This is enough. It's time to tell the truth

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You are My apple sin

Capitolo 16 "This is enough. It's time to tell the truth" 


"Addio amore mio". Non lo dice. Non c'è spazio per la tenerezza, non a Sparta. Non c'è posto per la debolezza. Solo i duri e i forti possono definirsi Spartani.Solo i duri. Solo i forti.

Delios, dal film 300

Pov Jeremy


"Devo resistere. Devo resistere" continuavo a ripetermi nella mia testa, mentre cercavo di non dare di matto.
Lei era tornata e io non ci potevo fare nulla, non potevo fare altro che sperare che se ne andasse al più presto, di nuovo, con le sue scintillanti scarpette rosse, i suo cappottino bianco firmato e il suo trucco che la faceva sembrare più una che batteva per strada vista la sua età.
-DomDom, non sei contento che io sia tornata? – chiese, sedendosi sulle sue gambe e allacciandogli le braccia al collo.
Io guardai lui, fulminando con gli occhi la mano che le stava per posare sulla sua schiena; avevo le braccia serrate e sedevo sul divano di fronte a loro.
Perché diavolo era tornata?!
-Più che altro mi chiedo perché ora. – rispose, invece, sviando la sua domanda.
-Ma per accudirti, è ovvio! – lo baciò di nuovo con quella lingua velenosa e schifosa.
Quella bocca era mia!
Ringhiai appena sommesso, alzandomi di scatto e dando un calcio al tavolino. Non potevo sopportarla un momento di più.
-Accudirlo? Non farmi ridere. – sibilai –Comodo dirlo ora! E' stato un ospedale un mese e arrivi ora che sta bene? Ipocrita. –. Avevo bisogno di dire tutto ciò che mi passava per la testa, tutto quel fiele non detto e represso; era ora di smetterla di essere il bravo Jeremy di fronte a lei.
-Ma che ti prende Jeremy? – chiese guardandomi con tanto d'occhi, non riuscendo a comprendere il mio comportamento, la mia rabbia. E come avrebbe potuto? Lei non mi conosceva.
-Che mi prende? – risi di gusto, mentre mi piegavo in due, portandomi una mano sullo stomaco.
-Jeremy. – mi chiamò Dominic, con mille altre parole sottointese che io non volevo ascoltare, che non potevo ascoltare.
-Ho che tu non sai affatto fare la madre ed è ovvio che ami solo la sua immagine e i suoi soldi, come ogni volta. – le rivelai. –Ti aspetto in camera. – dissi, poi, a Dominic prima di voltarmi e fare per andarmene, ma la voce della strega mi fermò.
-Jeremy, torna subito qui! Con che diritto ti arroghi di dire questo a tua madre! – chiese furente, staccandosi dal "suo" fidanzato e dirigendosi verso di me.
Mi girai verso di me e le sorrisi sghembo e sfrontato in faccia. –Il fatto che sei solo una p... - dalla sua mano partì uno schiaffo, che però io non ricevetti. Per mia fortuna Dominic si interpose prima, fermandole il polso.
-Non provarci. – i suoi occhi neri carichi di tempesta.
Senza farmi vedere gli strinsi leggermente la camicia per ringraziarlo.
-Non dirmi cosa fare o non con mio figlio. – ritirò la sua mano, il polso lievemente arrossato. Era davvero così forte? Non me ne ero mai accorto; lui con me era sempre così delicato e gentile, mi accarezzava e sfiorava sempre come se fossi fatto di cristallo, anche quando si lasciava andare ai suoi naturali istinti.
-La violenza non è una soluzione. – disse con rabbia. Rafforzai la presa.
-Non importa, fa sempre così. – gli sorrisi per tranquillizzarlo. Inoltre, era anche vero che avevo esagerato, ma la gelosia aveva offuscato ogni parte di me.
Ci avevo messo così tanto per averlo, per riuscire a farlo capitombolare, e ora lei era tornata per rovinare ogni cosa. Non lo trovavo giusto, ma infondo era quel destino che Hegel chiama "necessità"; il fato era sempre presente, anche quando sembrava lontano ed inesistente, pronto a tradire le regole del nostro cuore.
-Non più. – mi cinse la vita dolcemente. Dai suoi occhi potevo leggere il desiderio e l'esigenza che aveva nel volermi baciare, ma entrambi sapevamo di non poterlo fare.
-Ora va di sopra. Dopo parliamo. – e io fui costretto ad annuire, andandomene. Avrei potuto origliare la loro discussione, ma non ne avevo voglia; volevo solo rifugiarmi sotto le coperte, preferibilmente quelle del nostro letto, ma ero anche cosciente del fatto che quella camera sarebbe stata per un po' off limits per me.
Entrai quindi nella mia stanza, ormai fredda e piena di polvere. Non ci entravo o la usavo da un po', solo qualche ora, quando giocavo con l'xbox, ma sempre con Dominic che mi faceva da calda e comoda poltrona e che mi cingeva ogni volta, cercando di distrarmi con piccoli baci o il solletico. Di solito quelli erano i nostri appuntamenti, poiché per ciò che eravamo e saremmo sempre rimasti, non avremmo mai potuto farci vedere in giro più di quanto già non avessimo fatto.
Era il problema della società, il male del mondo, una malattia di nome: omofobia, poi se aggiungevamo il fatto che io ero minorenne e avevo qualche anno in meno di lui il problema aumentava in modo esponenziale. Per fortuna almeno lui e Lorelay non si erano sposati, altrimenti sarebbe stato il mio patrigno e avremmo persino dovuto aggiungerci l'incesto. Un vero casino.
Mi raggomitolai sotto le coperte, in posizione fetale e forse, ammetto, piansi un poco.
Perché amare era sempre così difficile? Eppure nei libri e nei film era così facile, persino in the Sims, ma forse era proprio per questo; perché era finzione. La vita reale non regalava nulla, se non lievi capitoli di vita che si alternavano, ma tutti si chiudevano in un unico modo: con il dolore. Era quindi arrivata la fine anche per me e Dominic? Sarebbe finita quella sera? Non potevo accettarlo. Non l'avrei mai fatto.
Come avrei mai anche solo potuto immaginare di vivere sotto il loro stesso tetto? Con l'uomo che amavo che baciava e faceva l'amore con una persona che era perfino mia madre? Ciò voleva dire solo la morte del mio animo, del mio cuore.
Tremai. Avevo paura, ancora una volta, di perderlo per sempre.
Forse tale paura era proprio insita all'interno di quel fiore che tutti chiamavano amore; un fiore profumato, che spandeva il suo profumo come la Ginestra, ma che come questa era destinata a perire non appena la lava l'avrebbe raggiunta, ma io non ero come lei, non riuscivo ad alzare la testa ed affrontarla, il mio primo istinto era quello di fuggire, lontano; lontano.
Leopardi probabilmente mi avrebbe odiato per questo, mi avrebbe definito sciocco uomo anche se non credevo nel progresso o in Dio come i romantici, ma come loro mi rifugiavo in piccole fantasie, perché sognare ed illudersi era molto più semplice che affrontare la realtà.

