Sorry

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You are My apple sin

Capitolo 20

"Sorry" 


Stay With Me

Don't Let Me Go

Cause I Can't Be Without You

Just Stay With Me

And Hold Me Close

Because I've Built My World Around You

And I Don't Wanna Know What's It Like Without You

So Stay with Me

Just Stay With Me

Danity Kane, "Stay With Me" 


Pov Jeremy


-Come sta oggi il mio paziente preferito? – chiese come sempre con voce squillante Nathaniel, entrando nella mia stanza, in mano la mia cartella clinica e una biro, i capelli leggermente scompigliati e sconvolti con occhiaie profonde sotto gli occhi. Probabilmente non aveva chiuso occhio quella notte per qualche caso particolarmente difficile o forse per altro.
-Annoiato. – risposi sinceramente e atono, mentre giocavo col cibo che mi avevano portato e che io non avevo toccato. Non avevo fame, non volevo più mangiare o almeno non quella dannata roba dal colore sospetto e il gusto obbiettabile di mensa d'ospedale.
-Le infermiere mi hanno detto che non sei ancora voluto uscire da questa stanza. – buttò lì, sedendosi come sempre al mio fianco, su quella sedia che avrei preferito fosse occupata da tutt'altra persona, che però non potevo più avere e a cui avevo tentato di non pensare, ma Dominic si presentava periodicamente all'interno dei miei sogni, trasformandoli in incubi di angoscia e dolore, che risvegliavano il mio proverbiale senso d'abbandono che ormai mi faceva ridere, poiché non mi abbandonava mai; qualunque cosa facessi. Come avrebbe potuto? Lui era il mio tutto e me ne ero accorto solo nel momento in cui mi aveva lasciato, ma ancora non riuscivo ad ammettere con me stesso che era colpa mia e continuavo a imputargli colpe che non aveva. Ero stato io quello stupido che aveva rovinato tutto e non lui.
-Preferisco stare qui. – mi scoprii, scendendo dal letto vestito solo con la mia maglietta nera che ormai non portava più il suo profumo e i boxer neri, avvicinandomi alla finestra e posando una mano sulla superficie fredda del vetro che rifletteva sbiadita la mia figura pallida e consunta, fantasma di ciò che ero qualche settimana prima.
Dovevo essere dimagrito di almeno tre chili, ero pelle e ossa e ogni ciò che mangiavo lo vomitavo, poiché sembrava che il mio stesso corpo rifiutasse il cibo che tentavo di mettere al suo interno. Stavo male e lo meritavo, lo sapevo.
-Dovresti uscire. Ti farebbe bene. – sentivo i suoi occhi su di me, ma non volli far caso a quello sguardo che avevo notato essere bramoso nei miei confronti. Era come tutti gli altri, solo Dominic era diverso da loro, da quei maiali che mi volevano e basta. –Fa parte della terapia, sai? Uscire, interagire con gli altri, tentare di parlare di ciò che ti tormenta... Se ti va puoi iniziare anche solo con il ballo. Dominic mi ha detto che sei bravo e che ti piace. – tentò lui, ma io scossi la testa, osservandolo attraverso la trasparenza del vetro.
-No, non voglio più ballare. La danza faceva parte del vecchio me, ma ora ho intenzione di cambiare. – ero motivato, ma allora perché non ci riuscivo?
