Capitolo 8.

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8.

Il cielo grigio sembra incarnare esattamente il mio umore attuale. Dopo una mattinata infernale trascorsa a trattenere le peggiori parolacce da rivolgere alla moglie del mio capo (che non si è degnata nemmeno di presentarsi), sono ritornata a casa di corsa, riuscendo a scampare alla pioggia giusto in tempo. Mi sono fermata al volo in un supermercato per comprare un pasto pronto, dal nervoso non ho neanche badato a cosa scegliessi ed ora mi ritrovo a guardare disgustata questo ragù finto che puzza di candeggina. Comincia a mancarmi la pietanza serale che ci preparava lo chef presuntuoso a fine servizio, dei cinque giorni trascorsi al ristorante è l'unica cosa che ricordo con positività insieme alle mance. Nonostante ciò spero che il fuoco non abbia arrecato troppi danni alla cucina, sebbene io sia piuttosto sicura che la colpa di quanto successo non sia mia. Ma piangere sul latte versato non mi aiuterà in alcuna maniera e soprattutto dovrò mettere da parte energie positive per sopravvivere al mio nuovo impiego. Come se non bastasse la collega arrogante, trascorrere sei ore in quell'ufficio si è rivelato essere più pesante di quanto potessi aspettarmi. Il telefono non ha mai smesso di squillare, ho già combinato un po' di casini con il trasferimento delle linee telefoniche che ho prontamente occultato riagganciando le telefonate e colpevolizzando il regresso della tecnologia, altrimenti avrei dovuto subire l'ennesima ramanzina di Miss Arroganza che apre bocca soltanto per redarguirmi. Ma ciò che conta è che a fine mese avrò il mio stipendio fisso, scommetto che con i soldi in tasca riuscirò perfino a trovare la mia collega più simpatica.
Finisco il mio pranzo abbastanza di fretta, non cederò mai più ai pasti pronti. Riordino il piccolo angolo cottura e do una pulita generale al monolocale prima che la fiacchezza pomeridiana mi assalga. Ho estrema necessità di recuperare il sonno che ho perso, non voglio rischiare di addormentarmi in ufficio e posso già immaginare gli insulti che mi rivolgerebbe la signora mia collega.
Diventerà il mio incubo peggiore.
Cerco un plaid tra le valigie che devo ancora disfare, la mia identità potrà pure cambiare ma la mia pigrizia no. Mi rannicchio in un angolo del divano e scompaio sotto la coperta che profuma ancora di ammorbidente, sono sicura che cadrò in un sonno profondo tra tre, due, uno...
La porta.
Qualcuno sta letteralmente bussando alla porta nell'esatto momento in cui ho deciso di rilassarmi. Se questa non è una congiura non so cos'altro possa essere.
Mi rialzo sbuffando, chiunque abbia deciso di disturbarmi non riceverà un buon trattamento. Guardo dallo spioncino prima di aprire la porta e la sagoma che scorgo mi fa dubitare della qualità della mia vista.
Kim?

Spalanco la porta, incredula.

<<Cosa ci fai qui?>>, domando non appena me la ritrovo davanti.

<<Anche per me è bello rivederti>>, quasi ride. Le faccio segno di entrare, e mi complimento con me stessa per aver riordinato appena in tempo.

<<Non mi aspettavo che sapessi il mio indirizzo>>, ammetto. Non credo di averglielo mai detto.

<<Infatti non lo conoscevo, l'ho letto sui documenti che hai compilato al ristorante>>, replica quasi con ovvietà.
Sapevo che avrei dovuto scrivere un indirizzo sbagliato!

<<Beh sei fortunata, sono rientrata a casa da poco>>, confesso, pur non essendo sicura di volerle rivelare il mio nuovo progetto lavorativo. Ci sediamo sul divano che fino a poco fa accoglieva il mio sonno, spero vivamente che non ne avremo per le lunghe.

<<Sono realmente dispiaciuta per ciò che è accaduto...>>, pronuncia, la sua espressione sembra essere sincera. Ora che ci penso non ho avuto occasione di salutare né lui né Julian, durante l'ultimo servizio li ho completamente persi di vista.

<<È andata così>>, alzo le spalle, non ho voglia di affliggermi più del dovuto. <<A tal proposito, come sta andando? Ci sono stati grossi danni?>>, continuo. Mi sorge il dubbio che Hayden voglia farmi causa per l'incidente provocato, forse Kim è qui per mettermi in guardia dalle prossime mosse. Comincia già a salirmi l'ansia. Non ho alcuna prova della mia innocenza ma nemmeno lui della mia colpevolezza.

<<Il forno è letteralmente scoppiato, dobbiamo ringraziare il cielo che nessuno si sia fatto male. La cucina è completamente nera, sono gia due giorni che siamo chiusi>>, spiega, e non riesco a credere che un errore banale abbia causato tutti questi problemi. Mi porto una mano alla bocca, mi sento in colpa pur non essendo colpevole.

