8. Scheletri nell'armadio

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Il primo giorno la pelle gli bruciava. Era un dolore perpetuo e nessuna pomata riusciva ad alleviarlo. Percepiva tutta la magia nera usata da Voldemort su quel marchio.
Dopo una settimana, percepiva un formicolio fastidioso, che lo faceva grattare di nascosto sotto i banchi di scuola.
Quando passarono un paio di mesi, era solo un leggero pizzicore, che gli ricordava ogni singolo giorno da che parte aveva scelto di stare.
Il peso di quel marchio però stava iniziando a farsi sentire soprattutto a causa delle aspettative dei suoi genitori, che ormai avevano lasciato su di lui tutte le responsabilità dell'eredità dei Black.
Avrebbe tanto voluto scappare come aveva fatto suo fratello, ma come avrebbe potuto, e dove sarebbe andato?
«Vieni da me
Una voce fece eco nella sua testa e il cuore gli si strinse in una morsa.
«Vieni da me, dalla mia famiglia, con Sirius. Perché devi fare il difficile?»
«Non faccio il difficile» rispose nella solitudine della sua camera, nei dormitori della Casa di Serpeverde.
Si toccava distrattamente il marchio nero e pensava all'ultima volta che aveva visto James. Quella volta, alla domanda non aveva risposto in maniera civile. Era stata una discussione pesante, e James non avrebbe dovuto permettersi di provare a salvarlo quando non gli importava più niente di lui.
Rischiò persino di piangere davanti a lui, come aveva fatto molte altre volte, ma in circostanze differenti, più familiari. Ma da quando la loro storia era finita, aveva deciso di congelare i suoi sentimenti e le sue emozioni. Non c'era più spazio per l'amore, dentro il cuore di Regulus.
Spesso i ricordi che aveva con James lo tormentavano. Una nostalgia amara si impossessava di lui molto spesso e lo annegava inevitabilmente in un abisso senza fondo. E le uniche cose che lo poteva allontanare da quei ricordi era l'odio profondo che provava verso di lui e verso Sirius.
Ma anche così, era complicato. Ancora un anno, si diceva. Un anno e non li avrebbe rivisti mai più, perché avrebbero preso il diploma e tanti saluti da Hogwarts.
Per il momento doveva resistere. Perché vederli sorridenti in mezzo ai corridoi della scuola era un supplizio. Soprattutto quando James era assieme alla Evans.
Oh, era stato terribile, veramente terribile capire che, giorno dopo giorno, James stava smettendo di amarlo, solo per bazzicare di nuovo dalla Evans. Ma era giusto così, loro non sarebbero mai stati destinati. Perché lui era un Black, James un Potter. Perché erano due maschi.
«Ehi, Evans, sabato andiamo insieme a Hogsmeade?»
James alzava la voce quando era eccitato per qualcosa. E in quel momento, in Sala Grande, era felice come un bambino al suo primo Natale. Tutti sapevano quanto fosse teatrale e i suoi modi di mettersi in mostra di fronte alla Evans, dimostrava soltanto che ostentava ciò che voleva tutti vedessero. Un innamorato alle prese con le adulazioni e la speranza di non essere rifiutato.
Con Regulus, ovviamente, non era mai stato così. Non gli era mai importato di farsi vedere dagli altri in quel modo. Non perché rispettava la privacy di Regulus, ma per il semplice motivo che non era normale frequentare un ragazzo.
Era stato uno sciocco a non averlo capito prima. Si sarebbe risparmiato mesi di agonia a chiedersi che cosa avesse mai fatto di sbagliato. Non era lui, quello sbagliato, e lo aveva capito molto tardi.
Cercava di non guardare il tavolo dei Grifondoro che, come al solito, era quello più chiassoso. Ma a un certo punto, l'occhio cadde su James e questi, stranamente, guardò verso di lui. Il loro contatto visivo durò per diversi secondi e poi James lo aveva distolto, sorridendo in imbarazzo a Lily.
«Allora?»
«D'accordo, vada per sabato, Potter» rispose la Evans con un sorriso.
Sirius diede a James due pacche sulle spalle e poi strinse il braccio di Remus. Gli disse qualcosa che Regulus non intese, o non volle intendere, perché la sua attenzione era rivolta ancora a James, che finiva di fare colazione.
Il marchio sul braccio non faceva che infastidirlo, e pur di lenire il prurito cercava di stringere la mano intorno ad esso.
