You are My apple sinCapitolo 12 "Rain"
E son le gocce: occhi d'infinito che guardano il bianco infinito che le generò.Ogni goccia di pioggia trema sul vetro sporco e vi lascia divine ferite di diamante.Federico Garcia Lorca
Pov Jeremy
Avevo il cuore in gola, mentre camminavo per la città diretto al luogo del mio appuntamento e non con Dominic, ma con quello che in effetti, a tutti gli effetti, era ancora il mio fidanzato: Dylan.
Gli dovevo una spiegazione dopotutto, no? E di certo non potevo attendere oltre, non per me, per il mio nuovo amore e il mio migliore amico; se ancora potevo chiamarlo così.
Mi rigiravo il cellulare tra le mani nervoso, ne osservavo il display completamente vuoto di notifiche; le avevo già lette tutte dopotutto e sapevo che il biondo mi stava aspettando a casa sua, nel suo cavallo di troia, nella sua tana inespugnabile.
Non sapevo perché, ma avevo un leggero timore o forse era il mio istinto a darmi tale sensazione? Non riuscivo a comprenderlo.
Mi morsi il labbro inferiore e sbottai irritato, come un pazzo, in mezzo alla strada, scompigliandomi i capelli rossi, fiammanti che ormai avevo deciso avrei tenuto per sempre.
Alcuni passanti mi ignorarono, mentre altri si voltarono a guardarmi con un'espressione indecifrabile e contrariata, ma io non potevo farci nulla; mi sentivo debole, per niente me stesso, oppure quello ero io e ancora non lo avevo compreso troppo concentrato fino a quel momento a fare il duro?
Che Dominic fosse dannato! Era da quando era entrato così dolcemente nella mia vita che mi sentivo così, come dire, spaccato a metà.
Lui mi aveva fatto conoscere un altro me diverso, probabilmente quello che avevo dimenticato e che ero sempre stato prima della morte di mio padre, prima che cambiassi nel Jeremy cattivo, quello facile che apriva le gambe davanti a tutti e per tutti solo per il piacere di farlo, solo per cercare qualcosa o qualcuno che potesse darmi un briciolo d'amore e lo avevo fatto per anni; anni interi, gettati in un'illusione, in un desiderio sciocco ed inafferrabile a quel modo e che avevo capito fosse stato un errore solo allora, quando Dominic aveva detto di amarmi, quando io avevo compreso di amare lui.
Perché non era arrivato prima nella mia vita e in altro modo? Forse, sarebbe stato meno difficile e doloroso.
In quel momento il cellulare nella mia mano iniziò a vibrare, la scritta recitava: "mamma", ma io la ignorai; non volevo parlare con lei, men che meno di Dominic. Dopotutto, chiamava solo per sapere di lui e mai fi me.
Misi il dispositivo in tasca e lo lasciai squillare a vuoto, affrettandomi ad arrivare al grande appartamento al quarto piano dell'edificio a cui ero diretto.
Per prendermela comoda presi le scale e ne contai i gradini.
Uno, due, tre... Arrivai a contarne settanta quando finalmente arrivai davanti al pianerottolo della porta di casa di Dylan.
Dalle tasche dei jeans che indossavo presi un mazzo di chiavi, quelle che il mio "fidanzato" mi aveva dato per entrare a mio piacimento a casa sua e fare ciò che mi pareva con lui, ovvero solo scopare, perché era questo che facevamo quando stavamo insieme.
La inserii nella toppa e lentamente, senza fare troppo rumore la girai nel tamburo e feci scattare la serratura un paio di volte prima che essa si aprisse.
Entrai altrettanto di soppiatto, non sapevo perché di tutta quella segretezza, ma qualcosa mi diceva che era meglio non farmi sentire.
-Allora? - chiese una voce che non riconobbi e che di sicuro non apparteneva al mio migliore amico – Come va con la bambola? – chiese continuando la stessa, sghignazzando.
Mi fermai. Chi era la "bambola"?
-Jem? Che vuoi che ne sappia è sparito, dovrebbe arrivare tra poco. Probabilmente gli manca il mio cazzo. – rispose scurrile quello che riconobbi come Dylan e nel sentirlo sentii la rabbia montare. Che aveva detto? A me non mancava affatto quel suo uccello piccolo e floscio!
-Hai fatto proprio un bel colpo. – rise sguainato lo sconosciuto –Quanto hai vinto con le scommesse? Duecento? –
Avevano scommesso? E su cosa?
-Duecento perché ci sono andato a letto più di una volta e trecento perché mi ci sono fidanzato. – rispose semplicemente il biondo, che mi immaginai avesse alzato le spalle.
Strinsi forte i pugni e mi avvicinai di più alla porta del salotto in cui i due stavano parlando e senza farmi vedere sbirciai.
Quei due idioti si stavano fumando delle canne a quanto potevo sentire dal fetido odore che arrivava al mio naso. Mi trattenni dal tossire solo per non farmi scoprire.
