EPILOGO terzo volume

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EPILOGO

È il primo di dicembre e perfino a San Francisco il freddo si infila nei vestiti, oggi mattino però è più gelido di quanto immaginassi.

Con gli occhi rivolti ad Est, sul sole che sta per alzarsi sulla linea d'orizzonte, le onde piatte e il cielo ancora scuro, pitturato di un placido bagliore rosa misto a viola, mi stringo nel mio cappotto a quadri grigio e cerco di scacciare via i brividi di freddo.

Mi siedo sullo spigolo del pontile e dondolo i piedi fasciati dagli anfibi, le cuffie alle orecchie, i versi di Dogs days are over di Florence + The Machine a frullare nella testa che si muove lentamente a ritmo.

Qualcuno prende posto accanto a me, una mano mi porge un caffè, lo afferro e mi volto verso destra mentre abbasso un po' la musica e poggio il telefono di fianco.
Occhi azzurri e ancora assonnati, lineamenti tirati per via del freddo, naso e guance color porpora. La giacca del corpo di Polizia gli fascia il torso.
«Nick dell'Afghanistan non è abituato alle basse temperature?» scherzo bevendo un sorso del caffè.
Lui abbozza un sorriso.
«Preferisco il caldo.»
«Perché sei tutto un fuoco?»

Aspetta, che ho detto?
Aggrotto subito la fronte, ripensandoci con una smorfia. Lui corruccia le sopracciglia.
«Riformulo» dico subito. «Perché hai vissuto in Australia e Medio Oriente?» chiedo tirando su gli angoli della bocca.

«No, perché evidentemente sono tutto un fuoco» sogghigna e io lo guardo male mentre lui se la ride di gusto spostando lo sguardo verso il sole. Metto il caffè da parte e prendo il cappellino nero dalla tasca del cappotto. Alzo le mani e glielo infilo in testa beccandomi un'occhiata confusa.
«Puoi anche dirlo che hai freddo» schiocco la lingua contro il palato. «Non perdi nessun grammo del tuo immenso livello di testosterone da ex Marine, sta' tranquillo, dolce Nick...» lo prendo in giro accarezzandogli la guancia.

Lui mi guarda, riduce gli occhi in due fessure per poi scuotere semplicemente la testa con dissenso.
Eppure sorride. Glielo vedo chiaramente anche se prova a nasconderlo.

Allungo distrattamente una mano per prendere il caffè e fermare la musica, spingo per sbaglio il cellulare accanto, questo scivola oltre il bordo del pontile e spalanco gli occhi di getto.
«Oh... il cavo degli auricolari» rido ricordando solo ora di aver messo fortunatamente quelli col filo e non quelli bluetooth. «Beh, sarebbe stato molto esilarante se mi fosse cascato - faccio per tirarlo su - sai ho tutte le password scritte nel blocco note che non ha il salvataggio nel Cloud e-»
Mi fermo di getto.

Il cavo aux si stacca.
Plop.
Il cellulare scompare sott'acqua.

Mi volto lentamente verso Nicholas, ci guardiamo l'un l'altra in perfetto silenzio finché non è lui a spezzarlo.
«Stavi dicendo?» alza le sopracciglia trattenendosi dal ridere.
Oh, maledizione...

Sospiro pesantemente e mi lascio cadere di spalle sul pontile, le mani sul petto e il viso verso il cielo. Le sue mani mi afferrano e mi tirano su di spalle al suo petto.

«Mi abbracci perché sono in modalità auto commiserazione?» chiedo dubbiosa.
«Ti sto usando per scaldarmi, shh...»
Aggrotto la fronte.
«Che?»
Lui mugugna un "Mhm, mhm".
«Mi sento usata» mi lamento con voce drammatica. Lui mi stringe di più a se.
«È così, infatti» replica come niente fosse lasciandomi ancora più sbigottita.
«Mi sento poco dignitosamente usata» mi correggo subito.
«Vuoi che ti usi in un altro modo?» ridacchia e nasconde il viso nell'incavo del mio collo. Rabbrividisco.

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