Blood and fear

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You are My apple sinCapitolo 13 

"Blood and fear "


Non c'è in natura una passione più diabolicamente impaziente di quella di colui che, tremando sull'orlo di un precipizio, medita di gettarvisi.

-Edgar Allan Poe 


Pov Jeremy

Quella sera Dominic non era rientrato e io mi sentivo terribilmente solo, steso sul divano a fissare lo schermo del televisore che continuava a cambiare frammenti di immagini, poiché non c'era davvero nulla d'interessante e facevo scorrere i canali con il telecomando che avevo in mano.
Mi sarebbe piaciuto essere con lui, ma sembrava che il destino non volesse; infatti, quella mattina mi era venuto qualche decimo di febbre che era poi peggiorato nel corso del pomeriggio; probabilmente colpa di tutta quella pioggia che avevo preso solo cinque giorni prima. Mi chiesi per quale motivo anche Dominic non l'avesse; probabilmente, avevano ragione i giapponesi e gli stupidi non si ammalavano mai.
Alla fine spensi tutto e mi girai su un lato, facendo attenzione alla caviglia che dovevo tenere in alto e che mi prudeva un poco sotto quel maledetto tutore rigido che mi avevano costretto ad indossare; per colpa di quella rovinosa caduta, non potevo ballare per la bellezza di un mese, senza contare la riabilitazione.
Soffocai un urlo di frustrazione nel cuscino. Non che non potessi urlare, visto che ero in casa da solo, ma preferivo non fare troppo rumore, per non ricordare che quella casa, solo con me dentro, era la cosa più triste che ci fosse da sempre.
Sembrava sempre così vuota nonostante i mobili che l'abbellivano, così mesta nonostante i colori sgargianti e così tetra, nonostante i ricordi belli che ormai vi albergavano.
In quel momento il display del mio cellulare si illuminò e vibrando iniziò a viaggiare saltellando sul tavolino di vetro che stava a pochi centimetri da me.
Lo presi e sorrisi.
-Ciambella alla crema, quando torni? – chiesi con voce zuccherosa, imitando mia madre rispondendo al posto di "Pronto?".
-My, non chiamarmi così. Per un momento ho pensato davvero che fossi tua madre. – disse dall'altro capo Dominic con voce lamentosa e leggermente terrorizzata.
-Allora che ne dici di: "Quanto torni DomDom? Sai, devi trovare la strada per il mio caldo antro di fuoco e carne e riempirlo con il tuo dolce latte per darmi la tua medicina". - dissi peccaminoso, quasi gemendo chiudendo gli occhi al solo pensiero.
A parte baciarci non facevamo molto altro, eravamo stati a letto insieme solo quell'unica volta e tutta questa lentezza non mi gratificava affatto nel nostro rapporto; non ero per niente abituato a rimanere per così tanto tempo in astinenza.
-A quanto vedo stai bene. – si limitò a dire il moro, mentre la mia mano a sua insaputa viaggiava lungo il mio sterno, per giungere alla mia sporgenza tra le gambe che si era fatta dura.
-Dom ...- sospirai chiudendo gli occhi e iniziando a toccarmi –Quando torni? Ti voglio. – mi umettai le labbra.
Lui non rispose subito, probabilmente si stava allontanando per cercare un posto appartato per parlarmi; riuscivo ad immaginarmi un certo imbarazzo sulle sue goti.
-Il party di lavoro finirà tra un'ora, puoi resistere fino ad allora senza istigarmi a mollare tutti e venire da te? – chiese –Mi manchi anche tu. - mi rivelò poi con voce dolce, ma con un poco di malizia all'interno.
-Continua a parlare, così posso continuare a toccarmi. – lo istigai. Per me poteva anche abbandonare quel dannato party, anzi, doveva! Perché una dannata cena di lavoro tra modelli e sponsor, sarebbe dovuta essere più importante di me.
-Cazzo. – sibilò lui, gemendo frustrato.
-Lo tengo in mano, ma vorrei il tuo nella mia bocca e dentro. – sorrisi, gemendo appena quando finalmente infilai una mano all'interno dei miei boxer, oltre la stoffa.
-Hai chiuso la porta? – cambiò argomento, rovinano tutta l'atmosfera.
-Guastafeste. – lo chiamai mettendo il broncio e alzandomi, iniziando a saltellare su un piede senza prendere la stampella per dirigermi verso la porta.
-Mi preoccupo. – disse lui –Avevo chiamato solo per sentire se stavi bene e lo avevi fatto. – mi rivelò, facendomi alterare.
Solo per questi due motivi? Non per sentire il suo dolce fidanzato che lo aspettava tranquillamente a casa per fare le fusa e le feste al suo ritorno?
-Va a quel paese. – sbottai, arrivando alla porta e trovandola come sempre aperta.
Neanche sapevo dove fossero le chiavi per chiuderla; dopotutto, non era mia abitudine farlo. Perché avrei dovuto serrarla? Era un quartiere tranquillo e solitamente non girava alcun malvivente; era una zona anche costantemente pattugliata.
-Le chiavi sono nel cassetto della cassettiera. – mi rivelò come se fosse dietro di me e mi stesse osservando e io istintivamente mi voltai a vedere, ma ovviamente lui non era lì.
- Lo so dove sono. – dissi offeso, avvicinandomi e prende un cassetto a caso trovandole all'interno di un piccolo barattolo senza coperchio.
-Allora dovresti chiudere la porta più spesso. – mi rimproverò e io sbuffai.
-È pericoloso là fuori. – mi disse con tono serio e grave.
Perché continuava a ripeterlo? Che fosse qualcosa legato al suo passato di cui ancora non sapevo nulla?
Presi le chiavi e le misi nella toppa della porta.
-Sì, come vuoi tu. – stavo per girare le chiavi, quando sentii degli strani rumori dietro di essa. Che vi fosse qualcuno?
-Mi preoccupo solo per te, My. – disse sinceramente, ignaro che non lo stessi più ascoltando. Dai vetri laterali della porta, scostai appena un tendaggio e vidi cinque uomini.
-My? – mi richiamò Dom.
-Ci sono degli uomini. – lo informai solo, mentre ero perplesso, curioso e leggermente intimidito.
-Hai chiuso la porta? – chiese immediatamente con apprensione.
-No ... – risposi e lo avrei fatto se ne avessi avuto il tempo, ma ormai era tardi; quelli entrarono io non potei far altro che pregare che Dominic arrivasse presto.
-Jeremy! – sentii di nuovo prima di vedere il buio.