L'altro fischiò. –Bella cifra, ma ora sei disposto a dividerti la bambolina? Per me è così puttana da accettare anche un rapporto a tre. – tremai di rabbia e vergogna. Tempo prima avrei accettato, lo sapevo, per questo non avrei potuto recriminare il fatto di quel nome poco gentile con cui mi aveva definito; in fondo me lo meritavo, ma ormai ero cambiato.
Non sarei più stato il tipo facile da portare a letto, non avrei più fatto sesso solo per sfizio, per piacere, ma solo per amore.
-No, la bambola è mia e basta. Magari quando mi stancherò di lui ve la darò, ma non ora. - rispose, prendendo poi un'altra boccata di quella cartina contenente l'erba.
Mi veniva da vomitare.
Come avevi fatto ad innamorarmi e a stare con un tipo così? Eppure, non doveva essere il mio migliore amico?
-Se sapesse che stai pure con un piede in due scarpe... A proposito, con Dafne? Come va? -.
Mi sentii gelare, non che mi importasse; anche io lo avevo tradito, ma per qualche strano motivo la cosa mi ferii comunque.
-Mmm... - mugugnò l'altro alzando le spalle –Ci sto andando piano, tanto per ora Jem è un'ottima bambola gonfiabile. - rise e io non ci vidi più.
Con gli occhi che pizzicavano andai in cucina e presi la prima bottiglia che mi capitò tra le mani piena e poi andai in salotto, il passo felpato e versai il contenuto di essa sulla sua testa sorprendendolo.
-La "bambola gonfiabile" - ringhiai ferito –Ti sta mollando, stronzo. -
Lui si alzò e si voltò verso di me con uno sguardo di fuoco, pieno di ira, di rabbia, ma io lo sfidai con il mio pieno di dolore, ma anche di tenacia.
Non gli avrei mai permesso di trattarmi ancora così, non mi sarei mai più piegato; non avrei mai più fatto palpitare il mio cuore per un essere immondo come lui.
-Tu, troia... – ringhiò e io sorrisi serafico.
-Lo sono stato. – dissi con leggerezza, con facilità – Ma ora non più. -
- Una troia rimane una troia. – sputò Dylan, scavalcando il divano e prendendomi per un polso, stringendomi così forte da farmi male, ma io resistetti, reprimendo qualsiasi gemito di dolore. Non volevo che mi scorgesse debole, non più.
-Forse sarò per sempre una puttana, ma almeno non sono un emerito stronzo bastardo come te. – cercai di liberarmi, ma lui rafforzò la presa e io mi morsi l'interno della guancia.
-Questa me la paghi. – disse gutturale e in quel momento tremai, ma forse da qualche parte il mio angelo custode per una volta decise di venire in mio soccorso prima che le cose si mettessero troppo male.
Il campanello suonò; una volta, due.
-Sembra che tu sia richiesto. – gli feci notare sorridendo tirato e lui mi lasciò in malo modo, andando ad aprire, mentre l'altro ragazzo nella stanza mi guardava avidamente.
Distolsi lo sguardo disgustato e poi mi massaggia il polso su cui recavo il segno della mano del mio ormai ex fidanzato e ex migliore amico.
-Non è un buon momento Dafne. – lo sentii dire, mentre mi recavo verso l'uscita; dovevo approfittarne ed andarmene prima che lui non avesse più ospiti da intrattenere.
-Se è per me, me ne stavo andando. – sorrisi cordiale, mentre Dylan si tratteneva dal ringhiare per non spaventare quella che doveva essere l'altra sua "bambola": era minuta, capelli a caschetto e biondi, qualche extension qua e là che rendevano il suo comportamento pacato leggermente più sbarazzino; gli occhi erano di un caldo color nocciola, la sua pelle candida come la neve e il suo aspetto così fragile da sembrare che le si potesse fare male solo sfiorandola.
-Un amico? – chiese timidamente lei, scostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e guardando con occhi sognanti quello che credeva il suo ragazzo; quegli stessi lumi che probabilmente qualche tempo prima anche io avevo mostrato verso di lui.
-No. – risposi io
- Sì. – disse lui all'unisono e lei ci guardò confusa, mentre entrava e io uscivo e Dylan non poteva farci nulla.
-Sono il suo ex ragazzo. – le rivelai tranquillamente, sfoggiando il mio miglior sorriso angelico dietro cui si nascondeva un vero diavolo. –O per meglio dire la sua ex bambola, spero che con te sia più sincero che con me e che non ti stia usando. -.
Il ragazzo ringhiò, mentre io sorridevo serafico; mentre gli occhi ancora mi pizzicavano.
Non mi importava, ma mi faceva male; tanto male il petto.
La ragazzo ci guardò confusi e poi io li salutai con un cenno della mano prima di scendere giù dalle scale correndo, scappando via, mentre iniziavo a piangere.
