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Naria mi piazza davanti allo specchio, quello in camera sua, verticale, rettangolare, che sta appeso al muro con un chiodo. Con fare giocoso, mi sfila la maglietta e la getta sulle coperte rosa del letto.

Il suo tocco ossuto si fa strada lungo il mio corpo. Rabbrividisco.

Mi accarezza la pancia da dietro e poi, con un movimento rapido e quasi violento, mi abbassa i pantaloni, fino a che non cadono per terra.

Mi spintona e mi ritrovo appiccicato al mio riflesso. Resto immobile per qualche secondo. Lo specchio è gelido ed è come se stessi baciando me stesso. Mi tiro un po' indietro.

Conosco il mio viso fin troppo bene. Ho i capelli neri arruffati e un po' di barbetta incolta sulle guance olivastre. Le mie labbra sono contratte in un'espressione piena di disagio e qualcosa brilla nei miei occhi piccoli, sottili e scuri: imbarazzo. Non ho una bella cera, non ce l'ho mai.

Vedo Naria nel riflesso. Sta scartando il pacco che ha posato sul letto. Io sono qui che aspetto. Il mio fiato caldo appanna lo specchio. Se Zoe fosse stata qui, avrebbe scritto qualcosa con le dita nel mio respiro.

Alzo la mano. Tic tac... Batto le unghie sulla superficie, più o meno come avrebbe fatto lei, poco prima di scrivere un "ti amo" sulla condensa.

Dietro di me c'è una bambola, invece. Non la mia Zoe. Gli occhi grigi e spenti sembrano scrutare l'infinito e le leggere rughe, che le solcano il viso, le danno un'aria triste. Le labbra sono carnose e lievemente socchiuse, come se fossero pronte a pronunciare parole che non possono essere vibrate dalle corde vocali di gomma. E ovviamente lei sta ancora sorridendo, inerme.

Colto da un'improvvisa ondata di curiosità, mi volto verso mia sorella per porle una domanda secondo me necessaria: «Ha un nome?»

«A casa di Veleria si chiamava Anna.» Naria lascia un po' in pace l'incarto.

«Mi piace. È un bel nome», mento. Quell'affare non se lo merita di chiamarsi Anna: "Anna" fa troppo umano. Ripeto: «An-na», e mi soffermo sul suono delle singole lettere. «È facile da scrivere», asserisco. «E che cosa faceva prima di finire qui?»

«Anna era in grado di parlare e di pettinarsi da sola, prima», racconta Naria. «Il complicato meccanismo che la manteneva animata faceva sì che la sua pelle candida restasse sempre calda, proprio come quella di un vero essere umano, ma camminare non è mai stato il suo forte e, purtroppo, un giorno è caduta, proprio come ha fatto oggi, e si è rotta.»

«Povera Anna!» esclamo senza starci troppo a pensare, ovviamente più per continuare il discorso che per vera empatia.

«Non preoccuparti, Gap. Vedrai che quello smanettone di Toma riuscirà ad aggiustarla. Sono sicura che se Anna potesse parlare, si scuserebbe per il brutto malinteso di prima.»

«Non è stata colpa sua. Mi ha colto alla sprovvista. È il posto di Zoe, quello. Tu sai quanto le piaceva sedersi lì, a guardare fuori dalla finestra», mi lascio sfuggire. «Per un attimo mi era parso di vederla un'altra volta e tutte le volte che le penso... dopo succede che ci sto male.»

«Hai ragione. Avrei dovuto presentarti Anna in un altro modo», confessa mia sorella. «È stato il suo vestito celeste a colpirmi all'inizio. Poi ho pensato che sarebbe stato divertente giocare con lei... e te. Ti ricordi quando passavamo interi pomeriggi a leggere le storie ad alta voce con la signora Tac? Anna non ti sembra un po' come Biancaneve dopo aver morso la mela? E se stesse aspettando qualcuno che la svegli?»

Anche se sono cresciuto, mi ritrovo ancora affascinato da questi fatti straordinari e ogni tanto mi chiedo se si siano davvero verificati da qualche parte.

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