Dominic entrò in camera mia dopo mezz'ora. Lo sentii sedersi sul bordo del letto e scoprirmi. Sapeva che ero sveglio; ormai mi conosceva.
-Stai bene? – mi chiese, accarezzandomi i capelli e come un gatto iniziai a fare le fusa.
-Ora che sei qui sì. – dissi, voltandomi verso di lui e guardandolo dritto negli occhi e dischiudendo le labbra.
Lui mi sorrise e si chinò per baciarmi, dolcemente, bisognoso quanto me di quel contatto che univa i nostri cuori, più del fare l'amore.
Erano i baci dopotutto a unire le nostre anime, il penetrare e dare e restituire passione era più una cosa fisica, una necessità che seppur profonda e totalizzante, mai sarebbe stata al pari di un bacio o una carezza o almeno così pensavo.
-Che vi siete detti? – gli chiesi, costringendolo a stendersi accanto a me e abbracciandolo forte, mentre nascondevo il mio volto e i miei occhi arrossati contro l'incavo del suo collo.
Lui iniziò a far scorrere le sue dita lungo la schiena e ciò mi fece sentire ancora meglio, ma continuavo ad avere paura, un timore così grande che mi sembrava di non respirare da ore, da giorni; perfino, da secoli.
-Che lei dormirà in camera, mentre io starò sul divano. Non l'ha presa bene. – e io sorrisi un po' felice. Almeno non avrebbero dormito insieme e questo era già qualcosa.
-E io? – chiesi, facendomi ancora più vicino, fino a desiderare quasi di potermi inglobare a lui.
Mi baciò la fronte e mi prese un polso, dolce, delicato, per ascoltare i battiti del mio cuore come mi aveva rivelato una volta.
-Tu qui, ma qualche volta verrò a trovarti. – sentii nello stomaco un paio di farfalle.
-Non vuoi lasciarmi. – non lo chiesi, era una certezza, ma comunque lui mi rispose con un piccolo morso all'orecchio.
-Mi hai fatto male! – mi lamentai, mettendo il broncio.
Lui rise appena, ma poi tornò serio. –Non ti lascerò mai. Aspettiamo solo tre giorni. Se, se ne andrà allora torneremo a fare i coniglietti in segreto, altrimenti le diremo tutto. –
-Perché non ora? – chiesi io. Resistere tre giorni? Non ero riuscito a resistere nemmeno cinque minuti prima.
-Vorrei aspettare i tuoi diciotto anni prima di dirglielo. Mancano solo due mesi ed è il giorno prima del matrimonio. – mi fece notare e io sbuffai.
-Che coincidenza! – mi finsi sorpreso e lui rise appena, consolandomi poi con un bacio.
-Riesci a farlo? – mi chiese.
-Sì, al massimo posso sempre saltarle addosso e strangolarla. – dissi alzando le spalla –Oppure posso sempre sperare che Doroty venga portata da un tornado e le atterri proprio addosso. Posso regalargliele quelle scarpette rosse orribili. – e lui rise con me, prima di darmi un ultimo bacio ed andarsene.
La notte sarebbe stata lunga senza di lui al mio fianco.

