigati o faremo tardi>> gridò mio fratello Mason entrando nel mio bagno. Il ciuffo riccio e biondo gli ricadeva perfetto sulla fronte e i suoi occhi occhi verde smeraldo mi fissavano dallo specchio. Era pronto, la divisa ben messa, il profumo e la sua collana che mai avrebbe tolto. Aveva diciannove anni e non lasciava quella collana da quando ne aveva dodici, un regalo dei nostri nonni prima di andarsene. Ci passavamo tre anni eppure tutti credevano che anche io avessi la sua età. Insomma, non avevo un viso angelico, non avevo un corpo da bambina ma dalla mia altezza si poteva capire eccome. Ero bassa e quando mio fratello mi affiancò il mio metro e sessanta si notavano. Lui era alto un metro e novanta, l'altezza era di famiglia per tutti tranne che per me.
<<Guarda un po' come siamo belli>> disse facendo una faccia strana, era pur sempre il pagliaccio della famiglia.
<<Si, siamo bellissimi>> risposi io continuando a guardare i nostri riflessi nello specchio. Io non ero nota per il mio modo di scherzare come il resto della mia famiglia, ma ero nota per la mia schiettezza. Se avevo un problema con te, te lo potevo urlare in faccia. Spesso era un pregio, altre volte però portava a cacciarmi nei guai.
<<Su viso bello, prendi lo zaino e andiamo. Jeremiah aspetta solo noi, e sai come è fatto, se osiamo farlo aspettare diventa un toro rabbioso>> disse lui ridendo e uscendo dalla mia stanza dirigendosi al piano di sotto. Jeremiah, mio fratello, aveva diciotto anni ma era il nostro tassista personale, anche se spesso perdeva la pazienza nell'aspettarci.Spensi la luce del bagno e chiusi la porta. Afferrai lo zaino cercando di mantenere l'equilibrio su quei tacchi. Per chi mi vedeva da fuori potevo sembrare una di quelle stronze presuntuose che mette i tacchi e crede di averla solo lei, ma non ero così. Ero una ragazza abbastanza divertente, schietta alla quale piace divertirsi e vestirsi per bene. Amavo lo stile e la moda, avevo quella passione da quando avevo sette anni. Forse perché mia madre era una modella, chi lo sa. Messo lo zaino in spalla, chiusi la porta ma andai a sbattere contro London, sempre mio fratello.
<<Cacchio Lon, guarda un po' dove vai>> lo rimproverai cercando di sistemarmi i capelli e sperando che non fossero fuori posto.
<<Cavolo Eve, hai mangiato pane e gentilezza per colazione per caso?>> scherzò cercando di farmi sorridere, era sempre così. Lui cercava di far ridere tutti, aveva diciassette anni di gentilezza e dolcezza e zero di cattiveria. Era come un cucciolo giocherellone. Si può dire che fosse quello più premuroso della famiglia.
<<Sisi, ora muovi il culo e andiamo in macchina, non mi va di sentire quel pazzo di Jer>> annunciai scendendo le scale, il primo giorno di scuola non era il mio preferito per vari motivi Insomma, chi ama andare a scuola dopo mesi e mesi di vacanza?
<<Buongiorno tesoro, non hai fatto colazione?>> mi chiese mio padre baciandomi la fronte con gentilezza.
<<No papà, primo giorno di scuola e sempre stessa regola: non si mangia->> cercai di dire ma London mi interruppe continuandola lui al posto mio con voce annoiata: <<altrimenti vomiti>> .
Era una frase ormai scontata ma da quando vomitai il primo giorno di scuola alle medie dopo aver fatto colazione quella regola divenne parte di me. Non avrei mai cambiato idea.
