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Minho era stanco. Quanto gli faceva ribrezzo quella parte della sua vita: menzogna, violenza, spietatezza, crudeltà, ingiustizia erano all'ordine del giorno. Come poteva una persona farsela andare bene? Come faceva Hyunjin a rimanere così indifferente?
Si vergognò di far parte della sua famiglia, ma pensò anche che non avrebbe conosciuto Han, Hyunjin e Felix, se non fosse stato condannato a nascere dai suoi genitori. Era una maledizione, ma forse avrebbe potuto passarvi sopra.
Era stato costretto a rapire Felix, gli aveva mentito e l'aveva torturato per tre giorni interi, ma non aveva avuto altra scelta, pur di salvarlo.
Aveva aspettato che i 14K si fidassero di lui ed allentassero un po' la presa, prima di caricarlo su un aereo e farlo volare fino in Giappone.
-Ti prego, poi fammi sapere come sta Hyunjin- lo aveva implorato Felix, dopo aver capito che Minho aveva scelto di aiutarlo, rischiando la sua vita per lui.
Il ragazzo dai capelli viola aveva sorriso addolcito perché, nonostante tutte le ferite e le sevizie, l'unico vero interesse per Felix rimaneva il suo fidanzato. Assolutamente adorabile.
Minho stava tornando a Gimpo ed anche lui non vedeva l'ora di incontrare Han; sì, erano solo tre giorni che non lo vedeva, ma chi starebbe tre giorni interi senza il proprio sole?
Tutti gli abitanti sopra il circolo polare artico ci stanno per mesi...beh, non Minho.
Chiamò Han diverse volte, ma il cellulare squillava a vuoto. Spesso capitava che il castano si mettesse le cuffiette mentre disegnava e tutto intorno a lui avrebbe potuto smettere di esistere, non se ne sarebbe accorto. Figurarsi un cellulare che squilla. Decisamente non una ragione valida per interrompere l'ispirazione artistica.
Arrivò davanti all'ingresso, ma non fece in tempo a suonare il campanello che vide la madre di Han scendere i gradini nell'androne ed aprire il portone. Lei gli fece un cenno col capo, sorridendo.
-Eomma, buongiorno- la salutò.
-Buongiorno a te, Minho-
-Han è in casa?-
-Sono stata sempre fuori oggi, non ne sono sicura. Sali pure, tanto c'è Si Woo che ti può aprire-
-Grazie mille. Buona giornata- le disse con un sorriso, mentre lei si allontanava.
Salì le scale alla velocità della luce e bussò con forza alla porta d'entrata. Si Woo la spalancò senza curarsi di chiedere chi fosse.
-Ciao Minho. Vieni, entra- gli diede il benvenuto il fratello maggiore di Han. Era più alto rispetto al fratello e molto diverso: i suoi lineamenti erano più affilati rispetto alle guanciotte morbide del suo ragazzo.
-Woo-hyung, buongiorno. Mi dispiace disturbarti, volevo solo sapere se c'è Han-
Il ragazzo lo fissò perplesso dal divano, con le cuffie nelle orecchie ed il joystick in mano, senza aver udito la domanda. Ecco, in quello si assomigliavano molto.
Minho sbuffò divertito e si diresse verso la camera di Han. Era stata lasciata esattamente come la ricordava: in disordine, con matite colorate, tele, pennelli, libri, vestiti sparsi ovunque.
Si avvicinò alla scrivania e rimase a bocca aperta, quando mise a fuoco l'ultima opera di Han. Era un ritratto a tempera e rappresentava Minho, anche se il soggetto stesso faceva fatica a riconoscersi. Quel disegno era troppo perfetto, troppo sensuale, troppo elegante rispetto a com'era nella realtà.
Minho ridacchiò imbarazzato ed intenerito nel supporre che Han lo percepisse in quel modo; solo gli occhi dell'amore potevano vederlo più bello di ciò che realmente era.
Gli venne in mente che il suo compleanno si stava avvicinando e probabilmente quel ritratto sarebbe stato il suo regalo...non avrebbe dovuto vederlo. Già si immaginava le urla irate del suo ragazzo, dopo aver scoperto che Minho aveva ficcato in naso.
Non toccò nulla e ritornò in salotto, gettando un'ultima occhiata a quel disegno ed immaginando con trepidazione il giorno in cui Han glielo avrebbe consegnato tutto imbarazzato.
Il ragazzo dai capelli viola sventolò la mano per richiamare l'attenzione di Si Woo.
-Hyung, dov'è Han?- gli domandò, quando quello si tolse una cuffia dall'orecchio.