Pov Dominic

I tre giorni erano passati e gli unici momenti passati solo con Jeremy erano stati quelli durante la quale Lorelay era a farsi un bagno. Ero ormai al limite; i suoi baci, le sue carezze, i suoi tentativi di portarmi a letto, erano tutti gesti che assomigliavano tanto al ricevere un pugno nello stomaco.
Ancora una volta mi chiesi come ero potuto finire con una donna come lei e ancora maledii quel caffè, l'assistente e la mia bontà. Era tutta colpa loro, ma in fondo senza di essi non avrei nemmeno potuto incontrare Jeremy e senza di lui, molto probabilmente, la mia vita sarebbe continuata ad essere monotona e senza nessun obbiettivo.
-Quando hai in programma di andartene? – chiesi a Lorelay quella mattina, mentre sfogliavo il giornale e il mio angelo era di sopra a prepararsi per andare a scuola di danza.
-Ho deciso di rimanere qui. – disse lei, versandosi un po' d'acqua all'interno della tazza in cui aveva posizionato delle erbe per la sua tisana. Inutile dire che brutto odore avessero.
-E il tuo lavoro? – posai il giornale. Non poteva restare!
-Finito. Perché tutta questa fretta di mandarmi via? Non mi ami più? – chiese lei voltandosi, guardandomi.
A salvarmi fu il tempestivo arrivo di Jeremy.
-Dominic, mi accompagni a danza? Non ho voglia di farmela a piedi. – mi chiese, entrando in cucina, con il borsone già in spalla.
Io mi alzai ed annuii. Sarebbe stata un'ottima scusa per pomiciare in macchina; mi sembrava di essere un ragazzino a quel modo, però era quasi divertente.
-Vacci da solo Jeremy, stiamo parlando. Non vedi? – disse la donna scocciata, afferrandomi per un braccio e fermandomi.
Come era ovvio, anche il rosso di avvicinò e mi prese per l'altro braccio.
-Non è solo tuo. – ringhiò possessivo. Avrei voluto baciarlo per quella frase, che in fondo valeva un po' come quel "ti amo" che non aveva mai pronunciato, ma che pazientemente stavo aspettando. Sapevo che per lui, dopo tutto ciò che aveva passato ed era stato, non erano parole facile da pronunciare, ma io avrei aspettato anche tutta la vita se si trattava di lui.
-Parleremo dopo, Lorelay. – mi liberai dalla sua presa. –Credo che Jeremy ora sia più importante. – e lo sarebbe sempre stato, ma lo aggiunsi solo nella mia testa.
Lui sorrise vittorioso, facendo poi la linguaccia alla madre. Le ci guardò con astio, ma non mi importò; presi le chiavi della macchina e ce ne andammo almeno per un po' via.

Parcheggiai sul retro, in un posto dove non passavano molte persone e ciò fu abbastanza per ritrovarmelo addosso.
Posai le mani sui suoi fianchi, mentre le sue mi tenevano a coppa il viso e mi baciava languido e bisognoso, mentre si sfrusciava anche un poco.
-Quando se ne va? – chiese, passando a baciare il mio collo e lasciando qualche segno al suo passaggio. Io chiusi gli occhi e sospirai.
-Ha detto che rimarrà qui. – gli rivelai.
Lui si staccò immediatamente e mi guardò.
-Quindi ora glielo diremo. Giusto Dominic? – chiese assottigliando lo sguardo, guardingo e malfidente.
Il mio non rispondere fu abbastanza per lui, per scendere dalla macchina.
-My! – lo chiamai indietro, scendendo anche io.
-Non chiamarmi a quel modo! Di la verità, non mi ami, ma ami lei! – mi accusò fermandosi e guardandomi con rabbia, con risentimento e dolore; troppo dolore.
Quei suoi occhi verdi si erano come spaccati, come il suo cuore.
Mi avvicinai a passo e sguardo deciso, abbracciandolo. Non potevo più chiedergli di aspettare, non potevo più chiedergli di far finta di nulla per altri tre o due mesi.
-Ne sei sicuro? Sei pronto a ciò che dirà? – in fondo lo sapevo che lui voleva bene a sua madre. Ero a conoscenza di quanto avesse cercato la sua attenzione e la sua approvazione.
-Se ci sei tu, sono pronto. – disse stringendomi.
-Glielo diremo questa sera. – decisi, riportandolo in macchina e coccolandolo. Al diavolo la lezione di danza; dovevo sentirlo tra le mie braccia.

