9: little lamb (not for dinner though)

34 7 30
                                    

Jimin pensò che il latte col miele doveva essere un'invenzione geniale e depravata allo stesso tempo. C'era qualcosa di fondamentalmente sbagliato nel latte caldo che si mescolava alla sostanza appiccicosa e dorata, e forse risiedeva nel fatto che, a differenza di Yoongi, Jimin non avesse girato il suo latte neanche una volta. Il sapore del latte tiepido gli fece storcere il naso, e Yoongi, poggiato sul ripiano dei fornelli, ridacchiò da dietro la tazza. Jimin alzò lo sguardo interrogativo su di lui.

«Cosa?»

«Cosa?»

«Stai ridendo.»

Yoongi finse innocenza, una mano sotto il gomito alzato con la tazza davanti alle labbra.

«No, affatto.»

«Stai sogghignando.»

«Tue impressioni.»

«Yoongi, smettila di ridere di me. Perché ridi di me? Non è carino che tu rida di me.»

Posando la tazza sul bancone e sporgendosi verso Jimin, seduto all'altra parte, Yoongi posò i gomiti sul ripiano e si sostenne il mento con le dita affusolate. Il suo sorrisetto non era sparito e ora era vicino, molto vicino, e Jimin deglutì per non dare a vedere che la cosa lo scalfisse in alcun modo.

«Se non lo giri ti rimane tutto sul fondo il miele.»

Jimin guardò nella sua tazza, inclinandola in modo tale che se ne vedesse il fondo. Il miele era lì, dorato ma ricoperto da una patina bianca, e non accennava a volersi mischiare con il latte. Yoongi circondò le mani di Jimin intorno alla tazza, e lui si ritirò, come scottato, tentando di respirare normalmente. Il contatto fisico sembrava essere normalità, per Yoongi, e Jimin non ci era abituato. Tutti i suoi partner (partner di una notte, più avventure che altro) erano sempre stati attenti a non toccarlo, poiché dietro le sue misere esperienze nei rapporti interpersonali che andavano oltre gli amici (cioè Jeongguk) c'era suo padre. O meglio, i contrati che faceva firmare alle persone prima di affidarle alla porta che conduceva in qualche suite di lusso o cubicoli privati in cui Jimin consumava rapporti piacevoli e nulla più. E nessuno era autorizzato a toccarlo più che per il mero sesso, niente lividi sul collo o graffi o qualsivoglia scheggia sulla perfetta figura di Jimin.

E Jimin era d'accordo che il suo corpo rimanesse intoccato. Intonso, come appena uscito da una rivista dove si annunciava la sua vittoria sciistica o da uno spot di intimo da uomo in cui era stato messo a posare. Intatto dove la pelle era glorificata dagli sguardi ma mai sfiorata dalle mani. E Yoongi faceva tutto al contrario, lo toccava senza timore, come fosse uomo e non dio, e Jimin era confuso, come mai prima di allora. Perché se era normale un contatto fisico così, le sue mani grandi su quelle di Jimin, allora perché gli faceva accelerare così tanto il respiro? Era lui che non era normale? Era per caso una cosa che gli altri sapevano fare?

Jimin non sapeva come fare ad essere toccato. Sapeva toccare, certo, sapeva anche ricevere tutte le pacche sulla schiena, i mezzi abbracci di lato, le congratulazioni e le strette di mano. Quello però sul suo lavoro. Sui suoi lavori. Dove lui era quello che veniva guardato dal basso, come fosse su un piedistallo, e toccarlo fosse un'eccezione alla regola a cui tutti si attenevano.

Ma Yoongi? Yoongi che lo alzava da terra e se lo portava in braccio per la sua casa, e gli prendeva le mani senza chiedere, e toccava la sua schiena quando passava dietro di lui, e gli lavava i capelli perché Jimin non sapeva dove mettere mano per non peggiorare la ferita. Yoongi non aveva niente a cui appigliarsi per farlo. Non aveva ricevuto denaro, né una foto in prima pagina sul giornale, né il video in diretta al canale 3. Nessun premio, nessuna ricompensa, nessun autografo. Che ne ricavava lui? Nulla? Era solo per mettere a suo agio Jimin? Era una cosa innata che faceva a prescindere? Erano le signorine che portava sulla sua montagna nel tempo libero?

snowfallDove le storie prendono vita. Scoprilo ora