Non so per quanto tempo vidi il buio, ma quando tornai a iniziare a prendere consapevolezza di me mi doleva la testa, vorticava appena e avevo una forte nausea.
Sentivo i miei polsi legati, qualcosa di freddo sotto di me, probabilmente il pavimento, poi voci; soprattutto voci.
-Perché non ce ne andiamo? Con queste cose stiamo a posto per una vita. – disse una di esse, un po' tesa, un po' felice e bramosa.
-No, c'è altro; dobbiamo solo aspettare. – disse una voce che mi parve familiare, ma che a primo acchito non riuscii a riconoscere.
Lentamente iniziai a socchiudere gli occhi, cercando di non farmi vedere.
-Si sta svegliando. – informò una voce che era troppo vicina, probabilmente mi aveva controllato per tutto il tempo.
Percepii dei passi pesanti, di stivali, poi una mano si posò sul mio petto e mi strinse la maglietta sollevandomi.
-Dove sono i soldi? – chiese con ferocia, ma ero ancora troppo intontito da quello che, probabilmente, era cloroformio per avere paura, terrore.
-I soldi? – chiesi confuso –Cosa ti fa credere che io sappia dove siano? – chiesi sorridendo strafottente, sebbene debole e non propriamente lucido. Sarei tornato volentieri a dormire.
Lui mi tirò uno schiaffo e ciò mi fece in parte male, ma mi risvegliò anche.
Finalmente potevo distinguere meglio quel viso coperto da un passamontagna, ma che non nascondeva affatto quegli occhi che precedentemente avevo tanto osservato. Dylan, era lui e non avevo alcun dubbio.
Quasi mi venne da ridere, anche se non ne sapevo il motivo.
-So che ci sono. Ti ho scopato così tante volte, puttana, che so che devi averne. – ghignò.
Probabilmente, aveva capito che lo avevo riconosciuto dal mio sguardo che doveva essersi sorpreso, a mia stessa insaputa.
Gli sputai in faccia.
-Va a farti fottere, bastardo. – gli augurai, chiudendo gli occhi stanco. Dov'era Dominic? Perché non era lì?
Avevo così tanto sonno.
-Mi hai dato un'ottima idea. – disse freddo, ma quasi accarezzandomi malignamente, mentre rafforzava la stretta sulla stoffa della mia maglietta e mi portava più vicino a lui.
Sentii un rumore familiare, qualcosa che scattava, qualcosa che la mia mente interpretò pericoloso; infatti, aprii immediatamente gli occhi e vidi quella lama argentea brillare, mentre andava ad appoggiarsi dolcemente minacciosa sulla mia gola.
-Facciamo un altro giro sulla giostra; tutti noi. – ghignò.
In quel momento percepii il puro terrore farsi strada in me, il cuore iniziare a battere frenetico persino nelle mie orecchie, mentre il fiato si accorciava, diventando quasi inesistente.
-Allora, ti va? – chiese con voce dolce, mentre quella lama mi accarezzava senza ferirmi e fredda scendeva fino ad incontrare la maglietta di Dominic, che come sempre stavo indossando, e che tagliò di netto, rendendomi praticamente nudo, tranne che per i boxer che indossavo.
-Non azzardare ad avvicinarti! – gli ordinai quasi isterico, mentre tentavo invano di fuggire, scappare lontano. –Oppure ti spacco la faccia! – gli intimai, sapendo che ciò lo avrebbe fatto solo ridere, ma la paura mi aveva inebetito come il sonno; mi aveva reso incapace di ragionare razionalmente.
-Puoi provarci, ma ho io il coltello dalla parte del manico. Letteralmente. – sorrise maligno, mentre mi provocava un graffio su una guancia. –Potrei sfigurarti per sempre. – mi rivelò, avvicinandosi al taglio e poi leccandone le piccole gocce che fuoriuscirono da esso.
Rabbrividii, mentre nella mia testa urlavo un unico nome: quello di Dominic.