Distolse lo sguardo e si alzò, uscendo dalla Sala Grande per andare verso l'aula di Difesa contro le Arti Oscure. Piuttosto comico, dato che a casa sua le praticavano, e lui non aveva mai potuto difendersi.
«Oi.»
Si voltò non aspettandosi che qualcuno gli arrivasse da dietro. Stava per prendere la bacchetta quando riconobbe James, che teneva le mani alzate.
«Sono io, tranquillo.»
«Che cosa vuoi?» chiese bruscamente, controllando che non ci fosse nessuno che li ascoltasse.
«Volevo chiederti se stessi bene.»
«Una meraviglia.»
Il marchio pizzicò e dovette premere il braccio sul fianco.
James lo fissò attentamente, con un leggero cipiglio in volto. «Non mi convinci sai? Hai un aspetto più pallido del normale.»
«E da quando ti interessa?»
«Da sempre mi interessa, sono preoccupato per te. Qualcosa ti tormenta, ma non riesci a dirlo a nessuno, vero?»
Regulus sorrise. «Che cosa te lo fa credere?»
James indicò il braccio, cupo in volto. «Cosa ti sei fatto?»
«Ti pare che voglia rispondere?»
James sospirò e si passò la mano sulla nuca. «Già, no, non qui.»
Gli fece cenno di seguirlo, ma Regulus non si mosse, finché James in qualche modo lo supplicò. Non lo faceva mai.
Andarono su per le scale e poi si fermarono al terzo piano, entrando in un'aula vuota.
Regulus restò rigido con le braccia lungo i fianchi, aspettando che James parlasse.
«Cosa ti sei fatto?»
Regulus strinse i pugni appena James indicò il suo braccio sinistro.
«Ripeto: a cosa cazzo ti interessa?» Regulus questa volta non si trattenne, e la rabbia uscì tutta in una volta.
James non si fece intimidire dal tono brusco che aveva appena usato. «Lo so che non avrei motivo di farlo, ma...» si leccò le labbra, e sospirò. «Ci tengo ancora a te.»
Regulus scoppiò in una risata funerea. Scosse la testa e indicò verso la porta. «Sbaglio, o abbiamo rotto da quasi un anno e mezzo per quella lì? Ogni tanto lo usi quel cervello del cazzo, o non pensi che così mi potresti ferire?»
James sgranò gli occhi e abbassò lo sguardo. «Non parlare in questo modo.»
«Parlo come mi pare dato che sei tu che mi hai portato qui.»
«Mi hai seguito!»
«Sì, perché ero curioso di sapere se eri davvero preoccupato di qualcosa oppure se volevi che te lo succhiassi.»
«Regulus... io non... oh, per la barba di Merlino, mi dispiace tanto ma lo sai che...»
«Hai cambiato priorità» sputò velenoso le stesse parole che aveva detto James. «È un modo poco gentile per dirmi che non mi ami più e che non te ne frega più niente di me. Vuoi sapere cosa ho sul braccio?»
James restò in silenzio, sconvolto. Non rispose e Regulus si rimboccò la manica sinistra, mostrando il marchio nero.
Ci fu un momento in cui il tempo parve fermarsi. James stava guardando il simbolo sul braccio come se non credesse ai suoi stessi occhi. Ed eccolo lì, l'esatto secondo in cui aveva realizzato che cosa significava avere sul braccio quel marchio.
«Che cosa hai fatto?»
«È il risultato delle mie azioni.»
«Reggie... non è giusto, quelle persone non-» Si fermò, indugiando anche solo a chiamarle persone. «Non sono affatto buone, lo sai quanti babbani, o nati babbani hanno fatto fuori?»
Regulus sorrise compiaciuto. «Lo so, altrimenti perché ci facciamo chiamare Mangiamorte?»
James era inorridito. «No, questo... questo non sei tu.»
Regulus annuì. «Lo sono.» Si avvicinò a lui e parlò vicino al suo orecchio. «E non ti azzardare a chiamarmi Reggie, lo potevi fare solo quando ti amavo sul serio.»
James provò un brivido, e non sapeva se di paura o di qualcos'altro, ma non gli interessava. Si allontanò per andare alla porta, soddisfatto di aver mostrato il suo scheletro nell'armadio.
«Regulus.»
Lo chiamò appena aveva afferrato la maniglia. Non si era voltato, ma James parlò comunque.
«Sei in tempo a scegliere da che parte stare, non macchiarti di crimini che non vuoi commettere.»
Regulus soppesò quelle parole, prima di rispondere: «È troppo tardi.»
Aprì la porta e uscì dalla stanza.

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