<<Certo certo, ora andate e filate a scuola>> ci rimproverò nostra madre per l'enorme perdita di tempo. Io e London salutammo i nostri genitori e andammo in macchina. Mi sedetti da vanti, ormai era il mio posto da quando i miei fratelli mi accompagnavano a scuola. Jeremiah mi squadrò, <<Ma buongiorno, possiamo partire ora? Ti stiamo aspettando da venti minuti>> inizio a parlare innervosito ma prima che potesse continuare lo interruppi <<Sisi ora metti in moto o faremo tardi>> per deviare il discorso. Lui allora così fece, avviò la macchina e inizio a guidare per la strada verso scuola. Non era distante, soprattutto con la velocità della bugatti chiron di Jeremiah, ma durante il tragitto cantammo a squarciagola qualsiasi canzone passasse in radio, tutti tranne Jeremiah. Lui mi assomigliava molto caratterialmente, eravamo entrambi introversi con chi non conoscevamo ed estroversi con i nostri amici di una vita, odiavamo le persone di prima mattina, il primo giorno ma eravamo festaioli notturni. Solo che a differenza mia, a lui non piaceva neanche cantare di prima mattina. Arrivammo fuori scuola e Jeremiah parcheggiò. Scesimo dalla macchina e immediatamente tutti gli sguardi furono su di noi. Ormai eravamo abituati, sguardi su sguardi, ragazzi e ragazze che ci provano, chi provava a fare colpo, chi aveva timore, chi non si avvicinava e chi invece, appena sapeva della nostra presenza prendeva a fissarci. Ci diriggemmo al cancello della scuola dove ad aspettarci c'era il nostro gruppo di amici di una vita. Ci conoscevamo da quando eravamo bambini, o meglio, da quando eravamo nati. I nostri genitori erano amici dall'adolescenza e tutti ora avevano lavori importanti: pittore di fama mondiale, modelli attori, avvocato, stilista, cuoco di fama mondiale, insomma tutti lavori ben retribuiti. Eravamo sempre uniti e, probabilmente era proprio la nostra unione a renderci "il gruppo dei popolari". Tutti ci chiamavano così, tutti sapevano tutto su di noi, o almeno credevano di sapere tutto su di noi. Eravamo una sedicina, dodici senza contare me e i miei fratelli. I più grandi erano William Huds, Tiffany Fisher, mio fratello Mason e Loren Mills, avevano diciannove anni ed erano un bel quartetto. Il più responsabile tra i quattro era William: non beveva, non fumava, non andava a letto con nessuna se non erano in una relazione da almeno sette mesi. Però era un ragazzo divertente e festaiolo ed era un buon amico. Era alto, con degli occhi verdi e bruno dai capelli quasi rasati. Tiffany, bionda platino, con i capelli corti, alta e dagli occhi azzurri, invece era il contrario, festaiola, irresponsabile, beveva, fumava e quando capitava non si faceva mancare la droga. Loren era mora, con occhi color nocciola e bassina. Era festaiola ma tranquilla e generosa. Poi c'erano i diciottenni: mio fratello Jeremiah, Victoria Huds, Melania e Bryce Holmes e Travis Mills. Victoria era la classica ragazza studiosa e gentile, amava poco uscire ma non rifiutava mai grazie a Sidney. Era alta con i capelli lunghi e rossi, gli occhi marroni erano talmente scuri che penetravano l'anima e le lentiggini le costernavano il viso. Melania e Bryce invece erano mori e ricci, avevano gli occhi castani, erano gemelli. Gli piaceva festeggiare e bere fino allo stare male, erano anche un po pazzi, amavano le sfide. L'unica cosa che li differenziava era l'altezza, lui alto un metro e novantatre, lei un metro e sessanta. Travis invece era un ragazzo un po stronzo ma era gentile e spiritoso a modo suo, aveva degli occhi neri come il carbone e i capelli castani come le foglie cadenti d'autunno. Arriviamo poi ai diciassettenni: mio fratello London e la sorella dei gemelli pazzi, Margot Holmes . Erano gli unici diciasettenni. Margot aveva i capelli biondi con le punte azzurre che richiamavano il colore degli occhi. Era una ragazza tranquilla, probabilmente anche la più timida.E, infine, c'eravamo noi sedicenni: io, Janette Holmes, Caroline e Jacopo Collins e Dylan Holmes. Janette e Caroline erano le mie migliori amiche. Janette era bionda con gli occhi marroni, un bel fisico, spiritosa, studiosa e dolce. Caroline invece era castana e riccia, scura di pelle e i suoi occhi ricordavano spesso il verde dell'erba fresca, aveva un fisico perfetto e dotato di forme. Era festaiola, generosa e una grande fumatrice. Suo fratello gemello Jacopo fisicamente era una sua copia al maschile, un fisico palestrato e una pelle ben curata come la sorella. Caratterialmente invece era uno stronzo, festaiolo, testardo ma ti donava il cuore. Per ultimo invece, Dylan. Occhi blu come l'oceano e i capelli neri, cortissimi quasi pelato. Era un ragazzo davvero dolce e premuroso ma tanto testardo. Appena arrivammo iniziammo a salutare tutti e io mi misi vicino a Caroline e Janette.
