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Capitale Zora

Regno di Thikaris


La stanza era immersa nel buio della sera. La danza estenuante delle fiamme del camino erano l'unica fonte di luce. Una luce calda, accogliente, che si disperdeva sulle assi in legno del pavimento e saliva, sinuosa e delicata come un'abile ballerina, su fino alle mura scure. Il chiarore della luna penetrava da una piccola finestrella sulla parete destra della casa, e il suo bagliore bianco latte sferzava quello arancio del fuoco in modo netto.

Un mugolio stremato riportò gli occhi turchesi della bambina sulle due figure alla sua sinistra dove quel gioco di luci non arrivava, dove il buio della notte aveva quasi deciso di divorarli completamente, come un mostro affamato, vorace.

«Vi prego...» la voce dell'uomo era un sussurro, appena udibile sopra lo scricchiolio della legna ardente, e nonostante sembrasse così disperato non vi era nessuna traccia di paura della sua voce.

Stava supplicando, ma non per la sua salvezza.

L'altra figura si sporse leggermente, afferrò il pugnale già conficcato nella spalla dell'uomo e, lenta, lo ruotò.

Quello digrignò i denti, ma si rifiutò di urlare. Legato alla sedia in legno dove si trovava scaricò tutta la sua sofferenza colpendo con il piede libero il pavimento. Era l'unica cosa che poteva fare, l'unica che non avrebbe avuto ripercussioni ancora maggiori.

Non doveva sfidarla. Non doveva farla arrabbiare ancor di più.

La bambina si strinse nel suo maglioncino sgualcito e osservò come il sangue colava dalla spalla dell'uomo, giù lungo il braccio, e cadeva poi in una piccola pozza poco sotto la sua mano destra. Immerso nella penombra quel liquido scarlatto pareva inchiostro.

«Vi prego, Maestà,» tentò nuovamente lui, «accetterò il mio fato, solo, vi prego, non fatelo davanti a mia figlia...» il tono che rasentava la disperazione.

La donna gli si avvicinò. La chioma scura che le incorniciava il viso pallido, su cui solo per un istante le fiamme del camino danzarono vivaci, illuminandole lo sguardo.

«E perché mai?» chiese, la voce delicata, come se non stesse affatto torturando qualcuno da più di un ora. «Ti sto facendo un favore, sai?» Poi afferrò il manico del pugnale tra il pollice e l'indice e lo sfilò dalle carni dell'uomo, assaporando il modo in cui la lama scivolava tra le membra della sua vittima, lacerandogliele.

«Questo la farà diventare una donna forte, un giorno» continuò, portando l'arma sulla guancia sinistra di lui e delicata spinse il suo volto verso destra, obbligandolo a guardare la figlia. Quel piccolo scricciolo tremante che lo stava fissando con le iridi rese lucide dalle lacrime.

La donna ne seguì lo sguardo, e un amaro sorriso si dipinse sulle sue labbra.

«Conoscere il dolore ci rende capaci di affrontarlo.»

«Sha'Reen» sussurrò l'uomo.

Si udì un suono strozzato, smorto, e in un battito di ciglia il pugnale era nella sua gola. L'ultimo nome che moriva sulle sue labbra, così come moriva lui.




Sha'Reen si svegliò di colpo, mettendosi a sedere. Un senso di panico si impossessò di lei, intossicandole le vene. Tastò frenetica le coperte intorno a sé, cercando qualcosa. Qualcosa con cui difendersi, con cui sfuggire alla minaccia. Il suo pugnale, dov'era il pugnale? I suoi occhi saettavano da una parte all'altra del letto nella confusione più totale.

Kingdoms Of AshimaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora