Parte 9 Dammi un po' di tempo

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Questa sedia è davvero scomoda. La musica inizia a diventare assordante. Le voci degli altri che parlottano mi stanno infastidendo.

Ci siamo costretti a tornare alla festa di malavoglia, senza parlarne più. A quel punto saremmo finiti sicuramente a letto, mezzi ubriachi e senza ragionare, e dopo ci saremmo solamente pentiti.

Dopotutto gli altri sono ancora tutti qui.

Temevo che si sarebbero accorti della nostra assenza e che almeno i miei avrebbero sospettato qualcosa, invece quando siamo tornati nel giardino di Filippo a distanza di qualche minuto uno dall'altro, nessuno ha notato nulla. Nessuno si è curato di Filippo che usciva stranamente dal mio giardino, nessuno si è insospettito vedendo i miei capelli completamente sciolti quando prima erano stati raccolti con attenzione, nessuno deve aver notato le nostre labbra arrossate.

La festa è andata avanti senza di noi e qualcuno ora sta strimpellando una chitarra mentre alcune voci si uniscono al coro improvvisato cantando vecchie canzoni. Io sono appoggiata allo schienale di una sedia in plastica con la testa pesante a osservare la scena mentre arrotolo su se stessa una ciocca di capelli. Ogni parola delle canzoni che capto mi sembrano parlare di me. Io cammino per le strade, ma ho in mente te. Volto lo sguardo a sinistra e Filippo che è in piedi appoggiato all'albero mi guarda radioso, alza una mano e punta l'indice verso di me, lo fa così impercettibilmente che possiamo vederlo solo io e lui. Ed ho in mente te. Mi copro la bocca con le mani istintivamente perché nessuno veda che sto esplodendo dentro.

"Ciao, finalmente ti conosco."

Vengo distratta dall'uomo che avevo intravisto prima in giardino con Filippo, che ora si è accomodato sulla panca di fronte a me. Lo studio: poco più di quarant'anni, bell'aspetto, capelli chiari un po' disordinati. Mi porge la mano che stringo con decisione.

"Sai chi sono?" Domando in tono curioso, fingendo con me stessa di non averlo sentito parlare di me poco prima in termini che non lasciano spazio a dubbi.

"In realtà non proprio. Io sono Giacomo, sono un collega di Filippo." Raddrizzo le antenne per non perdermi una parola. Quindi non è un nuovo vicino. Lui riprende a parlare. "Mi ha invitato stasera e ho pensato, perché no? Non mi sono pentito perché ti ho notata subito appena sono arrivato."

Uao, com'è diretto. Non è un tipo da giri di parole. Le voci delle persone intorno a noi canticchiano un altro brano. E poi ti porto dove vuoi tu, dove nessuno ci troverà, su nell'immensità. Distolgo lo sguardo da Giacomo per qualche secondo e mi guardo intorno sentendomi piuttosto imbarazzata. Cosa si aspetta che gli risponda, ora?

"Beh, grazie, suppongo". Mi stritolo le mani nervosamente. "Quindi lavori in banca? Con Filippo?"

"Sì, ci conosciamo da qualche anno." Prende un sorso dal suo bicchiere. "Lo invidio molto. Ha una casa molto bella, una vita felice, e adesso questa nuova vicina così attraente" Mi sorride. Sono presa alla sprovvista; questo suo essere deciso mi sta mettendo in difficoltà. Devo ammettere che non mi sembra nemmeno sgarbato, né fastidioso. E' solo che stavo pensando proprio a tutt'altro prima che sopraggiungesse lui.

Cerco di rimettere insieme le idee per dargli una risposta adeguata. Non voglio sembrare scortese né acida, ma allo stesso tempo vorrei riportare il discorso da un'altra parte. Vorrei bloccare subito questa confidenza. Alzo gli occhi istintivamente nella direzione in cui prima ho incrociato lo sguardo di Filippo, ma non lo trovo. Improvvisamente però sento una mano calda chiudersi sulla mia poggiata al bracciolo della sedia. Alzo gli occhi ed eccolo qui.

La mia salvezza sei tu, sei l'acqua limpida per me, il sole tiepido sei tu. La gente continua a cantare ignara di quello che accade nel mio cuore.

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