-E questo nuovo Jeremy perché non ama la danza? – chiese indagando come era solito fare. Sembrava un bambino curioso a cui dovevi esplicare anche l'ovvio e ciò mi dava ai nervi.
-La danza esprimeva una passione che ora sento che non mi appartiene più; una speranza che non ho più. – sorrisi triste, senza riuscire a reprimerlo –Devo aprire gli occhi e smetterla di vivere nei sogni. – dissi più a me stesso che a lui.
-E quale sarebbe questa passione, questa speranza e questo sogno? Dominic, forse? – chiese, iniziando a giocare con i polsini del suo camice –Oppure tua madre? –
-Dominic era la realizzazione di tutto. – perché gli stavo rispondendo? –Dom era la mia danza più forte e bella; il mio amore e la mia vita. – una lacrima sfuggì al mio controllo, mentre mi portavo una mano all'altezza del cuore e la serravo, stropicciando quella maglietta che era sua, ma allo stesso tempo mia. L'unico filo che ancora ci legava indissolubilmente, tangibile e che un po' me lo faceva sentire ancora vicino, anche se lui non era lì e mai lo avrei rivisto di nuovo, perché ne ero sicuro: mi aveva abbandonato.
-Hai usato il passato, vuol dire che non lo è più? – chiese.
-Vorrei tornare ad essere quel ragazzo, ma so di non potere. – si alzò e mi affiancò, guardandomi sorridendo e scompigliandomi i capelli che mi era stato permesso di tingere di nuovo di rosso.
-Ammetto che Dominic è un maestro nello sconvolgere le vite altrui. – sorrise, cercando di alleggerire l'atmosfera, intuendo che forse non volevo più affrontare quel discorso o men che meno piangere davanti a lui. –Ma i cambiamenti non provengono mai solo a causa di un'unica persona, no? –
-Mia madre... - risposi di getto, lasciandomi ancora una volta andare. Perché se non volevo parlare con lui quel giorno ero particolarmente loquace?
-No, lei non c'entra o almeno non del tutto. Per cambiare devi essere anche tu a volerlo. – specificò, voltandosi e poggiandosi con la schiena contro il vetro –Guarda Dominic; fino a qualche anno fa era come un Dio greco su un piedistallo. Alto, irraggiungibile e ora con te è solo uno dei tanti agnellini. –
-Ti sbagli, lui è ancora irraggiungibile. – dissi sicuro.
-Lo conosco da anni. – rivelò lui –Non l'ho mai visto piangere, men che meno sentito. –
Perché stavamo parlando di lui? Volevo dimenticarlo, inoltre mi dava fastidio sentir pronunciare il nome del mio ex ragazzo da Nathaniel, in qualche modo quando diceva "Dominic" la sua voce era dolce, strana; fin troppo amorevole e questo non riuscivo ad accettarlo.
-Sono affari suoi. – sbottai.
-Davvero? Allora solo libero di provarci? – chiese guardandomi serio, voltandosi verso di me, mentre io lo guardavo spalancando gli occhi, confuso, non capendo.
-Provarci con chi? Con lui o con me? – chiesi conferma.
-Dimmelo tu, siete entrambi carini. – mi prese il mento dolcemente per alzare di più il mio volto verso il suo indirizzo e poi mi accarezzò una guancia. Non provai nulla. Nessun calore, nessun brivido.
-Io sono qui. Approfittane. – non gli avrei mai permesso di toccare Dominic. Poteva anche non essere più mio, ma nessuno doveva osare sfiorarlo.

