14. Necessità.

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Em

Tolsi il gilet con uno strattone e lo piegai malamente per metterlo nella borsa. Le luci sul soffitto del bagno, riservato ai dipendenti del ristorante, sfarfallarono e mi preoccupai di rimanere al buio. Clara, una delle ragazze con cui lavoravo, si stava controllando il trucco disfatto nello specchio e, ogni tanto, faceva un commento sulla serata e sui clienti più maleducati.

《La prossima volta gli rovescerò il vino sulla camicia. Esistono modi giù gentili per richiamare un cameriere, non serve fischiare come si fa per i cani.》

《Io avrei fatto finta di non aver sentito.》

《Eric stava guardando.》mi ricordò, seccata dal nostro caposala. 《E quello stronzo non ha detto niente.》

Sospirai distrutta.《Gli uomini.》

Clara ridacchiò e afferrò la trousse dal lavandino. 《Vuoi un passaggio? So che te la fai a piedi. Non mi piace l'idea, non è sicuro a quest'ora.》

《Uhm, ecco, passa un amico.》mentii, non volendo preoccuparla.

Per quanto avesse ragione, preferivo camminare da sola fino a casa che disturbare uno dei miei amici - non che avessi un lunga lista di persone da telefonare, la scelta era tra Ari e Jake.

Clara ne fu sollevata. Si mise il cappotto beige e la borsa in spalla. 《Ci vediamo domani.》

Feci un cenno d'assenso. Quando Clara fu uscita dal piccolo bagno, aprii il lavandino e mi sciaquai il viso. Una ciocca di capelli mi rimase appiccicata alla guancia e alcune goccioline corsero lungo il mento. Mi asciugai con un pezzo di carta del distributore affisso alla parete e mi soffermai sul mio riflesso nello specchio. Ero più pallida del solito e gli occhi erano arrossati. Le sette ore di lavoro pesavano sulle mie spalle ricurve e mi davano un'aria svampita. E pensare che, il giorno dopo, avevo lezione alle nove. Era più probabile che sarei rimasta a letto, che presentarmi a storia dell'architettura.

Buttai il pezzo di carta bagnato nel cestino e recuperai le mie cose. Salutai Eric seduto dietro il bancone delle reception nell'atrio e lui ricambiò con un ghigno ammiccante.
Fui tentata di dirgli di piantarla, quando capii a cosa si stava riferendo. L'attimo seguente mi accorsi di una figura che aspettava in piedi oltre le porte di vetro.

Il mio cuore fece un balzo nel rendermi conto che era Sawyer. Tirai la porta e lo raggiunsi.

《Che fai qua fuori?》volli sapere, piacevolmente sorpresa di trovarlo ad aspettare.

Sawyer infilò le mani nelle tasche del giubotto casual che indossava, non proprio nel suo stile. Come i pantaloni della tuta. Era l'una per tutti, dopotutto.

《Ciao, eh.》replicò. Attesi che rispondesse alla mia domanda e lui mi invitò a seguirlo. 《Volevo vedere come stavi. Ero preoccupato per te.》

Evitai il suo sguardo. 《Non serviva venire. Sto bene.》

《Non rispondevi ai miei messaggi, perciò ho scritto ad Ari su Instagram.》fece cauto, come se temesse che la cosa mi avrebbe dato fastidio. 《Ha detto che eri presa da altro e mi ha suggerito di cercarti di persona.》

Strinsi le braccia al petto. Avevo sottovalutato il clima freddo di metà marzo. 《Ha aggiunto altro?》

《No, non mi ha detto granché.》

Annuii, sollevata. Meno sapeva, meglio era.
Sawyer cacciò dalla tasca le chiavi dell'auto. 《Quanto sei stanca?》

《Perché?》

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