Pov Dominic

Non mi importava se ero praticamente scappato dalla festa, non mi importava nemmeno se avevo urlato contro la centralinista della polizia per avermi fatto aspettare così tanto, facendomi ascoltare quella maledetta musichetta di attesa.
Sfrecciavo ad alta velocità sulla strada bagnata, facendo attenzione a non sbandare e a prendere strade deserte, ma che mi avrebbero portato nel minor tempo possibile da Jeremy.
Ero teso, nervoso e pervaso da una rabbia che mi fece sorgere spontaneo un ringhio animale che mi uscì dalle labbra, mentre schiacciavo con tutta la forza che avevo il pedale dell'acceleratore.
Sentivo i clacson chiaramente suonare impazziti, inveendo contro di me al mio passaggio, ma non mi importava nulla, il mio pensiero era fisso sul ragazzo dai capelli rossi che era a casa, da solo, con alcuni sconosciuti che lo avevano aggredito; probabilmente ladri o forse qualcuno di peggiore.
Il solo pensiero mi fece rabbrividire.
Arrivai davanti a casa dopo mezz'ora di strada, non avrei potuto chiedere tempo migliore vista la distanza che avevo percorso.
Ovviamente la polizia come al solito si faceva attendere, mai una volta che fosse puntuale.
Lasciai la macchina in mezzo alla strada, ci avrei pensato dopo; la priorità su tutto era salvare Jeremy dai suoi assalitori.
Scesi dalla macchina, non mi premurai neppure di togliere la chiave dal cruscotto e correndo entrai in casa, ma stando attento a non farmi sentire; sapevo che da quel momento avrei dovuto agire con mente fredda e quindi razionale.
-Lasciami! – urlò la voce di Jeremy e il cuore mi arrivò in gola.
Mi morsi il labbro inferiore, mentre stringevo i pugni fino al punto di farmi venire le nocche bianche.
-Non divertirti troppo. – rise qualcuno.
-Noi intanto guardiamo ancora in giro. – disse un altro, ma nessuno uscì dalla cucina.
Mi avvicinai appena di più, stando attento a rimanere nell'ombra, mentre mi era difficile rimanere fermo, contravvenendo al mio istinto mentre sentivo le proteste soffocate del mio angelo.
-Bastardo, non toccarmi! – urlò.
-Che c'è, non ti piace più? Eppure fino a qualche settimana fa ti offrivi a me come qualsiasi puttana di strada a cui però non dovevo dare soldi. – ovviamente a quel commento capii subito chi fosse l'aggressore e ciò mi accecò.
A passo marziale mi diressi nella cucina, scansai quei mocciosi, dirigendomi verso il biondo che si era calato i pantaloni e aveva spogliato ilmio Jeremy e stava tentando di violentarlo.
Lo presi per il maglione e lo scostai con forza dal corpo del mio ragazzo e lo scaraventai lontano; gli occhi che mi bruciavano di una rabbia che credevo di non aver mai provato prima.
Jeremy immediatamente si fiondò da me, abbracciandomi e tremando, mentre piangeva a dirotto.
Lo strinsi forte, inspirando il suo dolce profumo alla mela.
-Shh... va tutto bene. Ora sono qui con te. - lo rassicurai, accarezzandogli la schiena nuda.
Il suo aggressore, che era andato a sbattere contro la parete si rialzò dolorante, mentre tutti gli altri avevano iniziato ad indietreggiare; probabilmente, erano lì solo per rubare e non erano per niente concordi a ciò che quel porco voleva fare al rosso.
