Milano,settembre 2019
Non posso indossare questa jumpsuit, è impossibile che fisicamente riesca a entrare in quel brandello di stoffa blu, mugugno tra me e me mentre in mutande percorro con fare a dir poco irritato il corridoio del mio appartamento.
Come abbia potuto accettare quella clausola del contratto è un autentico mistero, era scritto a chiare lettere: indumenti scelti di occasione in occasione a carico della redazione giornalistica. Guardo il vestito. Sospiro. Non ho dato il giusto peso a questo aspetto del contratto che, dopo solo sette interventi televisivi, già mi urta il sistema nervoso.
Una donna in mezzo a un branco di uomini e valanghe di occhi puntati addosso, già questo potrebbe infastidire in vesti consone alla figura di giornalista, di fatto, sono svestita come una segretaria arrapata, ed il cocktail diventa esplosivo, cito proprio le autentiche parole che il direttore ha usato pochi minuti prima di gettarmi nella tana delle iene cinque mesi fa. E di fatto quel cazzone non si è sbagliato, sono propria esplosa, o meglio, non nel senso letterario della parola, lo share mediatico delle interviste a bordo campo ha segnato un picco significativo con la mia presenza, catapultandomi nel mondo del giornalismo sportivo in men che non si dica.
È accaduto tutto troppo in fretta per accorgermene. Carmen, la telecronista veterana dell'emittente, stava scendendo una gradinata dello stadio San Siro con i sui immancabili tacchi dodici quando una delle sue armi di seduzione, così le chiamava, le ha giocato un bruttissimo scherzo, una sorta di gamba tesa, per voler usare un termine calcistico, che le ha compromesso la stagione: caviglia rotta, diretta sotto la doccia. In soli quindici minuti hanno truccato, pettinato e vestito, si fa per dire, la giornalista di riserva ovvero la sottoscritta. Così agghindata sono stata letteralmente buttata in campo con un microfono e un auricolare per intervistare quei maschioni sudati, citazione dizionario originale di Carmen.
Qualche numero: dodici domande, due lanci allo studio e quindici le ore impiegate dal mio nome per schizzare nelle ricerche in rete. L'hashtag #leonessadelcalcio, il meno pornografico che voglio ricordare, è così diventato virale. Letteralmente una bomba, con questo innesco inaspettato ho trascorso l'estate sulle copertine di tutti i giornali e i follower della mia cliccatissima pagina Instagram @LenoirLeone94 in un mese sono quintuplicati e non accennano a diminuire, tutt'altro.
Tornando in camera da letto guardo l'outfit, sbuffo e inizio a vestirmi.
Lenoir, è solo un mezzo, quello che indossi e ciò che fai adesso saranno il trampolino che ti catapulterà un giorno verso il lavoro dei tuoi sogni, la giornalista sportiva che conta, quella che tutti rispettano o meglio guardano con rispetto, negli occhi e non nella scollatura. La mia opinione per un fallo avrà finalmente un peso e i doppi sensi saranno fuori luogo, capito gran coglione di Marchetti?
Ho proprio una grande stima del mio direttore anche se dovendo essere sincera è grazie a lui se ho avuto questa possibilità, ma ancora non riesco a calarmi con tutte le scarpe nella parte. Già vestita, chino la testa a osservare le decolleté di vernice color cipria, inutili al loro originale scopo dati i miei centosettantanove centimetri, ma utilissime nel perfetto quadro del perverso signor direttore – infatti molti giocatori durante le interviste dopo partita sono precisamente ad altezza allattamento. Un aspetto esilarante per Marchetti. Sospiro afferrando giacca e borsa, vorrei tanto i miei scarpini da calcio rossi ai piedi e un pallone sul dischetto, li desidero profondamente.
Guardo l'orologio e un velo di invidia verso mio fratello Alessandro si insinua nella testolina fumante, lui in questo momento si starà dirigendo in auto al campo per sani ed estenuanti allenamenti mentre io alla conferenza stampa del suo futuro compagno di squadra, quel cazzone di Hoffman.
E il suono di quelle due parole provoca una fitta al cuore così forte da azzerare l'aria all'interno della stanza. Che cosa cazzo mi succede?
Ho cercato con tutta me stessa di nascondere la sorpresa mentre mio padre e Alessandro, durante una cena, hanno comunicato l'anticipazione del calcio mercato, ovvero l'acquisto da parte dell'Atalanta di Rudy Hoffman. Ricordo di aver ingoiato rumorosamente e di aver letteralmente preso fuoco, tanto da sentir fischiare le orecchie. Come al suo solito mio padre non ha lasciato trasparire alcuna emozione, mentre Alessandro non era affatto contento e dopo ciò che Rudy aveva fatto durante Italia-Germania non potevo biasimarlo. Ma in quel momento non potevo dedicarmi a lui, dovevo calmare la sottoscritta. Non vedo Rudy da quella notte di cinque anni fa, la notte dell'aggressione, la notte in cui ho fatto sesso con lui ed al mattino è sparito. Da allora non ho più avuto contatti con quello stronzo, è toccato a mio fratello e nel peggior modo possibile.
Cazzo. Questa cosa è terribile. Veramente terribile.
Già a vent'anni ero veramente rigorosa per quanto concerneva la mia regola non uscire con i compagni di squadra di tuo fratello. Quella notte ho fatto un'eccezione, o meglio, non era una vera e propria eccezione, Rudy faceva parte dell'ambiente ma non aveva mai militato nella stessa squadra di mio fratello e poi è stato dannatamente difficile dire di no. Impossibile. Ripensando ai suoi occhi, alle braccia che mi avvolgevano ricordo perché, e il mio cuore accelera il ritmo. Lenoir, smettila di pensare a quella notte! Lui al mattino se n'era andato. Sono passati anni, con la sua reputazione sono sicura ci saranno state una lista di donne infinita e dopo quello che ha fatto ad Alessandro ho giurato che lo avrei odiato, fino alla morte, con tutta me stessa. Sbatto la porta.
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Difetti di poco conto
ChickLitLenoir Il calcio è uno sport maschilista. È quello che diceva sempre mio padre, sostenendo che per quanto potessi essere brava o spingere il mio corpo oltre i limiti del possibile, mai e poi mai avrei destato interesse. Per tutta risposta, fin da pi...