19.

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"Col diavolo giusto,
l'anima, non la si vende.
La si perde."

Macarena's pov

Quante volte si può inciampare nello stesso errore?
Fino a che punto è lecito sbagliare?
Qual'è il limite, la linea rossa?
Una cosa è certa, l'errore è frutto del cedimento.
Il cedimento alla tentazione.
E la tentazione la si può evitare.
La si può anche annusare senza volerla far propria, la si può desiderare con anima e corpo e comunque non cedervi, con un po' di autocontrollo, ma quando è il diavolo stesso a tentarti cambia tutto. O almeno per me è cambiato.
Quando l'errore è più paradisiaco del paradiso stesso, in paradiso non ci vuoi mettere più piede.
Forse basta davvero poco. Bastano due occhi color smeraldo, un profumo inebriante ed una voce che si insinua nelle parti più recondite della tua anima.
È come il canto di una sirena che inganna i marinai, la sentenza di un condannato, l'istante prima che un grilletto venga premuto.
Semplicemente arriva il momento in cui sai di essere intrappolato.
Non importa quanto forte lotti, quanto remi contro te stesso pur di reprimere certi impulsi.
Come un sortilegio senza antidoto, questi impulsi torneranno con il calare della notte.
Le tenebre conferiscono la segretezza necessaria, permettono ai peccatori di assaggiare il proibito senza esser visti, di toccarlo con mano.
Ed io l'ho toccato con mano. Ho finalmente toccato con mano il mio peccato.
Quando Zulema mi ha permesso di insinuarmi sotto la sua maglietta, senza repliche e senza rigetto, mi è sembrato surreale e tremendamente piacevole. Mi ha provocato sensazioni che mi hanno messa in guerra con me stessa.
La sua pelle fredda, ma liscia e candida sotto i miei polpastrelli ha fatto rabbrividire più me che lei, ma non importa perché in quel momento ero solo assettata di quel nuovo senso di conquista.
E di lei.
Siamo rimaste chiuse in quella macchina un ora abbondante in cui Zulema ha riscritto nella mia mente la definizione di piacere; con un significato tutto nuovo, con parole nuove e con il suono dei miei orgasmi di sottofondo, è riuscita a farmi stare bene come nessuno mai.
Insomma, se esiste un limite di errori io l'ho decisamente sorpassato da tempo, a causa sua e dei miei impulsi che vengono a galla con un suo solo sguardo.
Sbagliare è umano, ma perseverare è diabolico ed io ho perseverato fin troppo.
Non esisterà salvezza per me, per noi, eppure non me ne cruccio.
Anzi, ne sono quasi compiaciuta.
Perché quando stiamo insieme lei riesce ad affievolire il mio dolore, a farmi scordare del mondo attorno a noi che ci grava addosso e so che per lei è la stessa cosa.
Ed io non intendo più negarmi di stare bene.
A costo di pagare qualsiasi prezzo.

