.8.

63 5 0
                                    

Han aveva completamente perso la cognizione del tempo. Si era messo sulla panchina di un parco a disegnare e, quando era scesa la sera, gli si era acceso il lampione sopra la testa. Perso com'era nei meandri della sua mente artistica, non se n'era minimamente accorto e quindi adesso era costretto a passeggiare attraverso quelle viuzze scure per tornare a casa.
Non gli era mai piaciuto camminare al buio: non si può dire che avesse paura dei mostri come i bambini, ma lo trovava inquietante. Ogni volta gli si accapponava la pelle, i capelli ed i peli gli si rizzavano addosso ed i brividi scivolavano incontrollati lungo la sua schiena.
Si sentiva in pericolo, senza sapere bene perché, e per questo i suoi passi erano rapidi e silenziosi, mentre pregava con tutto il cuore di passare inosservato.
La sua non era una grande città, ma si trovava proprio al confine con la Corea del Nord e spesso ci girava gente... strana. Quando la incrociava, c'era sempre qualcuno con lui, che fossero i suoi genitori, suo fratello Si Woo, il suo migliore amico In o Minho, perciò non aveva la stessa percezione di pericolo che lo azzannava in quel momento. Fece un respiro profondo per calmarsi; perché mai doveva essere così sfortunato da incontrare qualche criminale in quel preciso momento?
Mentre camminava a passo svelto, con la testa abbassata perché impegnata a raffigurarsi decine di brutti possibili eventi, non fece caso ad un uomo che gli passò accanto e per sbaglio gli diede una spallata, facendogli volare il cellulare.
-Mi scusi tanto- gli disse, chinandosi per raccoglierlo. Nel girarlo, vide che lo schermo era ridotto in mille pezzi.
-Cazzo, il mio telefono!- urlò lui.
Han alzò lo sguardo ed ebbe un brivido: il tizio, che poteva avere tra i trenta ed i quarant'anni, aveva i capelli neri tagliati cortissimi e diversi piercing sulla faccia, un tatuaggio spesso lungo il collo, così come tanti altri sparsi sulle braccia, e le orecchie colme di anellini.
In generale non aveva pregiudizi, ma in quel contesto specifico, nel buio più totale, con il cuore che batteva all'impazzata, pensò che potesse venirgli un infarto.
-Mi dispiace, non l'ho fatto apposta- mormorò.
L'uomo lo afferrò per il colletto e lo strattonò.
-Adesso me lo ripaghi-
-Non ho nulla con me- rispose, con voce tremante. Han si guardò intorno alla ricerca di aiuto, ma le poche persone che camminavano in quella stessa via preferirono accelerare il passo.
-Non me ne frega un cazzo, trova il modo di darmi i soldi-
Il fiato dell'uomo gli sfiorò le labbra e non fu difficile capire che aveva abbondantemente fumato erba. Quella puzza gli entrò nel naso e gli fece venire i conati.
Han lo allontanò con una spinta.
-Ora penso ad una soluzione, ma non mi toccare- gli disse disgustato, con i brividi che scorrevano lungo la sua schiena.
Il tizio lo osservò con cipiglio irato, mentre il castano si tastava le tasche ed apriva lo zainetto alla ricerca di qualche cosa che potesse essergli utile. Tirò fuori il telefono per chiamare qualcuno, anche se sapeva che poteva essere una mossa azzardata; era abbastanza sicuro che il telefono di quell'uomo fosse già rotto, prima che si schiantasse a terra, e che in realtà si trattasse di una rapina in piena regola.
Chiamare qualcuno fu l'unica cosa che gli venne in mente: non aveva davvero con sé il portafoglio, era andato a disegnare. Se preferiva, aveva ampia scelta di matite colorate, ma nessuna banconota.
-Dammi il cellulare-
-Ma mi serve- ribatté Han.
