Venerdì 13 settembre 2002

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La Torricelli e la Piancastelli arrivarono il venerdì successivo sovreccitate dall'idea di cominciare la loro avventura via da casa. Chiara aveva passato tutta l'estate al mare e si credeva più o meno la nuova Maurizia Cacciatori. Non le si poteva dare tutti i torti: era una bella tipa, non estremamente formosa ma slanciata, e i capelli a mo' di Shakira facevano il resto. Era entrata in casa con la faccia di una che si aspettava i flash dei fotografi.

La Piancastelli era una tipa più umana, con dei capelli castani portati liberi e degli occhi leggermente troppo segnati dall'eyeliner. Una volta messo piede in casa, passò la prima ora e mezzo a parlare di culi maschili dicendomi qualcosa riguardo all'impossibilità di rimanere fedeli quando si va a fare le universitarie via di casa.

«Non mi conosci, Katia. Fidati» puntualizzai. Ridemmo un po' e capii che quelle erano le avvisaglie di quello che mi aspettava per l'inverno successivo.

Ma non mi preoccupai perché in fondo anche questo faceva parte del gioco: volevo essere lontana dalla realtà che mi aveva avvolto negli ultimi tempi e se questo significava avere delle compagne di casa che sembravano papere nella stagione degli accoppiamenti, beh non era poi un prezzo così alto da pagare.

Mostrai loro la casa che fino a quel momento avevano visto solo nelle foto. L'appartamento originale aveva due camere da letto, un bagno, un salotto e una cucina piuttosto piccola. Nella ristrutturazione decisa con Olivia avevamo avevamo "bucato" il muro della cucina realizzando una specie di penisola, ma soprattutto, ricavato due piccole stanze dalla camera da letto più grande, grazie a una parete di cartongesso a cui avevamo appoggiato due librerie. Katia e Chiara si sarebbero divise questi ultimi spazi, non enormi a dire la verità, ma il prezzo era onestamente stracciato per un posto letto a Bologna, di quei tempi.

Ironizzando sulla mia esperienza a Barcellona, iniziarono a chiedermi di cosa aveva bisogno la casa per andare avanti. Io non ero molto pronta per fare la vera padrona di casa e quindi ci sedemmo al tavolo per decidere una sorta di piccolo regolamento in modo che la casa non si autodistruggesse dopo il primo mese di convivenza.

Mi resi conto che le cose da fare in una casa non erano poche e che la più pronta sull'argomento era proprio Katia che, essendo stata lasciata a sé stessa durante l'estate praticamente dalla terza elementare, aveva imparato a destreggiarsi tra lavatrici e fornelli, diventando in fretta una "brava massaia".

«Ma in questa casa non c'è il microonde?» mi chiese scioccata, aprendo i pensili.

«No Katia, non c'è il microonde e mi dispiace se tu ci facevi conto, magari riusciamo a rimediare.»

«E immagino che non ci sia nemmeno l'asciugatrice.»

«Ci sono i fili per stendere fuori sul balcone.»

«Ciao Stefania» mi rispose ridendo, facendo il saluto con la manina, «a Bologna con questo clima di merda e lo smog, stendere i panni fuori è un suicidio.»

Dopo un'ora e mezzo di punti di vista diversi avevo già il cervello che mi esplodeva. Annunciai che andavo a farmi la doccia e ovviamente loro mi fecero notare che se anche ero la padrona di casa, sarebbe stato onesto stabilire equi turni anche per la doccia. Buttai gli occhi al cielo mentre mi toglievo i calzini.

«Quindi dove andiamo stasera?» mi urlò Chiara dal corridoio, bussando in maniera forsennata.

«A letto, cicce!»

«Ma col cazzo! Noi andiamo a far sboccia, se ci liberi il bagno. Ciccia» mi rispose, ilare ma non troppo.

Sbuffai, sorridendo. In fondo non sarebbe stato male farsi un giro di metà settembre a Bologna, giusto per vedere che aria tirava.


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Facemmo la figura delle matricole sceme, nel chiedere in giro dove era la zona dei locali degli universitari, ma a quelle due non fregò molto, tanto mandarono avanti me a metterci la faccia, con la scusa che ero la padrona di casa e quindi dovevo conoscere la zona di casa mia.

«Siete due stronze fatte» dicevo, mentre mi spingevano verso i tipi carini per chiedere da che parte andare.

Arrivammo dalle parti di Largo Respighi e stavamo per infilarci in un localino promettente, quando mi parve di sentire una voce conosciuta. Di lì a due secondi spuntarono fuori Cinzia con il moroso: scendevano una rampa che portava ad un piccolo giardinetto soprelevato. Avevano evidentemente fatto "cose", soprattutto perché lui aveva un'aria soddisfatta e non aveva un indumento al posto giusto, mentre lei era riuscita a darsi un contegno ma si aggrappava al suo braccio sghignazzando.

Non mi aspettavo quel tipo di reazione, ma mi saltò addosso, facendo un urletto. Sentii un vaghissimo aroma alcolico, oltre ad un velo ormonale.

«Stefy, ciao!» disse, tutta felice «Che fate a Bologna? Ah, è vero che me lo hanno detto! Ma c'è anche la Torricelli!»

Mi mollò per andare ad abbracciare Chiara, che intanto diede una abbondante occhiata al suo fidanzato.

«Ma dai andiamo a bere! Simo, vai a cercare un tavolo!»

Il moroso scattò alla ricerca del tavolo e con fare da camionista, spostò un paio di sedie per mettere assieme il posto per cinque. Ridemmo e scherzammo per un paio di orette, scoprimmo che Cinzia era in un appartamento non lontano dal nostro, in Via Zanotti.

«Oh, un giorno mi inviti, così vediamo se ci hai messo gli stessi mobili Ikea che ci ha messo il nostro padrone di casa» sorrise, mentre scolavamo bicchieri dal sapore alcolico e fruttato.

«Se andiamo bene, anche il padrone di casa è lo stesso. Maledetti sfruttatori di studentesse.»

Mi piacque quella serata, il clima era mite e la compagnia faceva sorridere. Attorno a noi c'erano altri ragazzi più o meno della nostra età, e tolti alcuni sfatti probabilmente trasmigrati dalla zona di Piazza Verdi, il posto era perfetto.

Immaginai che quello potesse essere un assaggio della mia vita universitaria, scacciando così le immagini dei litigi con le coinquiline per chi doveva andare a comprare i biscotti e il parmigiano.

«Va bene, girls. Noi torniamo verso casa» si scambiò uno sguardo inequivocabile con il suo ragazzo.

«Certe cose non vanno rimandate» li incalzai, e Cinzia riprese a ridacchiare come quando l'avevo vista due ore prima.

«Mi sa che stasera nulla, a casa devo staccare Angela dal ricettario e Rei dal PC. Sarà una impresa.»

«Ma chi è Rei?!» chiedemmo ridendo, ma Simone iniziò a stuzzicare Cinzia dicendo che magari potevano trovare il modo di fare qualcosa lo stesso, infilandole le mani ovunque. A metà strada tra il divertito e lo scandalizzato, Cinzia se lo portò via salutando in tutta fretta.

Certo che era cambiata proprio. Ma era comprensibile, il suo moroso era tanta roba. E quelle mani non stavano mai ferme.

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