<<Non sono stata io, Kim! Ho controllato più di una volta la temperatura del forno e a meno che non funzioni al contrario sono sicura di aver impostato la giusta temperatura! Non so cosa sia potuto succedere!>>, mi agito. Odio non poter dimostrare come sia andata per davvero.

<<Lo so, Margot. Non ho mai creduto un solo secondo che potessi essere stata tu, ma io non ho alcun potere decisionale su questo. Ricordi ciò che ti abbiamo detto io e Julian riguardo i numerosi dispetti che vengono fatti in cucina senza che si trovi mai un colpevole?>>, domanda, la sua espressione cambia rapidamente. Rifletto qualche secondo prima di sgranare gli occhi in preda alla sorpresa.

<<Rosie...>>, sussurro a bassa voce, come se potesse sentirci. La mia ex collega annuisce, mi sento stupida per non averci pensato prima.

<<Non so come abbia fatto, ma potrei metterci la mano sul fuoco sulla sua colpevolezza>>, continua, e storco immediatamente il naso.

<<Non parlarmi più di fuoco, ti prego>>, le strappo una risata, portandomi una mano sopra gli occhi.

<<Ad ogni modo non sono venuta qui per cospirare teorie accusatorie su nessuno>>, riprende a parlare normalmente, facendomi rilassare.

<<Ah no?>>, domando ironica, guadagnandomi una risatina finta. Scuote la testa, per poi estrarre una busta bianca dalla borsa marrone che ha ancora sulla spalla.

<<Hayden mi ha chiesto di farti recapitare questa>>, spiega, porgendomela. Ho quasi il timore di aprirla, l'ultima volta che ho ricevuto una busta sono dovuta scappare per ricominciare tutto da capo, spero che stavolta non sia niente di così estremo. Sbircio il contenuto senza estrarlo e quasi non posso credere ai miei occhi.

<<Seriamente?>>, domando sbuffando una risata. Non so se convenga essere più rilassata o irritata. Kim si sporge verso di me per capire meglio, deve essere ignara di tutto. Alza nuovamente le spalle, mi sento quasi in imbarazzo.

<<Presumo che sia la tua paga del periodo di prova>>, spiega, confermando la mia ipotesi. Che faccia di bronzo!

<<Lui è al ristorante?>>, domando prima che ragioni troppo sul da farsi. Questi soldi mi servirebbero come l'aria, ma non ho alcuna intenzione di accettarli, non dopo che non mi ha neanche dato il beneficio del dubbio sulla colpevolezza.

<<So che c'è una ditta che si sta occupando del ripristino della cucina, ma non so dirti se lui sia ancora lì>>, alza le spalle per l'ennesima volta. Guardo l'orologio che ho al polso, entrambe le lancette sono allineate sul quattro. Potrei ancora trovarlo lì.

<<Grazie Kim, ti prometto che non appena riuscirò a organizzarmi ti offrirò un caffè>>, dico frettolosamente, sperando che capisca che deve levare le tende e pure in fretta. Indosso le scarpe rischiando di inciampare nel tappeto del piccolo soggiorno, questa nuova identità mi sta creando più problemi di quanti non avessi già nella mia vita precedente.

<<Ci conto>>, replica, guardandomi quasi preoccupata. Non so cosa le passi per la testa in questo momento ma non sono molto sicura che mi interessi. Fortunatamente se ne va senza che io la incalzi, mi dispiace di non essere stata più ospitale ma capirà. Prendo la borsa e senza badare troppo alle mie condizioni esco di casa di corsa, mi apposterò fuori dal ristorante se sarà necessario. Sono nervosa, irritata, offesa. Non li voglio i suoi soldi, non ha nemmeno avuto il coraggio di darmeli di persona. Ci avevo visto lungo quando storcevo il naso mentre tutti lo elogiavano. Ho sempre avuto un certo fiuto per le persone negative.
Corro cercando di ripararmi dalla pioggia il più possibile, non so ancora in quale modo sputerò le parole, non so nemmeno se lui mi ascolterà. Se ci avessi ragionato su forse avrei accettato i suoi soldi e avrei chiuso definitivamente questa breve esperienza, ma stavolta l'impulsività ha preso il sopravvento, e forse è meglio così. Non mi interessa essere superiore a nessuno se poi il prezzo da pagare sarebbe quello di farmi venire la gastrite a causa delle parole non dette.
Deglutisco nervosamente prima di entrare nel locale, senza badare alle luci spente o al cartello con su scritto "chiuso". Le luci provenienti dalla cucina mi confermano che ci sia ancora qualcuno, ma una voce alle mie spalle mi ferma ancora prima che io la raggiunga.

<<Che ci fai qui?>>

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