Tre colpi decisi sulla porta del mio ufficio non sono sufficienti a farmi alzare la testa dai fogli che sto compilando: sono delle pratiche per un cliente importante e devo consegnarle entro domani.
"Avanti." annuncio controvoglia alzando la voce.
Sento la porta aprirsi lentamente e, chiunque sia entrato, se la richiude alle spalle senza indugio.
"Buongiorno Macarena."
Alzo lo sguardo, sorpresa, e lo fisso confusa.
"Ciao Andres..."
Andres.
Chiunque mi aspettavo, tranne lui.
Da quel giorno in cui mi ha toccato la gamba, con mio disappunto, esattamente in questa stanza, non abbiamo parlato più di tanto.
Oltre ai saluti di circostanza nei corridoi non siamo andati e non ho intenzione di farlo adesso.
"Hai bisogno?" domando tornando a scrivere senza fare troppo caso alla sua presenza.
Stringo più forte la penna tra le dita, irritandomi al pensiero che sicuramente si è fatto. Ovvero quello di potermi toccare o di avere una possibilità con me solo perché sul momento non ho avuto il coraggio sufficiente a dirgli di allontanarsi.
C'erano anche Zulema ed Hanbal, non avevo modo di respingerlo.
Ma adesso...
"Volevo solo parlarti." minimizza alzando le spalle e accomodandosi, come se fosse il padrone qui dentro, su una delle sedie girevoli davanti alla scrivania costringendomi a rivolgergli la mia attenzione.
"Allora parla." ribatto con una risata sommessa incrociando le braccia sui fogli ormai abbandonati.
"Hai piani per stasera?" irrompe sganciando la bomba.
Mi schiarisco la gola nervosamente e penso alla prima scusa da rifilargli.
"Credo di rimanere in ufficio fino a tardi oggi." indico la mia scrivania. "Devo compilare questi fogli entro e non oltre stasera. Sai com'è Arturo riguardo alle scadenze..."
Annuisce piano. "Si, lo so bene." sorride ed abbassa lo sguardo sul bracciolo della sedia. "Ma tutto questo lavoro non ti fa bene Macarena."
Sgrano leggermente gli occhi e mi trattengo dal dirgli che non sono cazzi suoi.
"Insomma, non sei stufa di essere sempre quella che fa le cose giuste, quella che non sbaglia mai, che non delude le aspettative?" spiega guardandomi dritto negli occhi.
Scuoto la testa con un sorriso teso. "È il mio lavoro Andres. È giusto così."
E oltretutto non sa quanto si sbaglia.
Nella mia vita privata solo io so quanto sto sbagliando tutto, quanto sto superando il limite.
Se le persone a cui tengo venissero a sapere come sono realmente rimarrebbero deluse, preoccupate quasi.
E forse farebbero bene, ma non è questo il punto.
Perlomeno sul lavoro voglio rimanere la Macarena che tutti conoscono.
L'uomo davanti a me sbuffa ridendo. "Dai, lo sappiamo tutti e due che qui dentro c'è gente che non si meriterebbe neppure di fare le pulizie. Se Arturo si aspetta troppo da te è perché tu glielo hai concesso."
Annoiata dalle sue parole comincio a distogliere lo sguardo e a perdermi nei miei pensieri.
Afferro la bottiglietta d'acqua, che tengo sempre in borsa, e ne bevo un sorso fingendo di annuire alle sue parole.
"...fai tanto per questo posto. Prendilo come un consiglio da qualcuno che ha più anni di esperienza di te: ogni tanto puoi anche rallentare. Soprattutto dopo ciò che hai vissuto, dopo la rapina nonostante tu abbia rischiato più di tutti, non hai mollato mai."
A quelle affermazioni l'acqua mi va improvvisamente di traverso e inizio a tossire con le guance arrossate.
"Già...ma sono rischi del mestiere." commento infine quando riprendo fiato.
Andres si gratta il mento confuso e guarda fuori dalla finestra alle mie spalle. "È assurdo quello che ti hanno fatto. Prenderti come ostaggio, farti rischiare la vita. È una cosa seria Maca e spero che chi ti ha fatto ciò marcisca in carcere."
Allunga piano la mano sulla scrivania fino a raggiungere la mia e stringerla piano in segno di conforto.
Un conforto che credo non mi servi più dato che la mia rapitrice, solo quattro giorni fa, mi ha sbattuta per bene in una macchina da 200.000€. Ma chiaramente lui non può nemmeno lontanamente immaginarselo. "Lo spero anch'io." commento abbassando lo sguardo sulle nostre mani fastidiosamente unite.
La ritraggo appena deludendolo e lui la lascia andare improvvisamente, come se scottasse.
Un po' spazientita mi raccolgo i capelli in uno chignon veloce. "Dove vuoi andare a parare facendomi la paternale, Andres?" sospiro.
E lui finalmente sputa il rospo. "Volevo chiederti di uscire stasera."
Rimango in silenzio un secondo, stupita ma non troppo dalle sue parole.
"Manda queste scartoffie domani e goditi una serata senza pressioni cazzo." sostiene alzandosi dalla sedia. "Dai, ti aspetto stasera al locale qui vicino. Non darmi buca." ride affondando le mani nelle tasche.
Non sapendo più come replicare mi arrendo, ma a una condizione. "Posso portare Kabila?"
Sul suo viso si dipinge un espressione leggermente delusa che cerca di mascherare con scarsi risultati.
"Più siamo meglio è, no?" mi giustifico facendo spallucce.
Annuisce abbassando lo sguardo sulla maniglia della porta. "Ma certo. A stasera allora."

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