L'uomo tirò fuori dalla tasca un minuscolo coltellino svizzero e glielo puntò contro, facendo tremare le gambe ad Han dalla paura, mentre la sua mente veniva offuscata dal rombo del cuore nelle orecchie. Glielo lasciò senza aggiungere altro, senza poter chiamare aiuto, spaventato. Voleva solo mettersi a piangere. Si sentiva bloccato.
-Dammi anche l'anello d'oro che hai attaccato alla catenina- gli ordinò. Il castano lo fissò con le sopracciglia aggrottate, portando istintivamente la sua mano a stringere quell'oggetto per tenerlo al sicuro.
-No, questo no-
-Dammelo-
L'uomo allungò una mano per prenderglielo ed Han gliela schiaffeggiò. Nessuno gli avrebbe portato via quel tesoro.
-Ho detto di no- si indispettì il castano.
L'uomo fu rapidissimo: lo prese di nuovo per la giacca e, con la stessa mano che reggeva il coltellino, gli sganciò un pugno sullo zigomo.
Han era sempre stato un ragazzino tranquillo, non aveva mai fatto a botte in vita sua e quel pugno gli fece tremare il cervello. Cadde a terra, disorientato e dolorante, mentre l'uomo, torreggiando su di lui, gli strappò di dosso la catenina d'argento con un gesto secco. Han sentì la pelle del collo bruciare, ma ancora di più la disperazione di aver perso una tra le cose emotivamente più preziose che aveva.
-Ridammelo!- gli gridò, come un bambino, mentre si tirava in piedi. L'uomo ridacchiò con scherno, facendo oscillare quell'oggetto sopra la sua testa: lo prendeva in giro senza pietà, perché lo vedeva talmente debole. Una facilissima preda e, con prede simili, si può solo che giocare.
Han lo assalì, senza pensarci, e gli afferrò con entrambe le mani il polso, appendendosi con tutto il suo peso. Sbatté le ginocchia per terra nella caduta, trascinandosi quell'uomo appresso, poi strinse la presa sulla catenina e gliela tolse dalle mani. Percepì la minuscola ma appuntita lama del coltellino perforare la pelle ed entrare nella spalla, ma l'adrenalina non gli fece sentire immediatamente il dolore. Avvertì solo qualcosa bagnargli la manica, mentre le tempie pulsavano con violenza ed il respiro affannava sempre di più.
Spinse all'indietro l'uomo e si alzò, cominciando a correre come se ne dipendesse la sua vita, ma quasi in contemporanea anche il ladro scattò in piedi e gli si scagliò addosso, facendolo rovinare per terra ancora una volta. Si ritrovarono proprio sotto il cono di luce di un lampione, come i protagonisti di una tragedia greca.
L'uomo gli salì sopra lo stomaco e lo colpì, ancora ed ancora, puntando al volto, alle spalle ed al petto, mentre Han tentava di difendersi, nonostante ogni colpo gli sfocasse la vista e gli levasse il respiro.
Improvvisamente tutto terminò. L'uomo gli fu levato di dosso ed Han sentì solo dei rumori sordi accanto a lui, ma era troppo stordito per capire davvero cosa stesse succedendo. Poi qualcuno lo sovrastò, oscurandogli il volto dalla luce del lampione, ma anche così non riuscì a vedere nulla per quanto la vista fosse fuori fuoco dalla paura. 
-Ehi, ci sei?- gli chiese una voce, che lui percepì ovattata. Una mano lo afferrò per il polso e lo fece mettere in piedi, aiutandolo a camminare verso un'automobile nera.
-No, NO!- tentò di fare resistenza Han, riaccucciandosi a terra. -L'anello di Minho. DOV'È?- gridò, con la testa che gli stava per esplodere dal dolore.
Qualcuno glielo mise davanti agli occhi. -Eccolo qui-
Han lo afferrò, sospirando sollevato, e lo strinse a sé, posandovi le labbra sopra. Poi alzò lo sguardo verso quel ragazzo dai capelli lunghi e scuri, la pelle candida e la voce raffinata.
-Non mi sento molto bene- e svenne.

Forsaken OnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora