Venerdì 6 settembre 2002

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Lorenzo era sudato marcio, lo so, ma io non avevo voglia di portare gli scatoloni. Era lui il maschio, era lui che doveva fare fatica. Lo sapeva dall'inizio, e non aveva fatto una piega, come sempre.

Era un bravo ragazzo, non particolarmente intraprendente, però tutto sommato dolce. Faceva l'aiuto idraulico in una aziendina familiare del quartiere Malva, la strada parallela a quella in cui abitavo con mia madre.

Era il moroso che cercavo dopo Filippo, anche se tutte le mie amiche pensavano praticamente il contrario. Qualcuna lo aveva soprannominato Ciccio, nonostante in fin dei conti fosse magro, semplicemente si erano ispirate a Ciccio di Nonna Papera.

Si era preso il venerdì per aiutarmi a fare il trasloco a Bologna, in vista dell'inizio dell'università. A ruota sarebbero arrivate la Torricelli, iscrittasi a Scienze della Formazione e una sua compagna di classe, Katia, che si era iscritta a Farmacia.

Devo ammettere che mi sentivo bene, nonostante il caldo opprimente ed appiccicaticcio di Bologna: stavo per liberarmi delle routine familiari che assieme al mio carattere un po' complicato, mi avevano creato davvero tanti casini negli ultimi anni.

Sì, è vero, ce ne avevo messo del mio, sempre e continuamente a metterli l'uno contro l'altro. Ma era un riflesso per il loro comportamento da genitori incapaci in coppia e ancor meno capaci dopo essersi separati. E così, a forza di lavorare di cesello, ero riuscita non solo a farmi spedire all'università a Bologna, quando in realtà probabilmente non ne avevo le qualità, ma persino a farmi comprare un appartamento che i miei adorati nonni, per amore della propria nipote, avevano finanziato in modo da rendere il restante mutuo un peso relativamente lieve sulle spalle dei miei genitori.

Per loro quel mutuo doveva rappresentare un argomento per farmi sentire in colpa e rendermi una studentessa il più possibile consapevole del nobile gesto della mia famiglia. Ma figurarsi se abboccavo. Era solo l'ennesima dimostrazione che non erano in grado di gestirmi a livello sentimentale e quindi spostavano l'incombenza del legame da loro a un oggetto, ovvero l'appartamento.

Il posto era dietro ai Giardini Margherita, in via Beccari, al quarto di una palazzina di cinque piani, costruita negli anni '50.

E si vedeva.

Nonostante avessimo cambiato un po' di mobilio con materiale Ikea, l'appartamento continuava a dimostrare, sotto certi aspetti, la sua vetustà. Forse era questione di abitudine, ancora non potevo saperlo bene.

Quando finì tutto il lavoro ti trasporto in appartamento, mi dedicai a sistemare la biancheria e a disfare le valigie con tutti i vestiti e le mie cose, Lorenzo mi fissava dallo stipite, sorridendo.

«La Stefy va a vivere da sola» disse, con una faccia contenta ma un velo di malinconia.

L'avevo conosciuto per caso, durante le vacanze di Natale del 2001. Avevo iniziato a frequentare un po' controvoglia il gruppo della Torricelli, giusto per stare lontana da tutto il resto. Chiara mi aveva osservato guardinga la prima volta che mi ero avvicinata per salutarla, alla festa di Halloween.

Assieme a lei c'erano altre ragazze tra cui qualche sua compagna, e alcuni ragazzi di cui Lorenzo. Non ci avevo messo molto ad inquadrarlo: disponibile e un po' impacciato, le guardava tutte come in attesa che succedesse qualcosa di magico, che si creasse un ponte sentimentale tra lui e una qualsiasi.

Non era allupato, assolutamente, ma era chiaramente alla ricerca di una ragazza, come se non importasse chi fosse o come fosse, bastava che fosse. Non si poteva dire che era un figo, ma non era né sciatto né zarro, aveva un modo di fare semplice e dolce. Chiara e le altre tendevano a prenderlo un po' in giro, ad approfittare della sua disponibilità e della sua macchina, pur tenendolo a distanza.

E io avevo fatto come Ash: Lorenzo, scelgo te!

Esatto, avevo fatto tutto io. Lo avevo avvicinato, stuzzicato un po' e infine, vedendolo irrecuperabile, gli avevo dato il mio numero dicendo che magari, se aveva voglia, potevamo andare una sera al cinema.

«Si, certo! Certo che ho voglia» mi aveva risposto, rigirandosi il post-it rosa nella mano.

