CASA?

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RICHARD

Dormire sulla spalla di Victoria mi aveva concesso di riposare più di quanto avevo preventivato. Mi risvegliai con i capelli arruffati e la parte inferiore della camicia bianca sgualcita.

Alzai gli occhi verso mia moglie, incantandomi a osservarla con le palpebre chiuse, le guance arrossate e le labbra di un rosa ammaliante.

Spostai una ciocca ribelle incastrata tra le sue ciglia, fissandola ancora per qualche minuto. Contemplavo la sua bellezza in silenzio, fino a quando non mi accorsi dei suoi occhi impastati di sonno sbattere per adattarsi alla luce del giorno.

Si rimise dritta, massaggiandosi dietro il collo con una mano.

«Indolenzita?» domandai.

«Pochino, anzi tanto» si mosse da seduta, stiracchiando i muscoli «Non dormirò mai più in aereo. Questi sedili sono così scomodi, cavolo.»

«Lo dici ogni volta che partiamo. Non sei mai riuscita a mantenere questa promessa, soprattutto quando dobbiamo arrivare a New York.»

Dormiva più di me. Se ogni giorno non si faceva un riposo di almeno due ore, stava malissimo.

«Da Londra a New York sono troppe ore, rimanere svegli è impossibile» portò il capo all'indietro, sfregandosi le palpebre con le dita «Tu piuttosto mi sembri abbastanza riposato. Hai dormito bene addosso a me, non è vero?»

«Una favola» sghignazzai, appagato «Sei la comodità fatta in persona.»

«Non ricapiterà mai più, ricordatelo. Il tuo cuscino personale si è appena licenziato dal suo incarico.»

Allungai un braccio dietro di lei e le spinsi il capo verso di me. Le permisi di poggiarsi sul mio petto, mentre intrecciavo alcune ciocche dei suoi capelli tra le dita.

La sua mano finì all'altezza del mio cuore, percepì quei battiti intensi e strofinò la guancia contro il tessuto morbido della mia camicia.

«Allora, penso sia arrivato il momento di scambiarci i ruoli» abbassai il braccio fino al suo fianco, stringendola di più a me «Siamo ancora lontani da New York, dormi un altro po'.»

Mi avvinghiò il busto con una mano.

«Vorrei rimanere per sempre così» disse a bassa voce.

«Possiamo farlo» posai un casto bacio tra i suoi capelli.

L'aria condizionata fredda era alta e Victoria aveva le braccia scoperte. Cercando di non muovermi troppo, presi la mia giacca con la mano libera e gliela poggiai sopra. Mugugnò qualcosa di incomprensibile e continuò a dormire profondamente.

Il nostro aereo atterrò a New York in tarda notte. Recuperammo i nostri bagnagli e chiamammo un taxi che ci avrebbe portati nella mia vecchia casa.

Quando lasciammo New York, volevo vendere il mio appartamento e non mettere più piede in quella città, ma Victoria mi aveva convinto a non farlo.

Mi aveva sempre ripetuto che, a prescindere da tutto quello che era successo, tagliare quella città fuori dalla nostra vita non ci avrebbe fatto bene.

In fin dei conti, molti dei nostri ricordi erano proprio qui.

Il mattino seguente, dopo aver comprato alcune cose che non avevamo potuto portare con il viaggio, mi lasciai trascinare nella nostra vecchia azienda di famiglia.

Era davvero strano rivedere la Universe Corporation.

«Ma se ti aspettassi fuori?» le proposi, fermandomi d'un tratto e piantando i piedi sul marciapiede. Tanto non avevo nessuno da salutare. «Fai con calma, non ti metterò alcuna fretta.»

«Tu verrai con me» provò a tirarmi con forza «Fine della storia.»

«Victoria, aspetta.» quella volta la bloccai io, «Non voglio rivedere i miei genitori, ti prego.»

Pronunciare quella frase ruppe qualcosa dentro di me. Nonostante gli anni, non ero mai riuscito a superare quella storia sull'adozione.

Avevo perfino evitato di informarmi, perché non volevo soffrire ancora.

Meno cose sapevo e meglio sarebbe stato.

«Richard...»

Mi passai una mano tra i capelli.

«Cosa ci faccio qui?» lasciai ricadere le braccia ai lati dei miei fianchi «Victoria, questo posto non è casa mia, non lo è mai stato. La mia vita è sempre stata una grossa bugia. Io non sono figlio loro e non sono un Cooper. Io non so chi sono davvero.»

Victoria studiò il mio viso.

«Non ti vieterò mai di entrare in azienda, ma ti scongiuro, non chiedermi di seguirti dentro quel posto.»

Fece un passo in avanti, mettendosi davanti a me.

I suoi occhi illuminati dalla luce del sole mi ci fecero perdere dentro.

Indirizzò il viso verso il basso e mi toccò con le punta delle dita il braccio. Ansiosa di scatenare una mia reazione negativa, unì le nostre mani con estrema cautela.

«Andiamo via da qui» mi riguardò con decisione.

«In che senso?» scossi il capo «Non intendevo...»

I nostri petti si scontrarono e la sua mano finì sul mio viso, accarezzandomi ogni centimetro di pelle.

Persi l'uso della parola, della ragione e di ogni cosa che mi si mostrava intorno.

Victoria era come una droga.

«Voglio portarti da una parte» disse, incamminandosi dalla parte opposta all'azienda. Non sapevo dove stesse andando, avrei dovuto fermarla, ma non ci riuscivo. «Andiamo in un posto di New York, che spero ti faccia sentire davvero a casa.»

E non appena emise quella frase, compresi subito quale sarebbe stata la nostra destinazione.

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