<<Sai cosa è successo l'altra sera?>> mi disse la bionda con un aria impaziente ed emozionata nel raccontarmi qualcosa. Estrassi una sigaretta dallo zaino e mentre l'accendevo le dissi :<<Cosa? Un unicorno ti è volato in casa?>>.
Amavo prenderla in giro per il suo spirito infantile.
<<Spiritosa come sempre la nostra Eve. Comunque no, anche se avrei voluto tanto ma->>
<<Dio mio, Janette. Sii concisa e non fare un giro di parole>> disse la riccia ormai esasperata dalla parlantina di Janette, probabilmente la subiva da venti minuti e Caroline non amava parlare di prima mattina.
<<Si si scusa. Dicevo: Travis mi ha baciata nel giardino di casa mia quando mi ha accompagnata a casa dopo aver cenato fuori, è stato speciale e bellissimo>> sussurrò per non farsi sentire dal diretto interessato. Ero felice per lei, insieme a Travis era felice ed erano una bella coppia e poi, era l'ora che si dessero una mossa. Si piacciono a vicenda da almeno due anni.
<<È una notizia fantastica, Janette!>> le dissi con tutta la sincerità del mondo e una voce entusiasta. Mi portai la sigaretta alla bocca ma mio fratello Mason me la prese e la straccio per poi buttarla per terra.
<<Mason ma che ti passa per la testa?!>> sbottai io, era la prima sigaretta della mattina e lui l'aveva distrutta! La giornata già prometteva male.
<<Ti fa male e lo sai, non mi piace che fumi>> mi rimproverò lui portando le braccia conserte al suo petto ben allenato. Bryce mi si avvicino e mi passò la sua sigaretta che io subito accettai, <<Avanti Mason una che sarà mai>> disse con una nonchalance mai vista prima.
<<Va bene ma solo una, alla prossima do fuoco a te e a lei >> ci avvisò mio fratello prima che la campanella potesse suonare.
<<Si inizia>> disse già stanco Dylan, non amava andare a scuola. Entrammo a scuola e ognuno andò al proprio armadietto che, ci avevano rassegnato come ogni anno. Andai sulle note del telefono per ricordare l'armadietto che mi avevano assegnato due giorni prima e che ,per non dimenticarlo, io segnai sul telefono. Armadietto 37, fila A. Già il fatto che stesse in fila A mi andava bene. Erano la fila superiore e spesso contenevano più roba e io non mi sarei dovuta abbassare. Iniziai a cercare il mio armadietto e quando lo trovai, mi accorsi che non era vicino a quello di nessuno del mio gruppo. Spalancai gli occhi, era impossibile. Avevamo sempre avuto gli armadietti vicini, e ora io lo avevo da tutt'altra parte? Seriamente? controllai nuovamente il numero segnato, e una volta ancora, ancora, ancora e ancora. Niente da fare, l'armadietto era proprio quello. Che odio. Poggiai le mie cose all'interno e lo chiusi ma avevo dimenticato di prendere il quaderno di storia. Provai ad aprirlo ma niente, non si apriva. Riprovai e riprovai ancora una volta. Nulla. Iniziavo ad innervosirmi. Provai ancora una volta ma scivolati all'indietro e...

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