-Noi ce ne andiamo D. – disse uno degli altri ragazzi –Dovresti farlo anche tu. – gli consigliò, mentre finalmente le sirene si facevano sentire; segno che, finalmente, la polizia stava arrivando.
Se ne andarono tutti e rimanemmo solo noi tre.
-Ti avevo intimato di stargli lontano. – ringhiai, stringendo di più per il fianco il mio angelo del peccato che stava tremando come una foglia. Sapevo quanto in quel momento stesse tentando di essere forte, ma ero anche a conoscenza di quanto in realtà fosse fragile.
Dentro di lui abitava un bambino spaurito, che si era imposto di crescere troppo in fretta.
Lui rise, mentre il suo coltellino svizzero, appuntito, affilato e brillante nel buio scintillava di luce propria, mentre se lo picchiettava contro il mento.
-Mi hai fatto male quella volta bastardo. Il minimo che potevo fare era farvela pagare, ad entrambi, però tu hai rovinato tutto. – una luce minacciosa si era accentuata in quegli occhi; una luce che già in passato avevo visto, che avevo sentito anche mia: la luce del desiderio di vendetta, di brama di uccidere.
Istintivamente spostai Jeremy dietro di me, lui mi guardò per un momento interdetto, confuso, ma non parlò. Dovevo proteggerlo; ad ogni costo.
-Sparisci. – sibilai solo e poi tutto avvenne in un momento.
Si gettò su di me, il coltello pronto a fendere, a bere il sangue che gli aspettava, perché in fondo quello era il suo pane.
Non avrei mai avuto il tempo materiale per scansarlo, quindi mi voltai verso Jeremy sorridendogli, gli occhi brillanti pieni di amore mentre posavo le mie labbra sulla sua fronte e sentivo la lama penetrare la mia carne.
Quegli occhi verdi si spalancarono, mentre non capirono immediatamente cosa fosse successo; io nonostante il dolore continuai a sorridergli, a tenergli il volto con una mano, mentre lo proteggevo con il mio corpo.
Dylan non avrebbe mai dovuto toccarlo, il mio dolce My era troppo prezioso per poter anche solo essere sfiorato da un oggetto immondo e sporco come quell'arma che reclamava a sé solo odio, violenza e morte.
Lui era puro, come un angelo; più puro di quanto in realtà si credeva.
-Tsk. – sentii dire al biondo prima di scappare dalla porta sul retro, quando la polizia entrò da quella principale.
-Dom? – chiamò incerto il più piccolo, che ancora stava tra le braccia, mentre tentennante portava una mano alla mia schiena, là dove il coltello era ancora infilato.
Sapevo che non aveva colpito organi vitali, ma sapevo anche di star sanguinando copiosamente; lo intuivo dalla vista che si stava appannando, dalle gambe che stavano cedendo.
-E' solo un graffio. – mentii.
Lui guardò la sua mano, le sue dita sporche di sangue. Quegli occhi smeraldo erano spalancati, invasi dalla paura.
Lo baciai a fior di labbra appena prima che la polizia entrasse.
-Tornerò da te. – gli promisi, continuando a sorridere, prima di perdere i sensi.

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