Tuttavia, avrei fatto meglio a prendere l'ascensore, infatti, posai male un piede su uno dei gradini, mentre la mia vista si faceva appannata a causa delle lacrime che incontrollate avevano iniziato a rigarmi il viso e scivolai, cadendo su quegli ultimi gradini.
Non era strana la sensazione del cadere? La nostra mente comprendeva sempre cosa stava accadendo, reagiva istintivamente proteggendo le nostre parti vitali, portando le braccia in avanti o davanti al volto, ma allo stesso tempo era come se fermasse il tempo.
Quando si cade tutto scorre lento, al rallentatore, proprio come nei film, l'aria sembra per un momento smettere di muoversi invisibile, il respiro si mozza, percepiamo la sensazione del nostro corpo che si inclina, la paura palpabile che attraversa elettrico ogni più piccolo lembo del nostro corpo, mentre tutto si fa silenzio, un po' come quando si sta per affogare, ma la sensazione provocava un senso di nausea e vertigine.
Fu così che mi sentii io, mentre tentai di ripararmi, di afferrarmi a qualcosa, qualsiasi cosa che potesse impedirmi di farmi male, di rompermi, ma non trovando alcun appiglio.
Semplicemente caddi, scivolai lungo quegli tre ultimi maledetti gradini e alla fine mi ritrovai a terra con la caviglia che mi doleva come se avessi appena messo piede all'inferno.
Dolorante mi misi a sedere, mentre tutto il mio corpo doleva, ma soprattutto quel punto nella mia gamba destra.
Le lacrime già scorrevano a causa delle mie emozioni, si sommarono a quelle per il dolore e mi sembrò di essere diventato una cascata, mentre non riuscivo a comprendere quale dei due affanni fosse il peggiore.
Con le mani iniziai a massaggiare dolcemente e delicatamente quel punto e quando mi sembrò che andasse meglio tentai di alzarmi, ma una scossa mi attraversò il corpo e io gemetti di dolore, mentre strizzavo le palpebre.
Faceva male, tanto male, ma ciò non mi fermò dal continuare a camminare; dovevo andare avanti, dovevo tornare da Dominic, dal mio amore.
Aveva iniziato a piovere e io non avevo con sé l'ombrello, ma non mi importava. Con sguardo vacuo vagavo per le strade della città claudicante, mentre continuavo a piangere e il cellulare in tasca che continuava a vibrare, ma a cui io non risposi.
Non mi importava chi fosse, probabilmente era mia madre, quella "strega" come la chiamava Conrad, quella donna che mi aveva dato la vita, ma che di me non le importava nulla e che mi chiamava di tanto in tanto solo per interessarsi del suo "dolce e coccoloso bombolone al cioccolato".
Lo presi in mano solo quando non ne potei più di quel fastidioso brusio e a differenza di ciò che mi aspettavo la scritta "Dominic" faceva capolino in caratteri cubitali e con la foto di me e lui che ci baciavamo durante il servizio fotografico.
Reprimendo un singhiozzo feci scorrere il dito sul vetro dello schermo e lo portai vicino all'orecchio.
-Jeremy, va tutto bene? – chiese dall'altra parte dell'apparecchio il più grande con voce preoccupata –Ti ho chiamato venti volte e non mi hai risposto. –
Io rimasi in silenzio, non riuscendo a dire nulla; era come se la mia lingua fosse diventata di pietra e neanche provando a morderla sembrava riuscire a sillabare nemmeno una parola.
-Jeremy? – mi chiamò di nuovo, in risposta al mio silenzio –My? – mi chiamò poi con quel nome che mi faceva sciogliere ogni volta.
-Dom... – riuscì a dire, prima di portarmi una mano tra i capelli e appoggiarmi al muro di un edificio qualsiasi che nemmeno io sapevo quale.
Volevo essere da lui, con lui, ma alla fine l'unica cosa che ero stato in grado di fare era stata quella di muovere i miei piedi senza una meta precisa, ignorando il dolore della caviglia che si era gonfiata, probabilmente slogata.
-Dove sei? – chiese cambiando tono di voce, mentre sentivo chiaramente il rumore di chiavi e la porta che si chiudeva.
Mi guardai attorno, stropicciandomi gli occhi.
-Non lo so. – pigolai, non riuscendo a riconoscere nulla. –vicino a un parco... Uno con un'enorme pista per pattinare sul ghiaccio. – dissi solo, guardando di fronte a me.
-Arrivo, ma tu continua a parlarmi. – disse, mentre in realtà fu solo lui a parlare, consolandomi con la sua dolce voce e nel frattempo io continuavo a piangere.
Pov Dominic
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You are My apple sin
RomanceL'amore arriva sempre per caso, a volte quando ne hai già uno accanto, ma che non è quello vero che ti aspettavi e questo capita a Dominic che nel conoscere il figlio della sua promessa sposa si innamora per la prima volta. Jeremy, coi suoi occhi ve...