-E se io non volessi te? – chiese, scostandomi una ciocca di capelli rossi, ribelle, dietro l'orecchio.
-Allora va da Dominic. – dissi risentito, sicuro che non lo avrebbe fatto, perché nessuno poteva resistermi. Inoltre vedevo quegli occhi come in fondo mi stavano mangiando.
-In effetti lo vedo tutte le sere. – mi rivelò, facendosi più vicino –Questa sera potrei fare qualcosa di più oltre che parlare solo di te al bancone di un gay bar. – mi stuzzicò ridendo, mentre con un dito faceva una leggera pressione sul mio naso appiattendolo.
Scostai la sua mano, mentre allacciavo le braccia al suo collo e giocavo con i suoi capelli biondi; le palpebre socchiuse, con il chiaro intento di sedurlo, di giocare con lui.
-E cosa dite di me? – chiesi curioso, soffiando contro il suo collo.
-Nulla che non possa rivelare. Il fatto che sei solo, che è stato un vero idiota a lasciarti... - mi accarezzò la schiena, mi aspettai che qualche brivido mi cogliesse, invece non arrivò nulla. Nessuna tensione e mi chiesi perché.
-E tu... cosa pensi di me? – lo scostai e lo spinsi di nuovo verso la sedia, per poi sedermi a cavalcioni su di lui.
Posò le mia mani sui miei fianchi, li accarezzò e io ciondolai con la testa, socchiudendo le labbra e facendo le fusa.
-Che sei un ragazzo da non farsi sfuggire. – io ridacchiai e riportai i miei occhi su di lui, avvicinandomi sensualmente di nuovo alla sua gola.
-Solo questo? – chiesi, iniziando a leccare le vene pulsanti sotto quella pelle tesa, come se fossi un vampiro.
-Che ti avrei già messo un anello al dito. – ridacchiò, mentre portava una mano sotto la mia maglietta. Ancora una volta non provai nulla; non vi era fuoco, non vi erano farfalle, ma solo gelo.
-Vorresti solo mettermi un anello? – chiesi, suggendogli il collo e lasciandogli un vistoso succhiotto tra la spalla e l'inizio del collo.
-Che altro potrei desiderare se non averti vicino? – disse quasi romantico, ma di un romanticismo che non mi colpì per nulla, che non mi sciolse come neve al sole come solo Dominic era in grado di fare.
-Prendimi per una notte intera. – lo pregai. Volevo si dimenticasse del mio ragazzo moro, che mi usasse, che mi facesse dimenticare dov'ero e che per un po' facesse tacere la matassa aggrovigliata di domande che non la smettevano di assillarmi all'interno della mia testa.
Lui sorrise, spostando le mani sulla mia pelle, toccando il mio corpo troppo magro e fragile, ma sembrava non gli importasse o forse ero io a crederlo.
-Anche se per ora non ti amo? – poi mi pose un'altra domanda –E' questo il nuovo Jeremy? –
Lo era? No, assolutamente no. Quel comportamento, quei gesti, quella profonda apatia era lo specchio del mio passato. Era quel Jeremy che cercava amore nel sesso quando ancora non aveva incontrato l'unico uomo che gli aveva donato per davvero amore incondizionato, di cui si era innamorato così tanto profondamente da venirne intossicato.
-Sì, - risposi invece, mentendo. –L'amore lo voglio da una sola persona, ma quella non mi vuole. – sporsi infantile il labbro inferiore, sbattendo le ciglia. Sapevo che mi avrebbe trovato irresistibile. Era stanco delle parole, volevo azione. Volevo che cancellasse Dominic e i miei problemi, volevo che mi rendesse di nuovo la bambola che ero. Dylan, in fondo, allora aveva avuto ragione.
-Oppure sei tu a non volerla. – buttò lì lui, baciandomi dolcemente il collo.
-Pensa a me; non a Dom. – gli ordini, artigliandogli i capelli e portandomelo più vicino.
Lui sorrise sulla mia pelle. –Io non ho fatto il suo nome. – mi fece notare.
Ciò mi irritò. Odiavo quel Nathaniel che sembrava volermi leggere a tutti i costi dentro, arrivare fin dove nessuno era trapelato mai, nemmeno Dominic stesso.
-Allora non pensare. – ringhiai –Pensa solo a portarmi a letto. – la rabbia e l'insistenza nella mia voce erano palesi.
Lui mi fece alzare e mi condusse fino a letto, facendomi distende. Io automaticamente mi tolsi la maglietta, non sapevo il perché, ma non volevo che me la sfilasse.
Lui lasciò cadere il camice a terra, sporcandolo di polvere e di peccato, ma l'uomo dopotutto non era perfetto e mai lo sarebbe stato. L'essere umano era nato per quello, era testimoniato anche nella Bibbia, quando Eva ed Adamo avevano morso la mela che gli aveva cacciati dall'Eden e fatti punire da Dio.
