𝑨𝒕𝒕𝒐 𝑽𝑰 𝒔𝒄𝒆𝒏𝒂 𝑰𝑰𝑰 (𝑇𝑦𝑙𝑒𝑟)

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«Than the last four cold Decembers I recall
And I see my family every month…»





Tyler
3 Maggio
Verona
H:23:07





Non mi aveva detto la verità, lo sapevo bene.
Le si leggeva negli occhi che stava mentendo, in più non ne era mai stata capace.

Pensava di essere quella forte, ma alla fine non potevo conoscere persona più fragile di lei.

Mi stava pregando in silenzio di lasciarla andare, ma la mia stretta sul suo braccio non era svanita.

«Non pensare a loro» asciugai alcune delle lacrime che le avevano rigato le guance.

«Non siamo in una favola, le cose non avvengono magicamente. Sei ingenuo se pensi che due come noi possano stare insieme in libertà» la sua voce non era del tutto credibile, anzi, direi per nulla.

«È stata colpa mia. Mi sono innamorata della persona sbagliata» le presi il volto fra le mani, incontrando il suo sguardo spento.

I capelli legati in una coda mezza sfatta, una felpa nera che le copriva le mani, senza smalto.
Non si truccava neanche più.

«Basta, non ce la faccio più. Fa troppo male» non sapevo di che cosa stesse parlando, ma l'unica cosa che fece fu abbracciarmi continuando a singhiozzare.

Le accarezzai i capelli, poggiando la mia testa sulla sua.

«Mi dispiace» le sussurrai all'orecchio. Alzò di poco il viso per potermi guardare e alzò un sopracciglio.
«Per cosa?» chiese confusa.
«Per non essere riuscito a salvarti» aggrottò le sopracciglia.

«Da cosa?» le lasciai un bacio sulla fronte. «Da te stessa» poggiai la mia fronte contro la sua e la vidi chiudere gli occhi.

«Dispiace a me. Sono stata troppo egoista e a te non ci ho pensato per nulla. Sai bene cosa provo per te e fidati, è difficile per me prendere una decisione» le spostai la frangia dagli occhi.

«Siamo solo io e te» sussurrò ad un millimetro dal mio viso.
«Per sempre» risposi prima di poggiare le mie labbra sulle sue.

«Ti amo» sorrisi alle sue parole, «Anche io» ribattei.
«Ho paura» la guardai dispiaciuto, «Lo so».
«Ho paura che qualcuno possa farti del male» poggiò la testa sulla mia spalla, avvolgendomi il collo con le braccia.

«Sai che cosa mi ha fatto fare mio padre ieri?» scossi la testa e la sentii sospirare.

«Mi ha insegnato ad usare una pistola. Anche lì ho avuto paura. Sono stanca di fingere che mi stia bene così, che tutto possa scivolarmi addosso» spiegò con voce spezzata.

«Immagino. Hai visto che cosa fa questa guerra?» tornò a guardarmi e annuì piano.

«Sono due mesi che faccio lo stesso sogno» si staccò da me e si avvicinò ad un lucchetto abbandonato per terra a pochi metri da noi.

Lo prese fra le mani, rigilandoleso fra le dita con un mezzo sorriso.

«Sognavo un lucchetto come questo, dove ci sono incise le nostre iniziali. E ora l'ho trovato» me lo porse e la guardai con un sorriso.

𝑪𝒐𝒎𝒆 𝑹𝒐𝒎𝒆𝒐 𝒆 𝑮𝒊𝒖𝒍𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 ᵐᵉʳᶜᵒˡᵉᵈⁱ́ˣᵗʸˡᵉʳDove le storie prendono vita. Scoprilo ora