13. Chi la fa, l'aspetti.

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Em

Dire che ero nervosa sarebbe stato l'eufemismo dell'anno. Le mani mi sudavano ed era inutile asciugarle sui jeans o sulla felpa. Lo stomaco era stretto in un nodo e respirare era l'operazione più difficile che potessi fare. Ero certa che avrei vomitato da un momento all'altro, sul pavimento dell'aula.

Odiavo presentare i progetti e odiavo ricevere voti. Non erano mai abbastanza sufficienti, ogni lavoro poteva essere fatto meglio anche se ci avessi impiegato due anni marziani. Gli insegnanti erano poco chiari nelle valutazioni o ci impiegavano lunghe settimane per comunicare le loro valutazioni.

Sarebbe stato un disastro. La Smith avrebbe bocciato la mia casetta di carta e bastoncini. L'avrebbe calpestata con i suoi sandali a zeppa. Mi avrebbe accusata di aver frainteso la consegna o di aver riprodotto per intero un edificio già esistente. Sarebbe stata la mia fine. Avrei rinunciato agli studi.

Il "buona fortuna" che mi aveva detto Ari, che mi aveva accompagnata in macchina, non era servito a niente, come neanche i suoi tentavi di distrarmi chiedendomi del mio appuntamento-non appuntamento. Le avevo risposto in modo vago e le avevo ripetuto un'infinità di volte che era stata una semplice uscita tra amici, che era parte del piano.

La maggior parte delle cose che riguardavano me e Sawyer erano parte di un piano. Almeno non lo erano tutte, altrimenti non avrei saputo spiegare il genuino interesse di Sawyer nel mio progetto. Mi aveva addirittura inviato un "buona fortuna" con un messaggio, a cui avevo risposto con una faccina sorridente.
Era stato più facile mascherare l'ansia dietro il cellulare. Non ci sarei riuscita se lo avessi avuto davanti.

Mi morsi il labbro e scacciai via quel pensiero, mentre poggiavo il mio edificio nella postazione assegnatami dalla Smith. Ci aveva sistemato in ordine alfabetico, con delle letterine attaccate sui banchi a quattro.
Fui tentata di guardare il progetto di Janie, col terrore che fosse di nuovo uguale al mio, ma mi trattenni. Non sarebbe servito a niente. Tanto, tra le due, sarei stata la prima a mostrare il primo progetto alla Smith.

La signoina Smith entrò in aula con i capelli biondi raccolti sulla nuca e un vestito a tuta floreale marrone. Poggiò il proprio zaino e la cartella sulla sua scrivania e ci sorrise incoraggiante.

《Buongiorno, ragazzi. Vedo che ci siete già tutti. Possiamo cominciare.》annunciò e raggiunse Amber Calloway, a qualche metro di distanza.

Il suo edificio era maestoso. Era una struttura a due piani con un terzo piano completato per metà e spostato sulla destra, come se stesse per cadere. Era intenzionale e si reggeva alla perfezione. All'interno era sistemata una scala a chiocciola e all'esterno seguiva una rampa di scalette che si incrociavano. La professoressa ci impiegò dieci minuti a valutare, correggendo e criticando le parti deboli del progetto e complimentandosi per quelle più forti. Amber sembrò soddisfatta ugualmente e fu congedata. La Smith continuò con il medesimo sistema per il resto degli studenti fino ad arrivare al mio turno. Mi lanciò un cenno che raccontava più di quanto gli altri studenti potessero intendere. Fa' che questa volta non ci siano problemi, tuonava.

Le mostrai un debole sorriso, o quello che sarebbe dovuto essere un sorriso e che appariva come una smorfia. Le illustrai l'edificio che avevo composto e feci riferimento agli edifici a cui mi ero ispirata, il primo e il secondo realizzati in vari centri urbani che mi erano apparsi su internet durante le mie ricerche e il terzo di una struttura presente qui a San Francisco. La Smith fu contenta che avessi incluso un'edificio della nostra città e seguì con un paio di domande sulla realizzazione e trattenni un sospiro di sollievo quando si allontanò.

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