INCOMPRENSIONI

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VICTORIA

Stavo cercando di portarmi avanti con il lavoro, in modo che quel fine settimana io e Richard potessimo partire senza alcun problema.

Sabato e domenica saremmo stati a Buenos Aires.

Dopo che avevamo chiamato il suo orfanotrofio e aver fatto quella richiesta abbastanza particolare, ci era stato detto di raggiungere l'Argentina per affrontare il discorso di persona.

In fin dei conti, erano informazioni private che non potevano essere date o dette a distanza.

«Questa storia è davvero assurda» Eloise mi porse il caffè «Andrete a Buenos Aires?»

«Ancora non ci credo neanche io» girai il cucchiaino dentro la tazza «E sono un po' spaventata.»

«Per Richard?»

«Sì» emisi un sospiro «E se scoprisse qualcosa di brutto?»

«Penso che lui sia consapevole a quali rischi sta andando incontro, Victoria. So che può essere difficile e che vuoi proteggerlo, ma se lui sente la necessità di farlo, devi lasciarglielo fare.»

«Certo, lo so, non ostacolerei mai una sua decisione.»

«Però?»

«Però, ho tanta paura di vederlo soffrire.»

«Con te al suo fianco, vedrai che starà bene» mi rincuorò.

Lo speravo con tutta me stessa. Non avrei mai permesso ad alcuna lacrima di rigare il suo viso.

Salutai Eloise e mi raggiunsi l'ufficio di Richard. Bussai alla porta ed entrai, vedendolo insieme a Peter e Terence.

Proprio quest'ultimo mi venne incontro, dandomi un grande abbraccio e stritolandomi come se fossi un peluche.

«Terence, devi smetterla di abbracciarmi così» mi mancava il fiato.

«Lascia stare mia moglie» Richard provò a farlo indietreggiare «Ma non vedi che la stai uccidendo?»

«Siete due odiosi» mi mollò, sbuffando.

«Andiamo, Terence» Peter lo indirizzò verso la porta «Permettiamo ai due sposini di stare un po' da soli.»

«Avevamo detto nessune effusioni sul posto di lavoro» ricordò Terence «Perché questa regola vale solo per me e Carly?»

«Vai via, Terence» quella volta parlò Richard.

«Non è giusto, siete tutti contro di me.»

Richard si avvicinò alla porta e posò una mano su di essa. «Esattamente» gli fece un finto sorriso e la chiuse, non dando alcuna opportunità a suo fratello di ribattere.

Risi troppo.

«Siamo stati cattivi» constatai.

«Solo un po'» il suo sorriso mi fece vacillare.

Quanto era bello.

Posò una mano al centro della mia schiena e mi baciò sulla guancia.

«Sabato abbiamo il volo all'alba.»

«Mmh» mugugnò solo, annuendo.

«Cosa succede?» adagiai tutte e due le mani sopra le sue spalle, provando a fargli rilassare i muscoli tesi «Se non vuoi più farlo, possiamo rimandare a quando ti sentirai più convinto.»

«No, voglio farlo, mi sento solo un po'disorientato.»

«Forse, vorresti che venissero anche i tuoi genitori con te?»

«Victoria, non riprendiamo questo argomento.»

«Non ci sarebbe nulla di male, Richard» dissi «Loro sono la tua famiglia...»

«Sbagli, non lo sono più. Anzi, se proprio dobbiamo dirla tutta, loro non lo sono mai stata.» Richard si sciolse da me e arretrò di alcuni passi. «Perché insisti sempre con questa storia?»

«Perché non voglio che in futuro tu te ne possa pentire.»

«E di cosa dovrei pentirmi, Victoria?» il suo sguardo si incupì «Solo perché tu hai fatto, più o meno, pace con i tuoi genitori, questo non significa che anche io debba fare la stessa e identica cosa.»

«Ma cosa c'entra?» il suo discorso non stava né in cielo e né in terra «Il rapporto con i miei genitori è un'altra cosa, adesso stiamo parlando di te e la tua famiglia.»

«Allora, il discorso può terminare anche qui, ora» mi sorpassò, infastidito. Aprì la porta e rimase di spalle alcuni secondi. «Perché tanto io una famiglia non ce l'ho.»

Maledetta me e la mia lingua lunga.

Quella stanza stava diventando sempre più opprimente, nonostante ci fossi solo io.

Richard era andato via, sbattendo con veemenza la porta dietro di sé e lasciandomi immersa nei miei sensi di colpa.

Ne avevamo già parlato, mi aveva detto di non riprendere più quella conversazione, ma io non lo avevo ascoltato.

Il discorso genitori, per lui, era abolito.
Non voleva saperne niente.

E io, avevo solo peggiorato le cose.

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