6. Rudy

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Ed eccomi qua alla mia prima partita nel campionato italiano con la maglia dell'Atalanta, come avevo previsto o meglio annusato nell'aria son ben lontano dalla mia postazione naturale, ovvero il numero 1 dello schema 4-2-3-1, la punta esclusiva pe...

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Ed eccomi qua alla mia prima partita nel campionato italiano con la maglia dell'Atalanta, come avevo previsto o meglio annusato nell'aria son ben lontano dalla mia postazione naturale, ovvero il numero 1 dello schema 4-2-3-1, la punta esclusiva per cui tutto lo stadio esulta. Altro che schema, oggi non ho trovato spazio neppure sulla lavagna. Sono in panchina, ben lontano dal ruolo per cui il mondo mi ha sempre osannato.

Ho momentaneamente il culo per terra? Sì, ma questa condizione durerà poco, giusto il tempo di qualche allenamento in più e le porte del campo si apriranno nuovamente davanti a me, per adesso senza troppe storie rimango seduto a fianco di due miei compagni che non trovano irritante la mia presenza, o almeno non l'hanno esplicitamente detto, mentre guardiamo distratti la partita che fino ad ora è stata piuttosto noiosa.

Le squadre si trovano in parità, è iniziato dieci minuti fa il secondo tempo, i tiri in porta per entrambe si possono contare con una sola mano, anche se ad occhio critico, la Lazio sembra più incisiva di noi. Dal punto di vista della riserva la partita è oltremodo snervante e le urla del mister in sottofondo non mi aiutano a far scorrere le lancette dell'orologio più in fretta. L'atteggiamento dell'allenatore in campo è inversamente proporzionale al suo comportamento al di fuori. La leggenda narra che in tempi non sospetti abbia scelto il proprio cognome per le sue doti eccessivamente aggressive, di fatto ruggisce come un leone... nel vero senso della parola. Il quarto uomo si avvicina a lui per avvertirlo verbalmente per l'ennesima volta, rischia l'ammonizione e siamo alla prima partita di campionato. Fuori dal campo parla con gesti, mezze parole e sospiri, deduco sia uno stratagemma al fine di risparmiare la voce per quando calpesta l'erba. Avevo visto dei video ma dal vivo è impressionante.

Non sono in vena di chiacchiere ma la partita è così piatta che Raul dalla mia sinistra attacca bottone spalleggiato dal secondo portiere di cui non ricordo ancora il nome. Khadil, Khadim... inutile, tempo perso.

«Certo Rudy, se oggi avevi anche una possibilità su un milione di giocare, durante la conferenza stampa te la sei fottuta in un attimo» ridono, «cazzo, hai dato della scimmietta ammaestrata alla figlia del mister.»

Li guardo corrugando la fronte. «E chi ha visto la figlia del mister quel giorno!» esclamo sicuro, ma non del tutto.

«Ora vorresti farci credere di non sapere chi fosse quella gran figa che ti ha punzecchiato in conferenza stampa?» ridacchia tra i denti il secondo portiere.

Nego con la sola testa mentre il ricordo dei suoi occhi profondi in contrapposizione alla voce pungente mi scatenano un brivido che corre lungo tutta la schiena andando a finire direttamente in mezzo alle gambe. Sospiro per bloccare la reazione che ha scatenato la sua immagine e soprattutto il bagaglio di ricordi.

Ribatte sempre più divertito. «Lenoir o Lenuare Leone, non so come cazzo si pronuncia, ma il cognome è ben conosciuto in squadra. Anche se tutti facciamo a cazzotti per farci intervistare nel dopo partita o le ronziamo attorno se la troviamo in un locale, siamo ben consci che su quelle chiappe sode ha appeso un bel cartello con sopra scritto a caratteri cubitali off limits. E scusa se te lo dico Rudy, non penso tu sia escluso da questa clausola, nota a tutti.»

Rimango in silenzio mentre il mio compagno dall'altra parte rincara la dose. «E da indiscrezioni di spogliatoio, quel giorno, tu non hai speso belle parole nei suoi confronti e oggi, di fatto, ti trovi con il culo in panchina» sogghigna, «è un caso?»

Annuisco mentre i due continuano a parlare e i pensieri mi trasportano ben oltre le mura dello stadio Olimpico.

Lenoir Leone è la figlia di Antonio Leone e la sorella di Alessandro Leone, non posso credere all'evidenza dei fatti, sono in un cazzo di triangolo delle Bermude.

Il padre e il fratello sapranno della notte assieme in Brasile? Ne avrà parlato con loro, oppure avendo un ragazzo, ha preferito tacere? Sapranno che ho scopato con lei poche ore dopo aver subito un'aggressione e senza neppure chiedere il suo nome? Me ne sono andato senza una parola, lasciandola nuda e sola in quella camera d'albergo e ho fatto la cosa più stronza che potessi mai fare, lasciarmela alle spalle come se non avesse significato nulla. È stato fin troppo facile dare la colpa a un presunto fidanzato che, ripensandoci oggi, non è mai arrivato.

Dopo quella notte, la frase che ho detto al fratello durante la semi finale dei mondiali e quella sussurrata al padre durante l'intervista, dubito di essere sulla lista degli uomini che ha voglia di rivedere. Mentre i tasselli del mio puzzle piano piano si trasformano in un incubo tutta la panchina si alza in piedi lasciandomi esterrefatto e sconvolto. Alessandro Leone porta la squadra alla vittoria all'ottantesimo del secondo tempo.

Appunto.

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