Ma quello scemo ci aveva messo un giorno intero a messaggiarmi, tempi biblici!

Avevo ingoiato anche quell'affronto, e alla fine ne ero stata felice, perchè si era dimostrato semplicemente perfetto: era dolce, educato, gentile, devotissimo. E ripeto, anche se fisicamente non si poteva dire che fosse un figo, e se anche non si stava laureando in Ingegneria dei Robot Giapponesi, beh, a me non importava nulla.

Ma la Torricelli non se la poteva prendere.

«Ma Stefy, cioè, sei sicura di andarci? Non lo vedo molto adatto a te.»

«Chiara è perfetto, fidati. Ti assicuro che è quello che mi serve.»

Mi guardò come se tramassi qualcosa, come se lo volessi usare per uno scopo più bieco. Ma non avevo altri scopi, altri intrallazzi innominabili. Volevo un tipo così, punto.

Con il tempo, a dire la verità, un po' ne approfittai, ma quello è normale quando in una coppia lui è in adorazione di lei, finisce che lei un po' si siede, un po' se ne approfitta. In fondo me lo meritavo, in quanto a sentimenti non ero stata mai molto fortunata, lo sapete.

«Ma che sola, Lorenz, tre ragazze insieme sono come un esercito, speriamo che i vicini siano comprensivi.»

«Oppure sordi» scherzò, guardandomi.

Voleva fare sesso, era palese. Non lo facevamo molto spesso, a dire la verità, tendevamo a farci valanghe di coccole e poco nocciolo duro.

«Fatti la doccia, prima» lo presi un po' in giro, sapendo che comunque mai avrebbe avuto il coraggio di chiedermi di farlo, e mi piaceva così.

Si lavò ed asciugò in un tempo degno di Maurice Green ma, una volta nella camera, si avvicinò al letto come a chiedere permesso. Io aspettavo in shorts e maglietta, sorridevo di questo comportamento così guardingo. Il caldo rese il rapporto un po' meno piacevole, mi feci fare abbondante sesso orale e poi, quando da un pezzo avevo ottenuto più o meno tutto quello che chiedevo da un pomeriggio del genere, lo feci accomodare sotto e salii su di lui, lasciandomi andare ad una breve sessione di sesso fino al suo orgasmo.

Lorenzo, grazie alla sua venerazione per me, aveva imparato molto bene le tecniche orali più piacevoli. Dato che non lo facevamo molto, lui arrivava sempre un po' carico e la vera e propria fase di inzuppamento biscotti non durava mai molto.

Feci a mia volta la doccia e poi uscimmo alla scoperta del quartiere, camminando per i portici di Via Santo Stefano fino a trovare un posto dove mangiare qualcosa. Il caldo si era fatto meno soffocante e meno appiccicaticcio e cenare all'aperto in mezzo ai Giardini Margherita fu piacevole e passeggiare in mezzo ai vialetti lo fu ancora di più.

«Mannaggia Stefy, promettimi che tornerai qualche weekend, io non posso veramente stare senza di te» mi disse, annusandomi i capelli che non erano nemmeno lavati di fresco. Sorrisi dalla sua cucciolonaggine, e pensare di essere lontana per tutto quel tempo mi dispiacque per lui, ma era troppo importante togliermi di mezzo da Cervia. C'erano troppe situazioni che mi opprimevano e non mi facevano sentire bene con me stessa.

«Tornerò, non ti abbandonerò, fidati, ma tu devi venire a trovarmi spesso, così abbiamo risolto il problema.»

«Tu fai così: chiama il mio capo e digli che hai un tubo rotto. E poi vengo in trasferta da te» disse già sorridendo.

Lo seguii a ruota, poi quando ripresi un contegno, conclusi.

«Si ma poi devi spiegare a mio padre perché i tubi si rompono ogni settimana e l'idraulico viene a Bologna da Cervia.»

Ci abbracciammo lungamente, prima di tornare a casa. Doveva ripartire per Cervia, sabato mattina era al lavoro, ma non sembrava così convinto.

«Lorenz, vuoi rimanere a dormire?» gli chiesi.

«Sarebbe fantastico!» rispose, con gli occhi che si illuminarono.

«Ce la fai domattina?»

«Tranquilla.»

In altre occasioni non l'avrei fatto, non mi sarei calata così tanto nel ruolo della fidanzata empatica, ma nell'ultimo anno e mezzo avevo capito un po' di cose, e lui se lo meritava.

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