Martedì 29 aprile 2003

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Da Bologna, ore 7.36, a Genova Piazza Principe, via Milano Rogoredo, ore 10.25. Da Genova Piazza Principe, ore 10.58 a Montpellier, via Ventimiglia, Nizza, Marsiglia, ore 19.03.

Perchè feci dodici ore di treno? Non lo so, forse volevo semplicemente scappare da quel casino. Pensavo che magari, vedendomi in faccia, sul punto di piangere, raccontando che mi ero accorta di non amare il mio moroso e di provare una assurda attrazione per una che dopo l'ultimo contatto non mi aveva parlato per tre anni, non mi avrebbe detto che ero una stupida, una illusa.

Ma Melanie, quando avevo sedici anni, mi aveva tenuta abbracciata, mi aveva aiutata. Melanie era stata la prima e ultima persona che aveva saputo, anzi, aveva capito come ero fatta veramente dentro. E quando mi aveva detto di pensarci bene, prima di risponderle, forse lo sapeva addirittura meglio di me.

Quando le avevo scritto che ero in prossimità della stazione, mi era tornato in mente di nuovo quel viaggio assurdo di quattro anni prima, che stavo ripercorrendo a ritroso, scappando per gli stessi motivi per cui all'epoca ero tornata a casa di corsa.

Ma in più c'era stato un fattaccio, e c'era un ragazzo. Pensai che dovevo ripartire daccapo, forse.

Quegli occhi chiari innestati in un fisico forte, quasi muscoloso, che trasmetteva ancora una gran energia, volontà, consapevolezza. La sua passione per il fitness e uno stile di vita sano evidentemente non l'avevano abbandonata. La abbracciai fortissimo, come se finalmente potessi lasciarmi andare. E in parte era vero, perchè da quando avevo iniziato a frequentare di nuovo Valeria, e da quando lei mi aveva ricordato cosa era successo a Firenze, non mi ero lasciata più andare a gesti sentimentali così liberi con una ragazza.

Con il mio francese poco più che scolastico, e con un po' di spagnolo schiferrimo, le parlai lungamente, mentre si faceva sera.

Melanie, che ha tre anni più di me, aveva passato la sua vita a Beziers, una pittoresca città nel sud della Francia. Da sempre le piacevano le ragazze, ma nella sua piccola comunità, aveva trovato scarso sostegno tra amici e famiglia, contribuendo a rendere la sua esperienza un cammino tutt'altro che positivo, fino a quando aveva abbracciato il calcio.

Sembra un cliché ma non lo è. Melanie aveva iniziato a giocare a calcio piuttosto tardi, al liceo, come "scusa" per passare più tempo con la propria amica del cuore. Aveva scoperto un mondo di tolleranza e sorellanza che l'avevano fatta sentire finalmente in pace con sé stessa, e aveva imparato ad abbracciare la sua identità con orgoglio e apertura.

In famiglia avevano fatto finta di ignorare il suo orientamento, l'importante era che non lo "esponesse" in casa, ma la sua insofferenza era stata talmente forte da farle scegliere di migrare appena possibile a Montpellier, dove la squadra locale l'aveva inserita nella propria rosa e le aveva dato una mano a trovare un lavoro che le permettesse di integrare i pochi euro che la società le dava di rimborso.

L'avevo conosciuta nell'estate molto "movimentata" che aveva scelto di fare prima di trasferirsi nella città dove avrebbe frequentato l'università dopo il liceo. Era libera da rapporti sentimentali, dopo aver rotto con la sua ragazza delle superiori, Amanda.

Melanie studiava presso l'Università di Montpellier-I, concentrandosi su un campo che la appassionava, frequentava la Faculté des sciences et techniques des activités physiques et sportives, non era proprio in pari con gli studi, ma non si dannava l'anima anche a causa degli impegni extrascolastici.

Nel poco tempo libero, amava stare in giro a zonzo per le strade di Montpellier, e grazie anche alle sue compagne e amiche, frequentava club e luoghi LGBT. Mi chiese se fosse un problema per me andare in uno di questi posti, per fare una cena leggera.

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