-Non lo so. Quando sono uscito per andare a lavorare, verso l'ora di pranzo, è sceso con me. Ha incontrato un tizio che non avevo mai visto e si è messo a parlare con lui-
-E chi era? Com'era fatto?-
-Fai il gelosino, Minho?- sollevò il sopracciglio Si Woo, ironico. -Moro, capelli lunghi, codino, alto, magro, pelle bianca, un bel ragazzo-
Minho lo identificò subito dalla descrizione. Era Hyunjin... chissà cosa voleva da Han.
-Ti ringrazio tanto. Ci vediamo- lo salutò, uscendo di casa.
Minho non si fece troppi problemi. Hyunjin era un po' un impiccione, soprattutto quando si trattava delle cose sue; da piccolo gli toccava le collezioni, spostava i modellini, usava gli aquiloni, perdeva i pezzi dei puzzle e da grande importunava il suo fidanzato. Ci stava, Minho non ne era sorpreso. Hyunjin aveva avuto modo di conoscere Han ed adesso non avrebbe mollato la presa per nulla al mondo, come un segugio con la preda in bocca.
Minho si immaginò che il moro avesse accompagnato Han a casa sua, perciò guidò senza fretta fino a lì. Entrò dal portone, cercandoli, ma il luccichio di qualcosa attaccato alla lucerna attirò la sua attenzione e lo fece tornare indietro.
Il cuore iniziò a battere fortissimo, quando, allungando la mano, si rese conto fosse l'anello che aveva donato ad Han. Era sporco di sangue e di terra. Iniziò a sudare freddo, spaventato dai mille pensieri inquietanti che gli affollarono la mente.
Minho girò per ore intorno a Gimpo, cercando e chiamando il fidanzato al cellulare, finché non venne il buio. Non ricevette mai nessuna risposta e pensò di impazzire da un momento all'altro. Richiamò la madre di Han per sapere se il ragazzo fosse tornato a casa, ma anche lei si reputava preoccupata; suo figlio non sarebbe scappato da casa, doveva essere successo qualcosa.
Minho chiamò anche l'ospedale, ma gli fu comunicato che non c'erano stati ingressi di ragazzi giovani e feriti.
Durante la notte non riuscì a dormire per l'ansia che lo divorava ed alle prime luci dell'alba ricominciò a cercare.  Qualche ora dopo, passò davanti al parchetto dove lui e Hyunjin giocavano quand'erano piccoli. Si intenerì a ricordare tutti i fantastici momenti che avevano vissuto lì, finché la vista di un corpo avvolto da giacchetto blu oltremare spiccare in mezzo al verde del prato non gli fece saltare diversi battuti.
Appena fatto qualche timido ed sconvolto passo, pestò una pistola che conosceva fin troppo bene. Minho scattò in avanti, correndo a perdifiato verso quel giacchetto, per poi accasciarsi sulla corteccia dell'albero, quando si rese conto che il viso di quella persona lo conosceva bene. 
Tutto l'ossigeno gli fu strappato dai polmoni e Minho affannò così tanto da non riuscire più a respirare. Crollò a terra, annaspando e tenendosi la gola, mentre allungava il braccio verso la mano di Han.
Fredda.
Non come quando d'inverno gli si gelavano e lo pregava di scaldargliele e Minho le ficcava dentro le tasche del suo cappotto. Non quando, finita la battaglia di palle di neve, Minho lo prendeva per mano e le strofinava tra le sue per riportare un po' di calore.
Intrinsecamente fredde.
La consapevolezza che non sarebbero mai più state calde lo colpì come una bastonata a mazza chiodata.
-Han- lo chiamò senza voce. -Han- e lo scosse.
Gattonò fino a lui e gli accarezzò la guancia, anch'essa gelida. Si sdraiò al suo fianco e gli mise un braccio attorno alle spalle, sporcandosi di fango e di sangue. Lo guardò e desiderò con tutto se stesso che aprisse i suoi stupendi occhi scuri, dicendo "è solo uno scherzo, scemo". Le orecchie riprodussero l'eco della sua risata.
Minho fece sì che le loro fronti si toccassero, mentre le lacrime, silenziose e letali, cominciarono a scendere dai suoi occhi chiusi.
Non voleva riaprirli mai più.
Come avrebbe potuto accettare una vita senza Han, quando lui era la sua unica ragione di vita? Avrebbe voluto rendersi cieco e sordo, con il solo scopo di poter alterare la realtà per vedere solo ciò che voleva e sentire solo ciò che desiderava.
Un singhiozzo uscì dalle sue labbra, seguito da un altro e poi da un altro. 