-Di solito non dovrei... - disse più per circostanza, che per vero non volere. Vedevo come i suoi occhi mi bramavano e io volevo lui. Volevo che mi desse fuoco, che mi bruciasse e cancellasse ogni traccia di quell'amore che io stesso avevo distrutto.
-Ma io ne ho bisogno. – alzai il bacino, proprio mentre lui mi sovrastava su quel piccolo e scomodo letto d'ospedale. Mi sfrusciai, cercando l'eccitazione che faticava ad arrivare.
-Non ce la fai proprio ad aspettare? – chiese, mentre io gli toglievo la camicia che indossava, sbottonandola piano, mentre lui mi mordeva il collo e le sue dita giocavano con i miei capezzoli.
-Potrei... - risposi, facendo scivolare, da quelle spalle che non erano forti e larghe come quelle di Dominic, la sua camicia - Ma poi chi dice che ne avrei voglia? – lo stuzzicai.
Lui mi morse la clavicola e io gemetti, mentre continuavo sempre a sentire quello strano gelo ad ogni suo tocco. Perché?
-Vedi di non fare rumore, le pareti sono sottili. – mi avvertì, mentre le sue mani mi accarezzavano lo sterno, poi l'addome e infine una andava ad insinuarsi sotto il confine dei miei boxer, alla ricerca del mio membro, che accarezzò e iniziò a stimolare.
-Sarò silenzioso. – mentii, sogghignando.
A quel punto non vi furono più parole. Ci furono solo le nostre bocche e le nostre mani, i nostri corpi accaldati che si strusciavano e contorcevano.
C'era il suo fuoco e il mio gelo.
Non importava dove toccasse o cosa facesse, le sue carezze erano come neve che si poggiava lieve e silenziosa sul petalo di un fiore che voleva resistere all'inverno. I suoi baci erano come pietre di fiume; bagnate, lisce, ma che non mi facevano provare alcun brivido.
-Sei ancora in tempo se non vuoi. – mi disse all'orecchio, mentre infilava direttamente due dita nella mia apertura che non era più abituata a quelle attenzioni. Quell'anello di muscoli si era fatto stretto, sentivo le mie carni tentare di risucchiare quelle dita, ma anche in quel momento tutto ciò che sentii fu solo ghiaccio.
-Non voglio tirarmi indietro. – sibilai deciso, portando una mano dietro al mio collo e tirandolo verso di me, costringendolo a baciarmi.
Le nostre lingue danzarono, le nostre salive si mischiarono, ma fu un bacio insapore. Perché non sentivo le stelle, la menta e la liquirizia?
Continuammo a baciarci, mentre lui mi preparava, infilando anche il terzo dito.
Quando fu il momento di penetrarmi circondai la sua vita con le mie gambe e lo aiutai a penetrarmi con un'unica spinta, nella speranza che il dolore fosse abbastanza forte da farmi sentire il fuoco, ma nulla cambiò.
Le mie viscere si congelarono, tutto era ghiaccio e quasi piansi per la frustrazione, mentre mi muovevo verso di lui, dandogli un chiaro e muto permesso di muoversi.
Il suo membro era grande, gonfio, esperto. Toccò quasi subito il mio punto magico, questo mi fece gemere; eppure sentivo che qualcosa mancava.
Alla fine lui venne prima di me e io vi riuscii solo quando iniziò a stimolarmi con la mano.
Uscì da me e si lasciò andare al mio fianco, stringendomi e io mi rannicchiai contro il suo petto. Mi accarezzò i capelli, mentre cercava di riprendere fiato.
-Ti sei pentito? – chiese nel mio orecchio.
In quel momento pensai a Dominic. Alla fine poco era valso tutto quello che avevo appena fatto; alla fine lui era sempre lì, all'interno della mia testa e del mio cuore.
Non risposi subito, cercai di riprendere fiato, o così mi disse, mentre da sopra la spalla dell'altro osservavo la porta chiusa dalla quale sapevo che Dominic non sarebbe mai entrato.
-No, non mi sono pentito. – mentii, come ormai facevo da tempo.
Lui annuì, stringendomi di più e poi mi cullò fino a che non mi addormentai, piangendo senza saperlo e chiedendogli di non lasciarmi, perché avevo bisogno ancora di lui, del suo corpo, per non sentirmi solo.
Non mi importava se era tutta un'enorme bugia, se lui non mi amava o se lo faceva solo per sostituirmi a Dominic che ormai avevo capito che amava.
Volevo un'ancora a cui aggrapparmi per non affondare, un salvagente che mi tenesse a galla e Nathaniel era l'unico in quel momento che poteva avere quel ruolo.
Lui in qualche modo mi capiva, in qualche modo sapevo che non mi avrebbe lasciato, anche se magari mi stava usando solo per vendetta o qualcos'altro.