Pov Jeremy

Alla fine rientrammo che era l'ora di cena. Ci eravamo presi tutta la mattinata per rimanere in macchina a baciarci e farci le coccole, mentre nel pomeriggio eravamo andati a fare una visita a Conrad, che ci aveva allietato con una splendida notizia quale l'acquisto di una nuova casa solo per noi due. Dominic non si era proprio mostrato entusiasta, ma io ero.
-Che fine avete fatto? – lei ci aspettava già davanti alla porta, lo sguardo furente.
Stavo per dirle di farsi gli affari suoi, ma Dominic fu più veloce di me; mi prese la mano, me la strinse e poi disse la pura e nuda verità: -Lo amo. –.
Mia madre sbiancò, mentre lo guardava confusa.
-Cosa? Che stai dicendo? – chiese incredula.
-Non ti amo, non l'ho mai fatto. – le rivelò, poi il suo sguardo nero e penetrante si posò su di me, sorridendomi –L'unica persona che amo davvero è Jeremy e voglio sposarlo, un giorno. -. Il mio cuore perse un battito, iniziò a volare trasportate da quelle farfalle che albergavano ormai perennemente nel mio stomaco.
Voleva sposarmi. Sorrisi ebete e senza pensarci nemmeno un secondo lo baciai di slancio, non potendo aspettare.
-Tu! – il tono furente e spaventoso di mia madre mi indusse ad allontanarmi e prestarle attenzione.
Fu un attimo, nemmeno riuscii a scansarlo; la sua mano si abbatté violenta sulla mia guancia, dandomi un sonoro schiaffo –Lurido verme! E' così che mi ripaghi per averti cresciuto?! – me ne avrebbe tirati altri, mi avrebbe picchiato a sangue, probabilmente, se non ci fosse stato Dominic a fermarla.
-Ti avevo già avvertita di non colpirlo. – sibilò il moro, tenendola, ma lei neppure l'ascoltò; per una volta la sua intera attenzione era concentrata su di me. Ironico, non è vero?
-Come hai potuto rubarmelo, eh? Tu ragazzino ingrato! Tu che hai ucciso la tua stessa madre quando sei venuto al mondo! – sputò velenosamente, cercando di liberarsi.
-E' anche colpa tua se ho dovuto far uccidere tuo padre; ti dedicava troppe attenzioni, non voleva neppure un figlio da me. "Abbiamo Jeremy" continuava a dire, come se un mostro come te potesse essere mio figlio! –
Arretrai di un passo. Cosa stava dicendo?
Lei ghignò maligna, come se alla fine mi avesse davvero quasi ucciso e forse era davvero così.
-Ops, non te lo avevo detto? Non sei mio figlio, mostro. –
Perché il mio mondo sembrò crollare? Come poteva essere vero? Ci assomigliavamo così tanto, eppure.
Lei non era mia madre? Lei aveva ucciso mio padre? Ma come? Lui era morto in un incidente d'auto...
-No, non è possibile. – la mia voce uscì in un sussurro; era come se all'improvviso non avessi più fiato.
-Un killer mercenario, molto utile se non vuoi lasciare tracce. Mi è bastato pagarlo e lui ha fatto tutto il resto; così ho avuto tutta la sua eredità, o meglio tu l'hai avuta, ma fino a che non sarai maggiorenne sono io a gestirla e devo dire che ormai non è rimasto molto. – rise istericamente, mentre riusciva a liberarsi dalla presa di Dominic.
Si passò una mano tra i lunghi capelli neri. –Non hai più nulla Jeremy. Sei solo un mostro che dovrebbe morire. – rise agghiacciante.
Non volevo più ascoltare. Lei non era mia madre, a causa mia aveva ucciso mio padre.
Era vero, ero un mostro; un assassino.
-Bastarda. – sibilò Dominic, prendendomi in braccio e andandosene. Se disse qualcos'altro non lo sentii.
Il mio mondo si era frantumato, tutto si era fatto nero.
Come si poteva essere saggi in questa situazione, Seneca? Come potevo essere quello scoglio in mezzo al mare?

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