Han era lì vicino a lui, poteva vederlo ed accarezzargli i capelli... ma non era più lì.
Quelle mani non avrebbero riafferrato una matita per creare arte, preso un microfono per cantare, non lo avrebbero più sfiorato per fargli venire i brividi d'amore.
-Han, resta. Non andare via, ho bisogno di te. Non lasciarmi da solo, non voglio stare solo. Ci eravamo promessi di stare insieme per sempre, come faccio io adesso?-
L'urlo di dolore che uscì dalla sua bocca arrivò direttamente dal cuore, in un tragitto unico. Fu profondo e roco, disperato, stremato e la foresta, nella sua quiete, lo restituì amplificato, innalzandolo fino al cielo.
Gli occhi di Minho caddero sull'altalena di legno che dondolava lieve, mossa dal vento: sulla base erano stati incisi i nomi "Minho" e "Hyunjin".
-Perchè mi hai fatto questo?- gli chiedeva, come un folle. -Come hai potuto strapparmelo via? Non ti ho detto quanto è essenziale per me, quanto lo amo, quanto ho bisogno di lui? Non l'hai visto dai miei occhi, non te ne sei accorto dai miei gesti?-
Il ragazzo dai capelli viola singhiozzò, ansimando senza fiato, ed appoggiò la mano tremante sul volto del fidanzato.
-Han, ti prego, ti prego. Torna qui. Io volevo sposarti e passare tutta la mia vita con te. Non puoi andare via così, non può finire tutto così. Non ti ho neanche chiesto scusa per quella volta che mi sono arrabbiato per i tuoi amici di università; non ti ho ancora cucinato quel piatto malese che ti piaceva tanto; non mi hai ancora augurato "buon compleanno" e dato il tuo regalo; non ti ho dato il bacio della buonanotte questi ultimi tre giorni, dovremmo recuperare come al solito; non ti ho neanche salutato...
Ti prego, un ultimo abbraccio, un ultimo bacio. Un ultimo secondo. Uno solo. Uno solo, Han-
Le sue urla non cessarono per ore. E più le mosche svolazzavano intorno al corpo, più Minho si disperava e le scacciava con rabbia, rotolandosi nel fango, augurandosi che la terra si aprisse e lo divorasse.
Non aveva la forza per andare a prendere la pistola di Hyunjin, quella che Minho stesso gli aveva regalato per difesa personale, e piantarsi una pallottola dritta nel cuore. Si colpì, pianse, urlò, si rotolò, agonizzò per ore.
Finché non si arrese. Il sole alto nel cielo brillava tra le foglie dei centenari alberi; Han lo avrebbe disegnato. Per lui ogni piccola cosa era degna di essere disegnata, anche un ragnetto, che la gente di solito scaccia, anche un fiore appassito, anche una nuvola passeggera, una scritta sulla panchina in stazione, una pozzanghera, anche Minho, così piccolo, così infimo.
Ed un pensiero lo investì. Han rappresentava sui fogli e sulle tele un qualcosa di irrilevante fino a renderlo arte. Quello poteva essere un modo per averlo vicino fino alla fine dei suoi giorni: Minho sarebbe diventato l'oggetto, Han l'artista, la sua vita l'arte da creare. Doveva farlo solo per lui. Solo per lui, non c'era comunque nessun altro.
Il lutto è una forma d'amore e nessun posto dove fuggire e Minho era consapevole che decidere di restare avrebbe voluto dire svegliarsi ogni mattina con la tristezza impressa nel cuore, vedere qualcosa ed essere attanagliato dalla malinconia. Era certo che non migliorasse affatto, neanche con il passare del tempo. Sarebbe stato un lento avvicinarsi all'oblio e non sapeva quanto avrebbe potuto reggere, ma poteva provarci.
Ci sarebbero stati dei giorni in cui gli sarebbe mancato più di altri, in cui i ricordi sarebbero stati talmente affilati da poter tagliare le ossa, ma avrebbe ricordato quanto Han lo avesse amato, quanto intensamente lo avesse amato, ed avrebbe amato se stesso e la sua vita nel suo nome ed in suo onore. Han sarebbe stato contento di quella scelta.
Minho afferrò il cellulare e telefonò alla centrale di polizia. Una volta chiusa la chiamata, si sedette di nuovo accanto al corpo martoriato dagli insetti e dallo scorrere del tempo.
-Ti amo. E sarà così per sempre. Adesso è il momento di dire addio. Non so se credo nell'aldilà, ma, se dovesse esistere, spero tu sia nel migliore-

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