Pov Dominic

Aspettavo pazientemente seduto davanti al bancone del bar con un Blu Bar* in mano.
Erano ormai passate le dieci e mezza di sera quando Nathaniel entrò, i capelli biondi leggermente imperlati da piccole goccioline di pioggia.
Poggiò l'ombrello nell'apposito contenitore, poi si tolse l'elegante cappotto nero e sorridente mi si avvicinò, baciandomi sulle guance.
-Scusa se ti faccio venire qui sempre dopo il lavoro. Sarai stanco. – mi sentii in dovere di dire, mentre si sedeva accanto a me e ordinava una Pina Colada* al barman che annuì con un cenno del capo, affrettandosi subito a preparare anche per lui il suo cocktail esotico.
-Non preoccuparti, non è un problema e poi mi fa piacere uscire come ai vecchi tempi. – mi ammiccò, sorridendo, scroccando poi un po' della mia bevanda che quasi non avevo toccato.
-Come amici. – volli sottolineare a tutti i costi. Non volevo dargli false speranze; non se lo meritava e già gli stavo facendo più che sufficientemente del male.
-Lo so. – disse incolore –Non preoccuparti, Dom, mi sono rifatto una vita dopo quel giorno. Ho lasciato la moda, iniziato a studiare medicina e ora sono un medico e anche circa fidanzato. – mi riveò, intrecciando le sue dita e portandosele sotto al mento per sorreggere il volto, mentre guardava fisso davanti a lui lo specchio dietro tutte quelle numerose bottiglie colorate di alcolici.
-Circa? – di solito non ero il tipo che si impicciava negli affari degli altri, ma con Nathaniel era diverso. Lui un tempo non era stato solo il mio amante, ma anche il mio migliore amico.
Avevamo iniziato praticamente insieme la carriera di modelli, ci eravamo supportati ed amati, prima che io lo lasciassi, rivelandogli che lo amavo come un fratello, mentre per lui era stato vero amore fin dall'inizio.
-Beh, c'è questo ragazzo che ho conosciuto a medicina e che condivide l'appartamento con me. E' carino, lui si è dichiarato, ma io... sono ancora restio. – mi rivelò, mentre la sua Pina Colada gli veniva servita e lui iniziava a giocare con il fiore ornamentale che vi era stato posto. –E' dolce, ha circa la mia età, ma ho paura. –
-Scusa. – mi sentii in dovere di dirlo. Sapevo che era colpa mia.
-Non credo tu sia qui per scusarti o per sentire della mia vita. Non vuoi sapere di Jeremy? – chiese, cambiando discorso. Probabilmente non voleva più affrontarlo.
-Come sta? – chiesi preoccupato, guardando il liquido del mio cocktail. Ero nervoso, il non vederlo mi stava uccidendo e mi faceva ancora più male sapere di non essere riuscito a far cambiare idea a Lorelay. Volevo solo che lo chiamasse, che piuttosto anche mentisse, dicendogli che era stata la rabbia ad agire così, ma avevo fallito.
Ero davvero inutile, come un lupo con la coda tra le gambe.
-Oggi ha avuto qualche piccolo miglioramento. Ha iniziato a prendere gli antidepressivi, mi ha parlato un po' e finalmente questa sera ha deciso di mettere almeno un budino sotto i denti. – prese lento un sorso della sua bevanda, tranquillo.
C'era qualcosa che mi nascondeva. Lo sapevo.
-E? – incalzai io.
-Tutto qui. – disse, leccandosi le labbra per pulirsi dei residui bianchi della miscela di latte di cocco, succo d'ananas e rum bianco.
-Ti conosco. C'è qualcosa che mi nascondi. – Si voltò lento verso di me, mi guardò con quelle due iridi bellissime, in cui anni prima mi piaceva affogare; con quei piccoli graffi azzurri che sapevano vederti dentro, meglio di quanto potessi fare tu stesso.
-Te lo dirà lui se vorrà. – rispose, scostando poi di nuovo lo sguardo –Io sono qui solo per informarti visto che sei tu che paghi le spese cliniche, ma il segreto professionale volendo mi imporrebbe di non farlo. –
La cosa mi irritò al quanto, ma cercai di restare calmo.
-Si tratta della sua salute? – chiesi.
-No. – rispose, bevendo l'ultimo goccio del suo drink.
-Allora di cosa? – tentai di nuovo.
-Te lo dirà lui se lo vorrà. – rispose con le stesse medesime parole di prima, mentre si alzava, pagava il conto di entrambi e spariva di nuovo sotto la pioggia, lasciandomi solo e con una leggera rabbia addosso.
Che voleva dire?

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