2: chamomile herbal tea

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Il piano era semplice. Semplicissimo. Trovare un modo per uscire dalla finestra e uscirci. Forse era vero che la teoria era semplice. Era anche vero che la pratica non lo era altrettanto. Jimin trattenne il fiato per un minuto, sentendo ogni rumore proveniente da sotto. Solo qualche leggero rumore, un borbottio di parole incomprensibili che venivano sussurrate, il legno contro il legno di quelle che pensava potessero essere sedie e pavimento, qualche mobile aperto e chiuso. Nessun segno del suo rapitore che tornava a riempirlo di sonniferi.

Altro piccolo problema. Non era solo lo spostamento in sé che era difficile. Jimin era così assonnato che neanche la pura adrenalina che scorreva nelle sue vene era sufficiente a tenere gli occhi aperti. Sonnifero, quindi, ecco. Avrebbe dato un'occhiata alla sua caviglia, ma il buio e il non poter accendere nessuna luce (non che ne vedesse alcuna) (era per i cecchini, lo avrebbero visto anche meglio così) (non aveva pensato ai cecchini fuori) (sperò non ce ne fossero) non aiutavano. Respirò, cercando di tenere a fuoco il soffitto e di intravedere meglio la stanza una volta che i suoi occhi si furono abituati alla mancanza di luce, ma nulla di nuovo saltò agli occhi. Niente oltre la stanza umile, il legno, la coperta. Scoprì anche al piede una fasciatura e si chiese quanto grave fosse. Senza pensarci due volte, si mise seduto, la testa che pulsò e girò come fosse su una giostra al movimento. Tenne con le mani la propria fronte fino a che il mondo non fu dritto di nuovo e poi cominciò a sollevare la gamba infortunata, le mani sotto la carne della coscia e la caviglia immobile. Quando l'ebbe messa sul lato del letto, passò all'altra, il dolore che gli mandava leggere lacrime agli angoli degli occhi.

Ora. Come scendere dal letto senza peggiorare la caviglia? Strusciando con il dorso delle mani sugli occhi (davvero, quanto forte era quel sonnifero, non smetteva di sbadigliare), Jimin si guardò intorno. Un cuscino, una coperta e il lenzuolo. Prese ogni oggetto senza fare movimenti bruschi, il pulsare leggero della testa che gli ricordava che non poteva avere fretta, anche se la aveva, e li accatastò a terra. Poi, senza pensarci due volte, rotolò su un fianco per caderci sopra, giusto poco sotto il livello del letto, per poi rimanere supino, le gambe quasi tese che lottavano pur di non piegare la caviglia lesa. Da lì, allungando le braccia, posò a terra le mani e poi il ginocchio sinistro per terra. Quello destro lo seguì, incerto, il piede leggermente sollevato. Notò in quel momento che quelli non erano i suoi vestiti, sicuramente non la sua costosa tuta da scii. Aveva rubato i suoi vestiti?! Un maglione di lana morbida e pantaloni larghi cadevano leggermente sul suo corpo. Caldi, ma non suoi. Ignorò la cosa quando un rumore più forte degli altri gli fece salire il cuore nella gola e fermare con il piede destro e la mano sinistra alzati, come un gatto colto con un topo fra i denti. Ma nulla sembrò indicare che Yoongi volesse salire e Jimin decise di continuare a camminare verso la libertà.

Quando aprì la finestra, il freddo scivolò dentro tutto insieme e ravvivò la brace nella stufa per un attimo, rendendola rosso acceso. Jimin sentì diversi brividi che si propagavano per il corpo e dei fiocchi di neve entrarono nella stanza, posandosi anche su di lui, bagnandolo. Stringendo i denti e aggrappandosi alla finestra socchiusa, si tirò in piedi, la testa che sembrava voler diventare un palloncino e il piede fermo, la paura di peggiorare la situazione che gli bloccava i movimenti. Alzato davanti alla neve fuori, Jimin vide come i fiocchi cadessero fitti, spessi, veloci e diagonali, un movimento che sembrava portato da un vento gelido e implacabile. Si issò con le braccia sul bordo e guardò giù, dove una tettoia su quella che doveva essere la porta di casa era piena di neve fresca e avrebbe attutito la caduta. Vicino al portico, una catasta di legna, sempre con sopra uno strato di neve, sembrava gridare libertà, libertà!

Jimin prese un grosso respiro e si buttò giù. Atterrò facilmente, di lato, poco più giù, un leggero collidere della spalla che non avrebbe lasciato traccia. Benedetta neve! Si trascinò, ignorando il freddo, nella neve, fino al bordo spiovente della tettoia, dove si sporse abbastanza per arrivare ai tronchi, che discese con facilità fino a terra. Arrivato al livello del suolo, pensò che poteva anche ammalarsi, ma non farsi rapire. Ignorò il freddo e i brividi che, insieme ai denti che battevano, non indicavano nulla di buono. Era il momento di cercare aiuto. Prese un tronco sottile e lungo e ci si appoggiò come bastone, cominciando a zoppicare sotto quella che stava diventando una vera e propria bufera.

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